Re: Euro-crack: cosa pensavano gli economisti dell'Euro, prima del suo avvento

Inviato da  infosauro il 6/6/2012 14:36:56
Interessante. Riporto la lettera degli economisti in questione.

http://documentazione.altervista.org/appello_europa_1997.html
E' un abbaglio
L'Unione economica e monetaria non è un buon modello per una ampia integrazione economica europea. Non vi è una base solida, scientifica per la moneta unica. Vi suggeriamo di riconsiderare il progetto, ma non di abbandonare il disegno della cooperazione europea perché una moneta unica e una politica monetaria comune sono in grado di offrire vantaggi di rilievo. Il 16 e 17 giugno voi sarete ad Amsterdam per discutere l'integrazione europea. Vi consulterete circa i progressi ottenuti per raggiungere l'Unione Economica e Monetaria (Emu). Molte domande sono ancora senza risposta. L'Emu inizierà come previsto alla fine di questo secolo? Quali paesi vi faranno parte sin dall'inizio? I parametri del Trattato di Maastricht verranno tutti rispettati?
Queste sono senz'altro questioni importanti, che però non toccano i problemi essenziali dell'Europa. Voi sapete che oggi l'Europa è afflitta da alta disoccupazione, povertà, marginalizzazione sociale e degrado ambientale. L'attuale progetto di unificazione economica europea non presenta soluzioni adeguate a frenare questi fenomeni. Le politiche nazionali degli stati membri sono chiaramente insufficienti. La questione chiave se i programmi sul tappeto di ulteriore integrazione europea, e in particolare l'Emu, siano in grado di avvicinarci a soluzioni adeguate.
I vostri consiglieri economici vi hanno detto che l'Emu, così come previsto dal Trattato di Maastricht (Dicembre 1995) e dal patto di stabilità di Dublino (Dicembre 1996) darà all'Europa più occupazione e stabilità. Noi, economisti dei paesi membri dell'Emu, temiamo che sia vero piuttosto il contrario. Questo progetto di integrazione economica e monetaria è carente non soltanto dal punto di vista sociale, ecologico e democratico, ma anche da quello strettamente economico.

Un'occasione mancata
Si tratta di una occasione mancata. Una moneta unica europea potrebbe essere molto utile e aiutare sulla strada di un pieno impiego caratterizzato da lavori di buona qualità e dalla presenza di un sistema di sicurezza sociale.
Questo ed altri obiettivi significativi potrebbero essere raggiunti attraverso politiche di bilancio e monetarie favorevoli a una crescita economica sostenibile, e attraverso la convergenza a livelli migliori di salario, tempi e condizioni di lavoro. Ma l'Emu che abbiamo di fronte non è un buon punto di partenza per uno stato del benessere moderno; al contrario, si istituzionalizza lo smantellamento del settore pubblico negli stati membri, e si riduce lo spazio di manovra per politiche attive sociali e di bilancio.
Secondo il Trattato di Maastricht, gli stati membri devono rispettare cinque criteri di convergenza per poter prendere parte all'Euro. Oltre ai parametri relativi ai tassi d'interesse a lungo termine, all'inflazione e al debito pubblico, un altro requisito è che il disavanzo del bilancio dello stato non deve eccedere il 3% del prodotto interno lordo (Pil). Quasi nessuno degli stati membri attualmente rispetta questo criterio. Senza tener conto della congiuntura economica, tutti i paesi sono stati messi sotto pressione per passare la prova dell'Emu: molti tra di voi hanno ormai esperienza di manovre draconiane di austerità necessarie per potercela fare.

Danni sociali rilevanti
E' tanto più notevole allora che questo criterio, che sta causando danni sociali rilevanti, sia privo di una base economica seria. Non la pensano così soltanto economisti come noi. Uno dei vostri ospiti ad Amsterdam, il ministro olandese delle finanze Zalm, ha detto nel marzo 1992, quando era ancora direttore dell' Ufficio della Programmazione Centrale Olandese: "I parametri relativi alla finanza pubblica dettati dal Trattato di Maastricht non hanno alcun fondamento economico solido".
Il ragionamento che sta dietro i criteri di convergenza viene dalle dottrine monetariste, che non sono accettate dalla maggioranza degli economisti. La riduzione dei disavanzi di bilancio condurrebbe a minore inflazione, e ciò produrrebbe automaticamente crescita più sostenuta e maggiore occupazione. Studi economici recenti di economisti famosi come Akerlof, Dickens e Perry (1996), Barro (1995), Bruno (1995), Sarel (1996) e Stanners (1995) mostrano che si tratta di tesi a cui non corrisponde verifica empirica.
2. Anche qualora vi riesca, con enormi sforzi, di ricondurre i vostri disavanzi di bilancio al 3% entro il 1998, ciò non basterà a entrare nell'Euro. Fintantoché il vostro debito pubblico sarà superiore al 60% del Pil o non si ridurrà con la velocità richiesta, dovrete mettere in atto piani di austerità ancora più severi. Ciò si verificherà di sicuro se la crescita economica continuerà a essere lenta, qualcosa di tanto più probabile quanto più si avvita la spirale dell'austerità.
La pressione sui vostri bilanci rimarrà alta anche per un altro motivo: il patto di stabilità che avete siglato a Dublino spinge i paesi partecipanti all'Emu a ridurre ancora di più i loro disavanzi di bilancio in direzione del pareggio dei conti dello stato. In breve, negli anni a venire tutti i paesi membri dovranno simultaneamente aggiustare verso il basso i loro bilanci nazionali in modo sempre più duro. Le recessioni di oggi e quelle di domani verranno esacerbate di conseguenza.
3. A Dublino avete probabilmente agito nella convinzione che il patto di stabilità vi lascerà qualche margine entro il quale porre mano a politiche anticicliche. Ma passeranno molti anni prima che voi ne possiate creare i presupposti nel bilancio dello stato. I vostri disavanzi di bilancio dovranno prima essere scesi di molto sotto il 3%. Sfondare il limite del 3% nel corso di recessioni economiche è infatti virtualmente impossibile, dal momento che il patto di stabilità concede esenzioni temporanee su base estremamente limitata.

Programmi di austerità
4. Benché di solito venga negato, gli aggiustamenti di bilancio necessari a cui abbiamo fatto riferimento dovranno aver luogo per il tramite di programmi di austerità molto duri. Dal momento che a Maastricht e a Dublino non sono state proibite politiche di concorrenza sul terreno fiscale da parte degli stati membri, tasse e trasferimenti verranno ridotti. Ciò in pratica renderà impossibile ridurre i disavanzi attraverso un aumento dell'imposizione tributaria. Il nostro timore è che la concorrenza tra politiche economiche si estenda in altri settori. Le battaglie fiscali tra gli stati stanno diventano sempre più acute, e le conseguenze sono già palesi nella forma di una crescente diseguaglianza nei redditi, di privatizzazioni accelerate, di deprivazione sociale.
Prevediamo anche, negli anni a venire, una competizione crescente per quel che riguarda i progetti infrastrutturali dannosi dal punto di vista ambientale (per esempio, centinaia di milioni di Euro saranno spesi per costruire nuovi aeroporti, o per espandere quelli attuali). In questo modo, la concorrenza tra politiche economiche minerà i redditi nazionali e imporrà una ristrutturazione delle spese statali.
5. La politica che ci si può attendere dalla Banca Centrale Europea (Bce) aggraverà la pressione deflazionistica risultante da questa giostra dell'austerità. La Bce è di fatto obbligata a mirare alla stabilità dei prezzi, e lavorerà esclusivamente allo scopo di rendere forte l'Euro. Il noto economista americano Paul Krugman ha già espresso i suoi timori circa gli effetti negativi di tutto ciò sull'occupazione. In quanto "unica" istituzione europea in grado di promuovere una politica economica e sociale, la Bce incontrerà scarsa o nulla opposizione. Il "Consiglio di Stabilità" sembra destinato a giocare un ruolo simbolico. Parlamenti e governi non avranno più la possibilità di correggere le politiche della Bce quando la banca prenderà misure radicali per combattere l'inflazione, dal momento che quest'ultima godrà di una completa autonomia. Come ha osservato recentemente George Soros, l'economia è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei banchieri centrali!
6. In breve, i paesi che stanno per condividere una moneta unica stanno, al tempo stesso, perdendo strumenti importanti di politica macroeconomica. Dentro l'Unione, ciò è evidente per quel che riguarda l'aggiustamento tramite il tasso di cambio, che diverrà ovviamente impossibile una volta instaurato l'Euro. Dal momento che i tassi di interesse tenderanno a essere eguali dappertutto, che la mobilità del lavoro tra paesi europei è (ancora) limitata, e i trasferimenti comunitari compensativi non sono stati ancora decisi, l'unico strumento rimasto a disposizione dei paesi europei per far fronte alle fluttuazioni economiche è la spesa pubblica. Ma, come abbiamo detto, anche questo strumento è stato tolto di mano ai governi dal patto di stabilità di Dublino. Questo significa che sarà il mondo del lavoro a pagare il conto delle recessioni, con disoccupazione crescente, compressione dei salari, maggiore flessibilizzazione e precarietà del lavoro.

Aggiustamenti necessari
Questo Emu non è, insomma, un buon modello per una ampia integrazione economica europea. Potete aver agito pensando che gli economisti siano tutti d'accordo sulle virtù dell'Emu, e che tutti gli aggiustamenti necessari sono certamente penosi dal punto di vista sociale e politico ma cionondimeno necessari da quello economico. Non è vero. Non vi è una base solida, scientifica, per l'Emu, e molti di noi ne hanno dato testimonianza in passato nelle riviste scientifiche e altrove. Vi suggeriamo quindi di riconsiderare il progetto dell'Emu. Non di abbandonare il disegno della cooperazione europea: al contrario. Una moneta unica e una politica monetaria comune offrirebbero vantaggi di rilievo. Ma questo Emu è retto da parametri e dogmi del passato. Una sapiente arte della politica economica non deve essere rimpiazzata da regole rigide, ma deve essere determinata essenzialmente dalle circostanze. In gioco è la democrazia: il quadro dell'Emu libera voi e i vostri colleghi dalla preziosa obbligazione democratica di assumervi la responsabilità per le vostre scelte politiche.
Oggi, questo Emu non offre alcuna prospettiva di dare una risposta adeguata ai problemi ecologici, di affrontare il dramma di 20 milioni di disoccupati e di 50 milioni di poveri, di difendere ed estendere lo stato del benessere. In quanto critici dell'Emu, ci si imputa di mettere in pericolo la cooperazione europea, e ci si dice che faremmo meglio a stare zitti. Siamo invece fermamente convinti che il maggior pericolo per l' Europa risieda nel come è stato disegnato questo Emu, tanto che milioni di europei identificano l'Europa e l'Euro con politiche di austerità e con disagi sociali.
E' tempo ormai che i politici se ne rendano conto: i popoli europei hanno diritto ad una economia che sia al servizio degli esseri umani.
Dr. Geert Reuten (Amsterdam, NL), Drs. Kees Vendrik (Amsterdam, NL), Drs. Robert Went (Amsterdam, NL). Seguono 25 firme dall'Austria, 8 dal Belgio, 14 dalla Danimarca, 4 dalla Finlandia, 29 dalla Francia, 13 dalla Germania, 38 dalla Grecia, 6 dall'Irlanda, 37 dall'Italia, 58 dall'Olanda, 4 dal Portogallo, 9 dalla Spagna, 6 dalla Svezia, 65 dal Regno unito.


12 giugno 1997

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