Re: Sezione Musica

Inviato da  carloooooo il 3/11/2008 20:51:42
Ovviamente quello del definire il "miglior gruppo" è un giochino valido al massimo come costruttivo passatempo. È importante però che non ci si limiti ai gruppi che hanno venduto di più e a quelli che piacciono di più, altrimenti ci nasconde dietro al dito del "de gustibus" e la Quinta di Beethoven vale quanto Panic di Allevi.

Se si vuole cercare il valore, la qualtà, ci sono alcuni parametri che si possono seguire, come ad esempio la capacità di innovare e l'influenza che hanno avuto nella produzione successiva, per non dimenticare poi il piccolo particolare del saper suonare (dio stramaledica il punk e la poetica romantica del genio che crea dal niente ispirato dall'afflato divino).

Per questo dico che come i RATM non ce n'è. Molti gruppi citati sopra o proprio non suonavano (vedi i Nirvana), oppure facevano comunque cose già sentite e strasentite, tipo i Metallica, che per me rimangono, nello spirito, un gruppo anni '80 (anche se continuo a non capire come si possa ascoltare metal dopo aver conosciuto chi del metal ha detto tutto, e all'inizio, cioè i Black Sabbath).

Tom Morello ha suonato la chitarra come nessuno prima, e neanche dopo, se è per quello (il chitarrista dei Muse un po' ci ha provato, a imitarlo). La commistione tra hard rock e rap è insuperabile (per quello, mc, che per me gli Audioslave sono un gruppo come un altro): la mescolanza tra la miglior tradizione rock e il nuovo che avanzava in quegli anni, il vero genere musicale degli anni '90, cioè l'hip hop, piaccia o no.

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Dimenticavo. Prima ho citato il Nuovo Genio della Musica Mondiale. Ho trovato questo articolo a riguardo, di quegli articoli che dicono tutto, ma proprio tutto, quello che vorresti dire tu, e molto meglio. Divertentissimo.

Giovanni Allevi

Esistono degli individui che sono malvestiti totali, tristi e mediocri individui che ci provano in tutti modi a farsi vedere in un certo modo, individui che si studiano e ci si impegnano con tutte le loro energie, che vogliono essere interessanti, originali, persino brillanti, che si guardano e si parlano e si ascoltano addosso continuamente, e però gli vien fuori sempre loffa, poveretti, è un tentativo che non gli riesce proprio, e finiscono soltanto per apparirti più tristi, e più mediocri. Uno di questi individui, ad esempio, è Giovanni Allevi.

giovanni allevi copertina joyGiovanni Allevi è come quei personaggi di Verdone che si esibiscono in racconti enfaticissimi sulle loro avventure coi serpenti mortali, o che fumano davanti allo specchio provando il discorso del cargo liberiano. Giovanni Allevi è, prima di tutto, un instancabile apologeta di Giovanni Allevi. E’ un esibizionista sfrenato che non aspetta altro che mostrarsi e far sfoggio di se stesso, lustrando per benino la figura di questo Signor Geniale Compositore che c’è solo nella sua testa, il protagonista delle ridicole storielle che spara via una dietro l’altra, sicuro ed allenato, preparatissimo, senza alcun imbarazzo (pur mantenendo i segnali esteriori della Timidezza, che è forma inevitabile del Geniale Compositore). Giovanni Allevi, se fosse il personaggio di una fiction sulla vita di un musicista, guardereste cinque minuti e poi, sopraffatti dalla suprema melensità di un tale pendulo accrocco di luoghi comuni, girereste su Ballando con le stelle.

Le storielle e gli aneddoti di Giovanni Allevi sono i mattoncini che servono a tirar su questo simulacro d’eroe mitologico, gran sacerdote e tramite tra l’Iperuranio della Musica e il Pianeta Terra, genio sì ma un po’ folle e pazzerello, come del resto sono folli e pazzerelli tutti i grandi artisti; felice e gioioso perché possiede e gode della vera fede (nella Dea Musica) e che però allo stesso tempo, nonostante questi doni di immensa grandezza, e anzi proprio a causa della sua grandezza, è anche modestissimo, un po’ schivo, scanzonato e timiduccio.

L’infantile procedimento di auto-mitizzazione di Giovanni Allevi annovera soddisfatti complimenti a se stesso di stampo spiritual-esegetico (”la mia musica va a toccare le corde profonde dell’emotività collettiva” - non c’è niente da fare, si adora) e aneddoti da primo della classe sborone che vogliono far risaltare le sue evidenti capacità di genio musicale (la storia del commissario che, di fronte alla prova di ammissione per il primo anno di composizione al conservatorio, esclama “o ha copiato la fuga, oppure è Brahms redivivo”; ma questo a Giovanni Allevi non basta - non sia mai che a qualcuno la cosa non dica nulla - lui gongolante chiosa: “eh, sì, ho portato una fuga, che è la composizione più difficile di tutte, si studia appena al settimo anno!”).

Le storielle di Giovanni Allevi hanno un’impostazione banalmente fiabesca, che può essere sovrapposta ad alcuni schemi della teoria Proppiana. Prendete la storia che racconta sempre, quella di lui a cinque anni che vuole giocare col pianoforte che i genitori cattivi tengono lucchettato [1]; un bel giorno Giovannino trova la chiave, lo apre, preme un tasto e - tadàn - rivelazione! Un faro gli si accende addosso (ipse dixit - nel video con Fazio, arrivate fino in fondo) e capisce cosa vuole fare nella vita: suonare. Ma il piccolo Giovannino è avversato dalla crudele matrign… ehm, volevo dire, dai genitori che non sentono ragioni e gli proibiscono di stare al piano. Lui se ne frega e lo suona di nascosto, finché a dieci anni durante una recita scolastica, guarda caso, trova un piano sul palchetto. Giovannino non può frenarsi, la musica lo chiama e lui le cede, siede al piano e suona [2] destando la meraviglia degli astanti. Perfetto dunque: c’è un eroe (lui) avversato da un antagonista (i genitori), c’è la situazione di divieto (il piano lucchettato), ci sono l’infrazione e la reazione (lui che apre il piano, e poi lo suona), c’è il trionfo finale dell’eroe (lui che si incammina sulla strada della mediocrità).

Come le fiabe della tradizione orale, anche le storielle di Giovanni Allevi su se stesso cambiano nel tempo, modificandosi, arricchendosi di particolari. La storiella qui sopra, le prime volte che veniva raccontata, era una roba molto semplice del tipo “c’era il piano chiuso a chiave e io desideravo suonarlo, si desidera sempre ciò che non si può avere, bla bla, punto”. In un secondo momento si sono aggiunti i cinque anni di suonate clandestine (un vero gesto di eroica sfida contro il bieco oscurantismo parentale); poi si è aggiunto il fenomeno ultraterreno della rivelazione, lui che tocca il tasto quella prima volta e viene investito dal “fascio di luce” (il che gli conferisce una misticissima aura da investitura divina); poi, negli ultimi tempi, pare che l’età del piccolo Giovannino stia abbassandosi dai cinque ai quattro anni - ma va be’, siamo ancora in una fase di trepida mutevolezza (credo sia anche già uscito il trailer che annuncia l’imminente Come sconfissi il drago che custodiva la chiave).

Il destino avverso è in agguato, ma Giovanni Allevi non molla e gli riesce sempre di sconfiggerlo, guidato com’è (implicito) dalla saggia mano della Dea Musica, che ha in serbo per lui un futuro di meraviglie musicali da raggiungere a tutti i costi. Eh, che lotta durissima e senza quartiere. Ma lui è fortunosamente creativo anche in questo, nell’aggirar la sfiga. Pensate a quando un giorno - lui, squattrinato compositore di belle speranza - s’è messo a suonare (sul solito palchetto con piano incustodito - è una mania) e una signora che per caso passava di là, rimasta annichilita dalla bravura di quel giovine talento, gli propone di far arrivare una demo a Riccardo Muti; la signora guarda tu la coincidenza è quella che organizza la cena d’inaugurazione alla scala, e stabilisce così un piano astutissimo perché lui, intrufolatosi alla cena come cameriere, possa dare sto cd al sommo maestro (leggete come la racconta Giovanni Allevi [3], è un incrocio tra ratatouille e james bond - anche se dimentica sempre di raccontare il finale, che Muti cioè a fine serata ha miseramente abbandonato il cd sulla sedia vuota). Oppure pensate a quando, stroncato da un attacco di panico (qui), sull’ambulanza che lo portava in ospedale, in una situazione dunque di così grande pericolosa avversità e disagio, ha trovato motivo d’ispirazione ed ha potuto gettare le basi per il suo ultimo capolavoro, Joy.

Giovanni allevi suona l'atmosfera che esce fuori dallo spiraglio della finestra: genio!Folle e pazzerello, dicevo. Giovanni Allevi la follia se la immagina così, del genere più vistoso e facilmente riconoscibile, la follia cinematografica di un tizio un po’ autistico alla Rainman [4]. Giovanni Allevi, per aderire al personaggio, oscilla tatticamente avanti indietro quando sta in piedi, racconta di essere affetto da disturbi ossessivo compulsivi (va a nuotare in piscina e si ripassa mentalmente tutte le note mentre sta ammollo - non può suonare se prima d’ogni concerto non gli danno una torta al cioccolato - per un anno di fila s’è nutrito di sola pasta al tonno), cerca penosamente di stupire gli intervistatori con sciocche rivelazione matematiche (del tipo: “ho calcolato che in un ora di concerto le mie dita compiono all’incirca 36.000 movimenti” oppure “il pianoforte ha 88 tasti, li ho contati” - brrravooo, clap clap, e quante corde? a-ha! non le hai contate quelle, eh? gne gne), pubblicizza bizzarre trovate domestiche (il gatto che aveva da piccolo, che si chiamava Bemolle - il suo attuale animale domestico, un gamberetto che, per amplificare l’effetto paradossale, ha ribattezzato Maciste: io me lo immagino Giovanni Allevi oscillante al negozio di esche, mentre paga il gamberetto, che già pensava come e quando avrebbe raccontato del gamberetto la prima volta, suscitando ilarità ed ammirazione), è sempre istericamente entusiasta di qualsiasi cosa e oscenamente fiero del suo minuscolo intellettualismo da dizionario d’aforismi (”come dice Platone - frase fatta”, “come dice Heidegger - frase fatta”), è sempre lì lì ad un passo dal ruolo dell’eroe romantico in preda a gravi tormenti (soffre di insonnia perché ogni notte è assalito da tumultuosi pensieri musicali che subito trascrive su un foglietto pentagrammato provvidenzialmente tenuto accanto al letto), ed esibisce quello scontato repertorio di atteggiamenti timidoni - occhi bassi, postura gobbetta, movimenti goffi, gestualità nevrotica, i sorrisetti schivi - che si vede nei telefilm per teenager del Disney Channel la domenica mattina. Il tutto, come detto, per creare questo effettaccio Genio Fuori Dal Mondo, un po’ folle ma simpatico e alla mano, confortante e familiare, con una testa piena piena di cose buffe e interessanti.

Giovanni allevi è un manichino del reparto under quattordici dell'oviessePer essere accettato, il genio musicale Giovanni Allevi deve darsi l’aria di prendersi alla leggera, per niente sul serio, deve essere semplice e scanzonato, alla portata di tutti (il che, a ben pensarci, è davvero difficile da realizzare, per uno che si crede depositario di un soffio artistico d’emanazione divina, “Non sono io che compongo ma è la musica che fa tutto da sola e utilizza il mio corpo e il mio essere per fluire fuori, sul mio pianoforte”): ciò lo si realizza attraverso un abbigliamento da allegro giovanotto qualunque, indossando abiti casual nella direzione che genericamente prende la moda giovane del momento: felpone belle grosse, jeans belli larghi, camicia di fuori, converse all star, occhialoni nerdy. L’interpretazione è improntata ad una impersonale e anonima figuretta da manichino Oviesse del reparto under quattordici. Immagino che l’intento sia anche blandamente provocatorio, a presentarsi così ridotto ad un concerto, in teatro. Accidenti. E’ chiarissimo purtroppo che sono cose di cui non sa niente, di cui non capisce niente (la felpa è troppo corta, gli tira sulla pancia, le maniche gli salgono, i jeans pure, troppo stretti, un po’ informi), messe insieme a casaccio al solo scopo di completare il quadretto, poveraccio [5], questo suo naufragato tentativo di giovanil-io-sono-originalesimo risulta niente altro che una spaventosa e ridicolissima frittata di cattivo gusto.

Ah, la musica, pffft. E certo, mi dimenticavo la musica. La solita robetta giocata sulla riuscita di suggestioni melodiche, facilona e abborracciata - basso e voci mediane praticamente inesistenti, ideucce piccine picciò in gran parte scopiazzate, un po’ al tardo-romanticismo, un po’ a quell’usuratissimo e ormai infinito bacino di minimalismo annacquato stile Nyman - banali melodie non sempre riuscite e, anzi, spesso insulse e pure lagnosette (Panic ad esempio, la canzone cardine del suo ultimo album, è la sigla di Mio Mini Pony, non si discute [6]); quando cerca di cimentarsi su strutture un minimo più complesse, ahilui, la butta tragicamente in caciara. Sono pezzi che sembrano improvvisati al momento: non c’è ricerca, l’elaborazione tematica è ridotta al minimo, non c’è un cavolo di studio, una serie di (vanamente accattivanti) luoghi comuni impilati uno sull’altro. Giovanni Allevi stesso, del resto, conferma queste impressioni uscendosene con stupidaggini altisonanti come “Suonare è non pensare” - nell’elogio all’abbandono che compare sul sito, nella sua fissazione per l’acqua, l’acqua come metafora di vita, di musica e bla bla, il che è davvero emblematico, perché rende alla perfezione l’idea di Giovanni Allevi e della sua musica: un flusso appariscente e senza controllo di inutili conati.

[1] perché mai i genitori, entrambi musicisti, impediscono al pargolo di suonare il piano? si tratta forse della solita lacrimosa trama degli artisti falliti che soffrono per i propri fallimenti e non vogliono dare al figlio le stesse sofferenze? (Allevi: consideralo un suggerimento)
[2] il preludio in La maggiore di Chopin, dice lui - e uno (il patito di Giovanni Allevi, che ovviamente non sa niente di musica) pensa mamma mia, il preludio in la maggiore, chissà che cosa difficilissima, e si immagina una cosa così, mentre invece è questa puzzetta qua (nulla di cui bullarsi, neppure a dieci anni)
[3] nella pagina degli “scritti”, clic su “la cena di muti” - anche questa storia qui la raccontava diversa, all’inizio: non c’era la signora che lo ascolta per caso rimanendo annichilita e non c’era la missione segreta all’inaugurazione della Scala; c’era soltanto lui che un giorno facendo il cameriere ha servito Muti al ristorante, punto
[4] oh, si potrebbe fare uno studio comparativo tra la sua, e l’idiota rappresentazione del picchiatello promossa da quell’altro simpatico originalone di Simone Cristicchi - a volersi far del male, dico
[5] ah certo, i capelloni sbarazzini, un tasto per capello (eh eh): consiglio, tra un paio d’anni, di rinnovarsi - maturizzandosi - con un paio di baffoni alla Frank Zappa
[6] ovviamente non c’è storia: Mio Mini Pony batte Giovanni Allevi un milione a zero

di Betty Moore per

le Malvestite

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