Tarantino, cinema & metavita

Inviato da  Calvero il 22/5/2010 17:18:20
..I'VE SEEN THINGS.. a Pike la continuazione in inglese

..come non avrebbero potuto colpire l'immaginario dei nostri cuori queste parole? - con Philip K. Dick, attraverso le immagini che raccontavano uno "suo" "mondo", in qualche modo [in noi] ancora fa presa questa mirabile sequenza! ........ questo dipinto espressionista antesignano Cyber-Punk

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...mai come in questa sequenza una colomba bianca era veramente così bianca, mi capite?

Ridley Scott, quella volta, sudò sette camice per riuscire a trasporre la visione Dickiana in una metamorfosi Scottiana. Chi aveva rubato a chi? ..quel che si sà è che Dick quando assistette ad una sequenza di Blade Runner rimase colpito nell'aver visto il "suo" mondo come lo immaginava; le atmosfere come le aveva "sognate". Così il suo << Ma gli androidi sognano pecore elettriche? >> (questo il titolo originale del libro da cui Scott ha tratto il film) si materializzò ai suoi occhi (in breve sequenze) poco prima di morire.

..qualcuno ha visto cose che noi neppure potremmo immaginare, così, per parafrasare la celebre frase nell'epilogo del film: persi nella realtà [noi], amiamo perderci nella magia dell'inafferrabile. Tiimbrati i nostri cartellini quotidiani, un esigenza ancestrale ci guida, chi più chi meno, al sognare in quel che qualcuno definisce << sospensione della credulità >>.

Così, nel buio di quella sala cinematografica - 1976 - mi persi bambino, silenzioso in questa "sospensione" (era il King Kong di Guillerman). Non un lamento, non una richiesta: riverente silenzio da quel bambino su quella poltrona... e dove/come rimasi sospeso, ancora non lo sò. I miei si stupirono della mia immobilità. Della mia "maturità"...

Nell'universo Junghiano (nonché inseminato attraverso percorsi psicologici dai notevoli studi Nicciani) gli archetipi ci ammantano con flebili e delicati equilibri di consapevolezza. L'arte, nella sua inutilità (inutilità intesa alla Wilde, cioè come espressione di una incomprensione verso sé stessi; verso l'espletamento di una dionisica voglia di esprimersi; verso la comprova di uno scopo razionale inesistente se non in nome della sopravvivenza della specie; verso la consapevolezza dell'inutilità del credere di sapere), ci mostra l'utilità di rifletterci in essa. Poiché il vero artista ripudia il pubblico. Non lo riconosce. Purtroppo, in questo senso - alla Pike - il Cinema è morto, ha fatto il suo tempo....
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Ma mentire, in questo caso sarebbe veramente fuori luogo. L'emozione non ha voce, canta Celentano, non scordiamoci quindi il valore cinematografico di quelli che urlano vendetta. La voce di Tarantino se non è lusinghiera o ci fa storcere il naso, quantomeno porta il nostro cuore a ricordarci qual'è il rumore di una puntina che solca il vinile...




... sempre più passivi davanti agli spettacoli, nulla di nuovo ci viene più raccontato: ma meglio argomentato, al limite.

Nel ripercorrere le strutture di un Cinema che fu, Tarantino non copia né plagia nulla di quella magia che fù, ma si prende l'onere (nonché la consapevolezza) di quel che ancestralmente siamo, quando la maggior parte degli artisti - da tempo - hanno smesso di raccontarcelo; di proporcelo, di viverlo - in primis essi stessi [si veda Peckimpah e Leone o Bergman]..

In Death Proof vi è una sequenza, stratosferica a dir poco, in cui una protagonista prende il telefonino e, messaggiandosi via sms con un ragazzo, palesa l'anacronismo di quel giradischi di un Juke-Box perduto nella nostra memoria. Di un tempo che vuole ritornare. Rincoglioniti [noi] da ogni formato compresso della digitalizzazione moderna, da ogni forma di I/Pod et similia -, non siamo neanche più persi (magari) ma spostati dal nostro centro di gravità genuino, che la tecnologia di una "volta" permetteva focalizzare. Una sequenza, quella con il telefonino, tanto romantica quanto incompresa.

Così come anche l'inseguimento tra le autovetture di una volta verso l'epilogo (quelle vere macchine, quelle che RUGGIVANO cristo santo!) che si "intromettono" in una strada tra autovetture di oggi che a confronto paiono rasoi elettrici (per dirla alla Sin City) ...a segnalarci l'ennesima idiosincrasia di questo spartiacque artistico che rivela il nostro appiattimento.

Quant'è bella l'ignezione elettronica; più sicura; più affidabile. Bene andate a fanculo e ridatemi il mio carburatore che ingoia aria e benzina come si conviene a un motore che vuole ruggire, come si conviene a un cinema che vuole grattare le unghie sullo schermo.



<< avanti figlio di puttana, metti mano alla tua arma e fammi vedere... >>

Eh.. caro Don Siegel, il tuo Dirty Harry (Callaghan per gli italioti, che poi è Callahan ) non era sporco come qualcuno crede. Sporco è il cinema che vuole essere pulito. Probabilmente, in un certo senso, dopo Matrix il nulla. Se non fosse per il cinema potente e anti-accondiscendente di Paul Thomas Anderson, un rigurgito di vera forza artistica è raro respirarlo.

L'introspezione nei personaggi di Tarantino ripercorrono un lascito che prende forza proprio attraverso il "richiamo della foresta" dell'arte. In Death Proof, ad esempio, il metacinema gioca con sé stesso fino al limite parossistico in cui la violenza è la sublimazione delle nostre esigenze di ritrovarci. Per quel che siamo. Per quel che una volta, quando gli artisti erano vivi, si agitava in noi - e il Feedback col mondo esterno era più consapevole DEI suoi limiti.

In una società come la nostra (chiamiamola società per essere gentili) le lusinghe e i comfort hanno lasciato che il progresso venisse mascherato, e con esso - l'Arte stessa.



Prima di cercare una liberazione attraverso l'arte impariamo a riconoscere quali prigioni stanno costruendo attorno ai nostri cuori. Cerchiamo i distruttori prima dei liberatori ...la libertà è sempre e soltanto una conseguenza. Impariamo a distruggere. Noi siamo i distruttori, cioè creatori.

Così tra le nebbie e i fumi di un industriosa città; con tutti i suoi cartellini quotidiani... forse riusciremo, insieme agli occhi di Rutger Hauer, lasciare libera la nostra colomba bianca. E, seduti in quella stanza buia << sospesi nella nostra credulità >>, a connetterci con i mondi ancestrali di un Cinema che si chiama a sé stesso.


..è tempo di morire.

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