Nostalgia e labirinti a Shutter Island

Inviato da  Calvero il 8/3/2010 0:20:50


Da una parte le nostre affermazioni alla Vita, tremano, inciampano; vengono ferite, lacerate, investite... e la nostra mente si contorce, reagisce, cerca la Vita: <<Legittima Difesa! vostro Onore>> a volte questa potrebbe essere quasi un imprecazione per tutelare i nostri orrori; le nostre colpe.

Da un'altra parte la ricerca di una memoria Kafkiana attraverso lo stilismo visivo del thrilling e di tutti i suoi, perché no?, bellissimi luoghi comuni che lo distinguono, ci ammaliano: quelle impronte chiamiamole <<ad effetto>> di una figura che, scorgendosi tra le nebbie misteriose delle vicende che odorano di Noir o, se vogliamo, di Paura... si avvicina...



Meglio degli anni "50, in America, non poteva essere ambientato: gli anni del dopo guerra, dove ancora molte ferite e tanti drammi odoravano di fresco e, soprattutto, si respiravano attraverso una coscienza comune; in una collettività ancora, in parte, genuinamente ignorante; messa alla sbarra da un progresso che incalzava, stordiva, confondeva.



Tutto pare strabordare all'inizio, in questa pellicola: gli stessi costumi del protagonista sembrano portati come si portano alle recite scolastiche, ma il crescendo, nonostante una certa pedanteria, non molla mai e piano ..piano veniamo condotti attraverso una presa di coscienza che, se abbiamo voglia di lasciarci andare, ci porta alle conclusioni e il piombo diventa "Oro". Oro, ben inteso, a livello di equilibri ristabiliti. Così i personaggi diventano Vivi come all'inizio non potevano essere.



I sogni a volte ci invadono, e quando si frantumano riescono a ledere con un impatto così improvviso, da farci dimenticare chi siamo. In questa prospettiva Shutter Island non dice certo qualcosa di nuovo, ma sublima il concetto degli internati e dei malati di mente attraverso un percorso che prende le distanze da tutti quelli che giudicano senza il minimo di empatia necessaria. Un percorso forte, e surreale solo se sono gli altri a viverlo... poiché quando le distorsioni della sofferenza si avvinghiano ai lumi della ragione, nulla è più surreale, ma tutto diviene tremendamente crudo.



Così, anche registicamente, Scorsese ha mosso una Pedina sulla scacchiera della sua carriera cercando un ritorno al "fumetto cinematografico" (questa la nostalgia). Soltanto a visione terminata, all'ultima frase dell'ultimo dialogo, solo allora ci si rende conto e ci si sente fragili. Fondamentalmente fragili; piccoli (questi i labirinti). Si comprende come il caleidoscopio della vita, quando smette di far luccicare i miraggi che cercano tutte le strade per farci sopravvivere, impatta con la realtà e ci dice quanto nella pazzia le scintille chiedono aiuto; quanto si può rimanere SOLI ma veramente soli, anche quando fino a un attimo prima tutto poteva dirci il contrario.

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