Una domanda, posta di recente da un nostro iscritto, solleva una questione di fondamentale importanza: “Se sono veramente libero – si domanda l’utente - chi o cosa mi impone di tesserarmi come cittadino di uno stato e vivere da tale? Io nasco, non chiedo niente (a uno stato), e per tanto non voglio niente in cambio”. La prima risposta che viene da dare è “perchè se tutti facessero così si creerebbe il caos”. Ma è una risposta profondamente sbagliata, poichè parte da un presupposto tutt’altro che scontato. A: Chi l’ha detto che si creerebbe per forza il caos? B: E anche se così fosse? Dove sta scritto che il caos non possa esserci? Il vero errore però sta nella domanda iniziale: l’individuo che viene al mondo in realtà “è” libero di scegliere. Può scegliere di adattarsi alle condizioni che gli vengono imposte da chi è nato prima di lui, ma può anche scegliere di non adattarsi, e diventare quello che la società chiama “un ribelle”. Naturalmente, la società fa di tutto per imporre all’individuo di adattarsi, rendendogli praticamente impossibile la ribellione attraverso il ricatto continuo: se diventi un fuorilegge la tua vita diverrà un calvario, e molto pochi se la sentono a quel punto di mettersi contro il mondo intero. Ma in linea teorica la libertà esiste. Bisogna quindi analizzare il problema a livello di costrizione morale e sociale, più che non di libertà come principio assoluto. Come fa la società ad “obbligarti” ad accettare i suoi parametri? Il meccanismo inizia fin da piccoli, quando la mamma o il papà ti dicono “no, quello non si fa!” Il bambino non ha certo gli strumenti critici per mettere in discussione quel divieto, ... ... e quindi si adegua, “deducendo” che così non si debba fare e basta. La responsabilità sta quindi nei genitori, che devono saper distinguere fra i divieti “pro bono suo” (ad esempio, non mettere le dita nella presa elettrica se no prendi la scossa), e i divieti “pro bono loro” (non cantare perchè mi dài fastidio). L’autorità di cui dispongono andrebbe usata solo per evitare al bambino di farsi del male, ma non per adeguarlo necessariamente alle “proprie” necessità egoistiche, limitando nel contempo la sua crescita a tutto campo. Se il bambino vuole a tutti i costi attraversare una strada trafficata, forse è più saggio impedirglielo. Ma se il bambino vuole a tutti i costi tirare un gelato in faccia allo zio che dorme sul divano, forse si può anche pensare di lasciarglielo fare, in modo che impari lui stesso quello che ti può succedere se ci provi. (E’ in quei casi, di solito, che la parola “porcodio” rimane impressa nella mente del bambino in maniera indelebile). E’ nel difficile equilibrio fra la salvaguardia della sua integrità e il pieno sviluppo delle sue potenzialità di scelta, che sta la grande sfida che affrontano quotidianamente i genitori. Se costoro riuscissero a inculcargli in pieno il senso del “diritto” a determinare il proprio futuro, senza per questo averlo abbandonato a se stesso, avranno compiuto un vero miracolo. Ma il problema dei diritti, come sappiamo, non può essere affrontato ignorando quello dei doveri, che gli è complementare. E’ infatti ben noto il detto “la libertà di un individuo finisce dove comincia quella altrui”. Per tornare quindi alla domanda iniziale, vivere in una società (che sia una nazione, un villaggio o anche il semplice nucleo familiare) implica diritti e doveri allo stesso tempo, ed è quindi errato porla in quel modo. Non si può dire: “Io nasco, non chiedo niente (a uno stato), e per tanto non voglio niente in cambio”, quando ad esempio si chiede, allo “stato” (alla società), che ti mandi un’ambulanza se per caso ti viene un infarto; che ci sia un giudice a cui rivolgersi se qualcuno ti truffa; che ci sia qualcuno che si preoccupi di far arrivare a casa tua l’acqua l’elettricità e il servizio postale. L’alternativa è quella dell’ “uomo della foresta”, ma questa alternativa esula già dalla premessa del discorso: se sei solo al mondo, la domanda non si pone nemmeno, mentre nel momento in cui ci sia intorno a te un solo altro individuo, il sistema “diritti-doveri” entra necessariamente nell’equazione. La vera domanda, a mio parere, andrebbe posta così: fino a che punto i doveri che ti impone la società sono legittimi, e quali invece sono imposti per semplice egoismo della stessa? Prendiamo ad esempio l’esistenza dei semafori, che permettono l’attraversamento dell’incrocio con il verde, ma impongono l’arresto del veicolo con il rosso: questo è un tipo di condizionamento (legge) che la società impone per necessità di ciascun individuo: a nessuno piace essere investiti da un automobilista che viaggia senza curarsi degli altri, per cui si impone a tutti il rispetto del semaforo rosso. Se invece pensiamo all’obbligo di allacciarsi le cinture, questo è un condizionamento non indispensabile, in quanto se non te le allacci alla peggio ti fai male tu, ma agli altri non succede niente. (La società infatti non impone l’uso delle cinture “per il nostro bene”, come ci viene raccontato, ma per tenere bassi i costi ospedalieri causati dagli incidenti automobilistici). In questo caso siamo di fronte ad un condizionamento di tipo egoistico, che non ha una reale necessità di esistere. Lo stesso ragionamento vale, ad esempio, per la proibizione della cannabis: ti viene detto che è proibita per il tuo bene, mentre la proibizione favorisce certi settori dell’industria rispetto ad altri. Egoismo puro e semplice, travestito da altruismo nobile e disinteressato. Vi è poi un terzo livello di proibizioni, non solo inutili ma addirittura dannose: quando ad esempio agli alunni di una classe elementare si imponeva di scattare sull’attenti per l’entrata del preside (oggi non so se accada ancora, ma non mi vengono esempi altrettanto efficaci), non solo li si obbligava ad un gesto inutile, ma si cercava di abituarli ad obbedire in maniera incondizionata, avendo come scopo la conservazione stessa del potere. Il potere impone leggi che ti abituino ad obbedire comunque alle leggi, invece di domandarti se una certa imposizione sia legittima oppure no. Ecco, se si riuscisse a ridurre, nel corso del tempo, tutte le costrizioni di tipo egoistico, come quelle finalizzate alla perpetuazione del potere, e ci si limitasse a quelle davvero necessarie per la salvaguardia dell’individuo, si andrebbe sicuramente incontro ad una società più responsabile, ed in ultima analisi più libera. Ma per crescere, deve essere l’individuo a mettere sistematicamente in discussione gli obblighi che gli vengono imposti, rispettandoli quando li ritienga legittimi, mettendoli in discussione quando invece li ritenga superflui, oppure addirittura dannosi. In un mondo veramente libero, sarà l’individuo stesso ad imporsi le limitazioni che servono a non arrecare danno agli altri. A quel punto non serviranno più le nazioni, le costituzioni ed i codici penali. Un grande visionario del ventesimo secolo, Albert Einstein, stracciò il passaporto tedesco per protesta contro il nazismo ed emigrò in America. Quando sbarcò a New York, i giornalisti gli chiesero con tono preoccupato: “Ora che non ha più un passaporto, Sig. Einstein, di che nazionalità si ritiene?” Lui li guardò un pò stupito, con i capelli spettinati nel vento, e rispose con un filo di voce: “Umano?” Massimo Mazzucco