Re: Sul perché non è Giusto mangiare la carne.

Inviato da  Pispax il 26/9/2012 0:58:58
Red_Knight


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Questo è quello che sono riuscito a capire fino a questo momento:

1) la scelta morale sembra essere intuitiva più che razionale.
Si basa sul "sentire".
Una cosa del tipo "amo il mio gatto quindi non mangio il pollo" (garantisco che non c'è ironia in questa affermazione).

Non lo trovo corretto.
Il sentire consiste nel provare affetto per il proprio gatto e contemporaneamente farsi venire l'acquolina in bocca per il pollo arrosto. Questo non è razionale né irrazionale, di per sé. La ragione, che esige coerenza, pone degli interrogativi sul come agire appunto coerentemente in base a questi due stimoli. A quel punto occorre rispondere.


La cosa che intendevo è che alla base di questa idea morale non c'è una teorizzazione precisa che la giustifichi sul piano intellettuale.
Non c'è per esempio un ragionamento preciso che metta in rapporto (paritario?) la "dignità" dell'Animale con quella dell'Uomo; e non c'è neppure una particolare speculazione che permetta di ritenere intellettualmente fondata l'esistenza stessa di quella dignità: ci si limita ad accettarla per vera.

Questo non significa che così non vada bene, sia chiaro. Anche se questa vaghezza produce le sue contraddizioni.





Citazione:
E questa è, credo, la risposta che viene dalla ragione. Non per una questione tassonomica, ma per coerenza con la volontà di evitare la sofferenza (sul perché esista in noi questa volontà, c'è da poco da ragionare: è un dato di fatto che fa parte della definizione di umanità).
...
Non è possibile, normalmente, fregarsene completamente di queste sofferenze se ne si è a conoscenza e si prova a realizzare mentalmente in cosa consistono (fate tutti un esperimento e immedesimatevi per un istante nel maiale o nella mucca). Se ci si analizza per un attimo a mente fredda, si scoprirà che il modo in cui la naturale disapprovazione della sofferenza viene tacitato è non pensarci o giustificarsi. Non pensarci significa o non averci mai pensato una singola volta, oppure autoingannarsi ogni qual volta il pensiero affiora alla mente.
Giustificarsi significa trovare argomenti a favore della propria autoassoluzione. Nel caso in oggetto, ce ne sono a bizzeffe. Il problema è se questi sono razionali o se, una volta postisi il problema, vengono accettati con bispensiero pur di far cessare l'analisi. Il dibattito, a mio parere, dovrebbe concentrarsi qui.


Dissento in parte - ma nettamente - da questa affermazione.
Se riconduciamo il tutto alla nozione di Umanità, otteniamo una sorta di "legge" universale, o quantomeno un comportamento largamente diffuso (o oggettivamente desiderabile) fra gli esseri umani.
La cosa lasciata in questi termini potrebbe persino definire un continuum di Umanità, dove ci si colloca più o meno in alto a seconda dell'attenzione con cui si esercita la volontà di evitare la sofferenza.



Eppure non ho notato differenze significative fra le opinioni degli onnivori e dei vegetariani quando si parla di evitare le sofferenze agli esseri umani.
Tu hai avuto impressioni diverse?

Anzi: mi è capitato molte volte di sentire vegetariani convinti sostenere tesi particolarmente orribili, tipo che bisognava cannoneggiare direttamente i barconi dei clandestini nello Stretto di Sicilia (solo per citare un esempio che ho già usato).

Conosco un intero esercito di gattare, quasi tutte vegetariane e qualcune addirittura vegana: ma praticamente nessuna di loro fa cose come un'adozione a distanza di un bimbo del Terzo Mondo, o sostenere il commercio equo-solidale.
In compenso spendono cifre molto più alte per acquistare le scatolette di cibo per gatti.


Questo è uno dei motivi che mi ha spinto a cercare di capire meglio: anche se il problema dei confini non viene mai affrontato di petto, apparentemente esiste un confine superiore che spinge un gran numero di queste persone a preoccuparsi delle sofferenze degli esseri viventi tutti, Uomo escluso.

E questo tipo di approccio allora diventa parecchio "singolare" se si decide di abbinarlo a quella specie di "continuum di Umanità" di cui dicevo prima.
A mio avviso questo aspetto avrebbe bisogno di qualche approfondimento in più, forse ancora più di quel "bispensiero" di cui parlavi prima.

Che, è bene ricordare, è tale solo se si accettano le premesse "implicite" (e non definite) di cui parlavo prima: il rapporto fra le diverse dignità e il riconoscimento stesso di una "dignità" animale.
Eliminando anche uno solo di questi due concetti tutta la questione potrebbe venir ugualmente risolta - parlando sempre sul piano logico - dall'evitare le crudeltà contro gli animali, lasciando inalterata la possibilità di nutrirsene.
(Il concetto di "autoassoluzione" non sembra necessario, visto che il "peccato", per venir commesso, richiede l'adesione a un codice morale che è "sentito" individualmente piuttosto che definito "formalmente")

Ma è evidente come questa eventualità venga ritenuta "insufficiente" da chi ha scelto quei regimi alimentari: e questo ci riporta alla necessità (opportunità?) quantomeno di approfondire i concetti di "dignità".

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