Re: Dialogo reale tra operatori di borsa svoltosi l'11 Luglio...

Inviato da  Descartes il 17/2/2009 18:32:52
Un aggiornamento sulla pesante situazione Unicredit, in caduta libera in borsa da alcuni giorni:

UNICREDIT: NUOVO PESANTE CALO (-7,84%)

Milano, 17 feb. (Adnkronos)- Nuovo pesante calo per il titolo Unicredit che dopo un'ora di contrattazionicede il 7,84% a 1,116 euro. Negli ultimi trenta giorni il titolo della banca guidata da Alessandro Profumo ha perso oltre il 30%. A pesare sul titoli anche i timori per la situazione economica dell'Est europeo dove Unicredit e' molto presente.

fonte: link


lunedì 9 febbraio 2009
Unicredit, Crt e i libici più forti
Alessandro Profumo, i veronesi non sono riusciti a rimuoverlo


Con Carimonte sottoscriveranno i 440 milioni di bond rifiutati da CariVerona

FRANCESCO SPINI
MILANO
Saranno libici, Fondazione Crt e Carimonte Holding a sottoscrivere - al posto di CariVerona, che venerdì ha opposto il gran rifiuto - i 440 milioni mancanti ai 3 miliardi di obbligazioni convertibili «cashes» che il 16 febbraio UniCredit emetterà al posto del fallito aumento di capitale. L’emissione, che permetterà a Piazza Cordusio di innalzare il principale ratio patrimoniale, il Core Tier 1, al 6,7%, si conferma dunque dell’importo originale. Ma la diversa suddivisione dei sottoscrittori cambierà la geografia societaria della banca guidata da Alessandro Profumo: nel momento in cui le obbligazioni saranno convertite, la Central Bank of Libya sarà il primo azionista con circa il 7%, mentre Crt diverrà il più rilevante socio italiano, mettendo così in secondo piano l’ente veronese, e soprattutto stringerà un asse più forte con Carimonte. Assieme i due soci italiani si trovano in mano il 9% dei diritti di voto, tutti esercitabili.

A formalizzare la «rete di protezione» messa in campo dai grandi soci, sono intervenuti ieri sera due comunicati incrociati di UniCredit e Mediobanca in cui si assicurava la conferma dei tre miliardi di emissione a fronte degli «impegni di sottoscrizione di cashes» ricevuti da Piazzetta Cuccia da parte di «investitori istituzionali» al posto di CariVerona. Ma niente particolari. Che, a quanto si apprende, dovrebbero essere questi: i libici faranno la parte del leone nel soccorso al pacchetto di 440 milioni di euro (sarebbe questa la somma da recuperare) sottoscrivendo oltre la metà della somma mancante, 250 milioni. Gli altri 190 verrebbero dalla Fondazione Crt (circa 130) e da Carimonte Holding (60). L’opzione più probabile tra quelle che verranno sottoposte oggi all’approvazione del consiglio della fondazione torinese, già convocato per l’approvazione del bilancio, e a quello della fondazione bolognese sarebbe un intervento comune dei due azionisti, ricorrendo in parte al debito.La soluzione, insomma, se da un lato rende più stretti i rapporti tra Crt e Carimonte, dall’altro accresce il potere di Fabrizio Palenzona dentro UniCredit, mette all’angolo Paolo Biasi e apre la strada agli uomini di Gheddafi nella governance del gruppo.

Di tutto questo se ne avrà una prima prova oggi, quando, nel primo pomeriggio, si riunirà il comitato governance e nomine di UniCredit. Una riunione da cui uscirà l’indicazione diretta al consiglio di amministrazione in agenda per giovedì, per la riconferma - in vista dell’assemblea di inizi maggio - di Dieter Rampl e di Profumo rispettivamente come presidente e amministratore delegato. Da giovedì in avanti, invece, comincerà la discussione sui singoli componenti da inserire nella lista di maggioranza e, al pari, delle cariche da distribuire in relazione alla nuova configurazione della compagine dei grandi azionisti. In questo capitolo rientrerà la questione Libia, che potrebbe avere uno o, visto l’ulteriore impegno assunto, due consiglieri. Ancora aperta la questione di una vicepresidenza per Tripoli. Di certo dalla Libia hanno già indicato un loro rappresentante: si tratta del governatore della Central Bank of Libya, Farhat O. Bengdara. Sarà un lavoro lungo, insomma, da cui CariVerona uscirà decisamente ridimensionata: se prima mirava a sfilare addirittura la presidenza a Rampl a favore di un suo candidato, ora sarà probabilmente costretta a presentare una lista di minoranza.



16/02/09
La Libia rinforza il suo investimento in Unicredit con 3.000 milioni in obbligazioni convertibili

La Central Bank of Lybia aumenterà la sua quota attraverso la sottoscrizione di obbligazioni convertibili (contanti) vincolate all’estensione di capitale di 3000 milioni di euro in Unicredit, la principale banca italo-tedesca.

Secondo quanto ha affermato l’ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur, l’operazione ha l’approvazione del primo ministro italiano Silvio Berlusconi. La banca libica, già azionista di Unicredit, alla fine dell’anno scorso ha incrementato la sua quota fino al 4.9% del capitale. Ora sottoscriverà anche 250 dei 500 milioni di euro del prestito convertibile che l’altro socio della Unicredit, la fondazione Cariverona, ha deciso di non sottoscrivere.

Unicredit e Mediobanca hanno assicurato che altri soci ed investitori si faranno carico dei restanti 250 milioni, tra questi figura la Crt (Cassa di risparmio di Torino), e pertanto “l’esecuzione dell’operazione rimane confermata nella misura originaria di un massimo di 3 milioni di euro”.

fonte: link



UNICREDIT: La banca di Profumo rischia “una Stalingrado monetaria”
Mauro Bottarelli

martedì 17 febbraio 2009

Normalmente chi si occupa di economia e finanza legge come primi giornali della giornata quelli anglosassoni, ovvero Wall Street Journal e Financial Times. Poi, a cascata, quelli europei: Faz, Suddeutsche Zeitung, Le Monde, El Pais. Difficile, invece, concentrarsi in una rassegna stampa seria e ragionata dei giornali austriaci. Un errore. Grave, in questi giorni. Ma partiamo dal principio.

La scorsa settimana il ministro delle Finanze austriaco, Joseph Pröll, ha infatti messo in atto un disperato tentativo di racimolare 150 miliardi di euro per un piano d’intervento per l'ex blocco sovietico a rischio default: non stupisce, visto che l’Austria ha prestato 230 miliardi di euro a paesi di quella regione, qualcosa come il 70% dell’intero Pil austriaco. La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo valuta il tasso di debiti negativi - ovvero, di fatto inesigibili - al 10% con possibilità di arrivare al 20: peccato che una percentuale del 10 già rappresenta il crollo tecnico del mercato finanziario austriaco, come scriveva il quotidiano viennese Der Standard.

Eccoci, quindi, l’aggancio con il precedente richiamo alla lettura della stampa austriaca. Da alcuni giorni, infatti, oltre le Alpi i quotidiani parlano molto chiaro rispetto al futuro di due banche: Bank of Austria e la sua proprietaria, ovvero Unicredit, rischierebbero infatti «una Stalingrado monetaria» se le istituzioni internazionali non porranno in atto un piano di aiuto e salvataggio per paesi come la Lituania, l'Ucraina e la Repubblica Ceca, debitori e potenziali insolventi.

D’altronde, basta guardare ai dati. Stephen Jen, capo del monetario alla Morgan Stanley, valuta infatti in 1,7 trilioni di dollari la mole di denaro presa a prestito dall’Europa dell’Est, quasi tutta su short-term maturities. Ovvero, da ripagare in fretta. Basti pensare che entro quest’anno dovrebbero essere ripagati agli istituti europei finanziatori, qualcosa come 400 miliardi di euro: buona fortuna, il default è alle porte visto che il mercato del credito è una finestra sbarrata e il Fondo Monetario Internazionale è già corso in soccorso di Islanda, Ucraina, Pakistan, Bielorussia, Lituania e Ungheria (e ora tocca alla Turchia) dissanguandosi.

Non se la passa meglio la Russia che deve ripagare 500 miliardi di dollari di prestiti contratti dagli oligarchi, peccato che il rublo vada a picco, economia e Borsa pure e soprattutto visto che il budget del 2009 è stato elaborato basandosi sul costo del barile di petrolio - il cosiddetto Brent degli Urali - a 95 dollari, quindi un input importante per la casse di Mosca. Solo che oggi il petrolio viaggia sui 33-34 dollari e molti analisti parlano di 25 dollari al barile entro aprile-maggio: un bagno di sangue.

Insomma, o si salva l’Est oppure salta tutto. Ma il fatto che la Germania, attraverso Peer Steinbruck, abbia già detto all'ultimo vertice dell'Ecofin che quello del default dell’ex blocco sovietico è «un problema austriaco e non dell'Ue» aggiunge preoccupazione a preoccupazione. Il perché di questo è presto detto. Si avvicina, infatti, il momento della nazionalizzazione di una banca tedesca. Tutti i nodi non sono ancora stati sciolti ma il governo federale ha confermato che un progetto di legge per permettere la nazionalizzazione di un istituto di credito è in via di definizione e verrà discusso dal consiglio dei ministri di domani: una modifica legislativa è necessaria poiché attualmente in Germania l'acquisizione d'imperio da parte dello Stato non è permessa.

La candidata principale alla prima nazionalizzazione dalla fine della Seconda guerra mondiale è Hypo Real Estate, istituto di credito che ha già beneficiato di aiuti miliardari in questo ultimo anno e mezzo ma che versa ancora in enormi difficoltà: impossibile per Berlino non intervenire, visto che l’istituto è cruciale per il mercato dei Pfandbriefe, le obbligazioni ipotecarie: a tal fine il governo sta ancora trattando con il socio di riferimento, l’investitore J.C. Flowers, per trovare un’eventuale intesa sul prezzo.

Domenica intanto il ministro delle Finanze Peer Steinbrück ha detto che la situazione delle banche tedesche è fonte di «grande preoccupazione». Se a questo uniamo il fatto che i governi europei sono esposti per il 74% dell’intero portafoglio di prestiti dei mercati emergenti (un altro scherzetto da 4,9 trilioni di dollari) e che il Fondo Monetario Internazionale sta finendo le sue riserve di 200 miliardi di dollari, il quadro appare davvero fosco.

Almeno quanto quello prefigurato sull’inserto Business del Sunday Times da Simon Johnson, ex capo economista proprio del Fondo Monetario Internazionale, secondo il quale o il prossimo G7 porrà al centro della sua agenda il salvataggio dell’Irlanda oppure la tigre celtica andrà in default sul debito entro la primavera: si parla di 70 miliardi di euro di debito per un paese di pochi milioni di abitanti con un’economia a pezzi, il mercato immobiliare in fallimento e la delocalizzazione delle major statunitensi che sta distruggendo il sogno della ripresa.

I credit default swaps per assicurarsi sul default del debito irlandese venerdì scorso hanno toccato i 350 punti base, un dato devastante: per assicurare 100 dollari ne servono 3,5 di rischio paese mentre esattamente un anno fa bastavano 10 pence ogni 100 dollari.

La vera crisi sta arrivando, fino ad oggi abbiamo visto soltanto il trailer. Dalle stanze della politica romana, così come dai giornali italiani, registriamo un rumoroso silenzio al riguardo.

fonte: http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=12574

NOTA: quando si legge "Verona" si deve leggere "Opus Dei", che a Verona ha la sua capitale finanziaria.

Messaggio orinale: https://old.luogocomune.net/site/newbb/viewtopic.php?forum=46&topic_id=4492&post_id=134072