Di tutto avrei potuto immaginare, nei lunghi anni in cui mi sono occupato di 11 settembre, ma non che un giorno questi tragici eventi sarebbero diventati il soggetto di un videogioco.

E non stiamo parlando di un videogioco qualunque, ma addirittura di una simulazione in realtà virtuale: indossando i "prodigiosi" occhiali della Oculus Rift, infatti, è possibile rivivere i momenti della tragedia, all'interno della Torre Gemelle, dal punto di vista di chi si trovava nei piani più alti dei due edifici.

Il gioco, non a caso, si chiama 8:46, visto che proprio a quell'ora il primo aereo si è schiantato contro la prima torre. Il gioco inizia qualche minuto prima, con le normali attività di ufficio. Il soggetto si trova in una stanza con una segretaria, che gli chiede di passargli una cartelletta che si trova nel suo cassetto. Pochi secondi dopo che il protagonista ha dato la cartelletta alla segretaria, avviene il botto del primo aereo. A quel punto il protagonista e la segretaria si trovano intrappolati, e devono cercare di uscire dalla torre in fiamme. Ma la porta è bloccata, e così comincia l'odissea, fatta di angoscia e di disperazione, che porterà finalmente il protagonista a morire all'interno delle Torri Gemelle. Il gioco finisce nel momento in cui lo schermo diventa completamente nero.

Qui naturalmente non si tratta di fare la morale a chi ha voluto inventare un ennesimo sistema per spillare dei soldi agli appassionati di realtà virtuale. Qui si vuole porre la domanda di che cosa significhi applicare la realtà virtuale a un evento come quello dell'11 settembre.

Già siamo circondati da nuove generazioni di giovani, che nel 2001 non avevano ancora l'età per comprendere quello che era successo, e che quindi hanno conosciuto i fatti dell'11 settembre soltanto dalle ricostruzioni dei media mainstream. Ma ora il problema è un altro, perché fra poco avremo intere nuove generazioni che non sapranno più distinguere tra una tragedia vera e una tragedia simulata.

La caratteristica principale della realtà virtuale infatti è di limare sempre più i confini tra ciò che accade davvero nel mondo reale, e quello che accade solamente del nostro cervello. E se gli eventi dell'11 settembre, per le nuove generazioni, diventeranno soltanto un video "nel quale bisogna riuscire a scappare dalla torre in fiamme prima che l'edificio ci crolli addosso", questo significa che sarà sempre più difficile che qualcuno, in futuro, si ponga la questione in termini oggettivi, e si domandi che cosa sia successo davvero quel giorno.

Forzare il punto di vista soggettivo, in altre parole, ci allontana dalla possibilità di vedere quello oggettivo.

Certo, ben diverso sarebbe se gli ideatori del videogame avessero pensato di porre agli utenti dei quesiti di tipo diverso da risolvere: ad esempio, prova a spiegare con un semplice calcolo matematico, come sia possibile che il tetto di un edificio crolli alla velocità di caduta libera, senza che vi sia una forza esterna che rimuove in anticipo tutta la struttura portante. Oppure, prova a spiegare come possa un aereo piantarsi nel terreno, a 8 m. di profondità, creando una buca che si richiude su se stessa prima ancora che arrivino i soccorritori. Oppure ancora, spiega come possa un dilettante che non riesce a far decollare un Cessna, compiere un approccio al Pentagono come quello che avrebbe fatto, secondo la versione ufficiale, il volo AA77.

Volendo, sarebbero stati tutti dei quesiti più che legittimi, e certamente interessanti da risolvere in un videogame. Ma è evidente che chi crea questi videogiochi sia molto più interessato all'aspetto emotivo del problema, che non a quello prettamente razionale.

Ed è sempre sulla reazione della pancia che contano tutti coloro che sono interessati a far perdurare nel tempo questa menzogna colossale.

Massimo Mazzucco