Re: Ecco perché non vogliamo le discariche

Inviato da  ivan il 22/10/2009 20:21:09
Dal manifesto:

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Sigillata la cava radioattiva

<E' una macchia rossa, intensa. Quasi un cuore, che batte sottoterra, a trenta metri dal suolo. E’ quello che gli esperti chiamano sito con radionuclidi artificiali, non presenti in natura. Un cuore inumano, dunque. E velenoso, mortale. Ieri la Procura di Paola - per mano del coraggioso e silenzioso Bruno Giordano - lo ha fermato, mettendo i sigilli ad un pezzo di montagna tagliata, come da una falce. Per la cronaca giudiziaria è un sequestro cautelativo, serve, cioè, ad impedire che qualcuno possa cambiare la carte in tavola. E nella nebbia fitta della storia dei traffici di rifiuti radioattivi non è per nulla scontato che mani estranee e molto furbe cerchino di confondere le acque. Tecnicamente si chiama depistaggio.
«Io non ho mai detto che sono i rifiuti della Jolly Rosso», sottolinea, dunque, il procuratore Giordano. Di passi falsi fino ad ora non ne ha fatti e adesso il terreno diventa scivoloso. Il fatto che nella cava posta a fianco del fiume Oliva siano stati trovati i segnali della presenza di rifiuti nucleari è grave. E’ la prova inoppugnabile che la Calabria è stata la meta dei peggiori traffici. Via terra o via mare, a questo punto, poco importa.
La genesi dell’inchiesta racconta molto bene questo pezzo della storia dei crimini ambientali in Italia. A poche centinaia di metri dalla cava radioattiva per anni la Procura di Paola aveva cercato i resti di una nave. Si chiamava Rosso - anche se era più conosciuta nell’ambiente con il nome precedente di Jolly Rosso - e si arenò nella spiaggia a valle del fiume Oliva il 14 dicembre del 1990. Era appena ripartita dopo una lunga sosta forzata sul molo di La Spezia , dove era giunta nei primi mesi del 1989 con un carico terribile, fatto di fusti di rifiuti tossici scaricati vicino a Beirut nei mesi precedenti da una ditta di Opera, la Jelly Wax di Renato Pent. Così era nato il nome di nave dei veleni, tanto pesante da convincere gli armatori - la Ignazio Messina di Genova - a cambiare il nome, chiamandola semplicemente Rosso.
Un cambio strano, per chi mastica un po’ di marineria, visto che contemporaneamente la Messina acquistava una nuova nave, dandogli quel nome maledetto di Jolly Rosso. Una nave ancora oggi in circolazione nelle acque del Mediterraneo.
La domanda che dopo lo spiaggiamento - che terminò in una rottamazione sul posto, durata diversi mesi - si posero gli inquirenti era che fine aveva fatto il carico della nave. Sulla carta si trattava di cose di poco conto, tabacco e prodotti alimentari.
Ma c’erano tanti dubbi sulle modalità del naufragio, prima, e della gestione del relitto poi. Ma soprattutto era la storia della nave che inquietava, anche perché poco prima dello spiaggiamento un tale ingegner Giorgio Comerio - esperto di smaltimento di rifiuti nucleari - aveva fatto un’offerta alla Messina per acquistare la nave.
Pare che volesse utilizzarla per l’inabissamento di siluri carichi di scorie radioattive. Una storia molto curiosa, con presenze di faccendieri, trafficanti d’armi e stati compiacenti. Una storia ancora oggi da raccontare.
I tanti anni di ricerche e di indagini non portarono a nulla. L’armatore è uscito dal processo con una archiviazione e l’unico che ha ricevuto una condanna - in realtà una oblazione - è la società che smantellò la nave. Ora a trecento metri da dove veniva cercato il carico della Rosso è apparsa la cava radioattiva.
Le ricerche erano iniziate lo scorso anno, dopo l’apertura di una indagine della Procura di Paola contro imprenditori di Amantea accusati di traffico di rifiuti: scorie che venivano dal nord, mischiate con rifiuti locali e smaltiti illegalmente in Puglia. Per questa indagine venne chiamato un nucleo specializzato della Guardia Costiera, che per mesi osservò il movimento di camion e tenne d’occhio la zona del fiume Oliva. Durante gli appostamenti si resero conto che quella zona aveva qualcosa di particolare, di sospetto. La scorsa primavera il Procuratore Giordano va a verificare: nel fiume c’era un sarcofago di cemento con rifiuti tossici e sulla cava la radioattività era cinque volte superiore al normale.





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La rivolta del popolo calabrese

Per secoli i calabresi hanno visto il mare come un pericolo, il vettore su cui passava l’invasore, una distesa acqua e sale di cui non coglievano il senso (anche la letteratura calabrese fino al Novecento ignora il mare). Poi, improvvisamente, la svolta. Dalla metà del secolo scorso, i calabresi hanno abbandonato in massa colline e montagne e hanno occupato gli 800 e passa chilometri di coste. L’hanno fatto spesso in modo selvaggio, come testimoniato dalla estetica delle costruzioni, in modo illegale – la gran parte delle costruzioni hanno usufruito dei vari condoni edilizi - e senza quella cura e quel senso di appartenenza, quel genius loci che lega gli abitanti alla storia di un territorio.
Ma, le nuove generazioni sono in gran parte nate sul mare ed hanno imparato ad amarlo, a viverlo come parte costitutiva della loro identità. Il film di Mimmo Calopresti «Preferisco il rumore del mare» può essere assunto come il punto di svolta, un messaggio emblematico che segna il salto culturale compiuto dalle nuove generazioni. In questi ultimi venti anni sono sorti decine e decine di circoli e centri di vela, canottaggio, wind surf, immersioni e foto subacque, pesca sportiva. Sono decine di migliaia i giovani calabresi emigrati, per ragioni di studio e lavoro, che tornano ogni anno per questo mare e queste spiagge che adorano, che non cambierebbero con nessun altro posto.
Molti di loro saranno ad Amantea sabato prossimo, parteciperanno con rabbia e convinzione a quella che sarà sicuramente una grande manifestazione che ha una valenza storica: si tratta della prima rivolta di massa contro la ‘ndrangheta.
Mai sono state scritte, dal cittadino calabrese medio, parole di disprezzo così dure e cariche di rabbia contro i signori della ‘ndrangheta e della politica che hanno prodotto il più grande disastro ambientale nella storia calabrese. In pochi giorni, sono più di trentamila le firme raccolte dal Quotidiano della Calabria per protestare contro l’inerzia del governo e chiedere la bonifica integrale dei fondali marini a Cetraro, Vibo e Capo Bruzzano, e la ricerca delle altre navi affondate. Sindaci della costa dell’Alto Tirreno calabrese, di qualunque colore politico, sono andati a Roma a protestare e saranno centinaia i sindaci che da tutta la Calabria verranno ad Amantea. Niente aveva prodotto tanto sdegno, rabbia, ribellione. Non i settecento morti ammazzati nella guerra di ‘ndrangheta dal 1985 al ’92, non i centinaia di sequestri di persona che colpirono anche molti professionisti locali , non le decine di scandali che coinvolgono una parte significativa della classe politica calabrese. Nemmeno l’efferato omicidio Fortugno, malgrado il clamore nazionale e la nascita di un movimento di giovani «ora ammazzateci tutti» che ebbe un forte lancio mediatico, riuscì a coinvolgere tutta la Calabria e, soprattutto, tanti giovani.
Chi ha trasportato e fatto affondare decine di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi, ha prodotto un disastro ecologico che rischia di fare concorrenza a Chernobil per le conseguenze sulle catene alimentari. La ‘ndrangheta ci ha messo la faccia e ne è uscita a pezzi, ma gli ‘ndranghetisti hanno fatto solo i manovali di questa impresa criminale. I mandanti si trovano nelle sedi delle multinazionali, tra i manager delle centrali termonucleari, i dirigenti dell’Enea di Rotondella, pezzi importanti dello Stato, a partire dai servizi segreti. Un intreccio di interessi che vanno al di là dell’immaginabile e che fa emergere sulla scena della storia una nuova classe dirigente: la borghesia mafiosa. Di fatto è una classe sociale già arrivata al potere in molti paesi – Colombia, Messico, Russia... – e non c’è da stupirsi se in questo bel quadretto sia già finito il nostro paese.
D’altra parte, studiosi di lungo corso come Umberto Santino o il procuratore generale della Repubblica Piero Grasso da anni parlano di «borghesia mafiosa» e non più di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Per la prima volta si va a uno scontro aperto con questa «nuova borghesia» che farà di tutto per insabbiare le indagini, impedire che i fusti vengano ripescati, che altre navi affondate vengano individuate.E’ una lotta impari. Ma questa volta, statene certi, il popolo calabrese non si farà ricacciare sulle montagne. Qui non si tratta di saraceni selvaggi e violenti, di OttoMani che razziavano e fuggivano, qui si tratta di una SolaMano, una Mano Nera che ha messo in discussione il diritto alla vita nel mare e fuori.
Per questo sarà una battaglia epocale. Non una questione calabrese, ma una questione nazionale e internazionale perché il mare non conosce frontiere.



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Dal Messaggero

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Nave dei veleni, Menia: radioattività 3-6 volte superiore alla media

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Inquinamento grave. In alcune zone del comune di Aiello Calabro (Cosenza) è stato rilevato un «inquinamento grave» con valori radioattivi «da tre a sei volte superiori alla norma». Lo ha detto il sottosegretario all'Ambiente Roberto Menia nel corso dell'informativa del governo alla Camera sulla cosiddetta nave dei veleni scoperta al largo della Calabria. Il sottosegretario ha elencato tutti gli interventi che si stanno mettendo in campo - sia sulla terraferma che in mare - per procedere entro tempi brevi all'accertamento dei reali valori di inquinamento della zona ed ha annunciato che verrà fatta una «indagine sistematica» su tutto il fiume Oliva.

Quattro zone inquinate. Quanto alle aree dove è stato rilevato l'inquinamento, sulla terraferma, Menia ne ha indicate quattro: nella zona di Valle del Signore è stata scoperta una cava «riempita di rifiuti di diversa tipologia»; in località Carbonara gli esperti hanno ravvisato la presenza di «migliaia di metri cubi di rifiuti urbani e industriali»; in due diversi punti in località Foresta sono stati individuati sia una zona (2.000 metri quadri per uno spessore di tre metri) piena di rifiuti composti da «polvere di marmo, caratterizzato dalla presenza di metalli pesanti con valori superiori a quelli consentiti dalla legge per siti industriali e una presenza di Cesio 137», sia un manufatto di cemento, alla profondità di 11 metri, pieno di «rifiuti con concentrazioni elevatissime di metalli pesanti quali mercurio, cobalto, selenio».

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