Re: Approccio alla Bibbia. chiavi di lettura

Inviato da  Rickard il 7/10/2015 10:43:22
Vorrei proporre un’ipotesi, frutto di varie cose dette lungo il thread.

INTERPRETAZIONE E POPOLI SENZA METAFORE

È stato ampiamente detto come gli antichi ebrei e altri popoli trattati nella Bibbia fossero sprovvisti di una grande immaginazione. Avevano una mentalità molto pratica, vivevano il mondo “coi sensi” anziché “con la mente” e anche il loro linguaggio rispecchiava tale impostazione mentale. Questo è uno degli assunti più importanti in assoluto per Biglino, poiché il suo lavoro si basa proprio sulla lettura più letterale possibile, “facendo finta” che ciò che è scritto nella Bibbia sia una cronaca di fatti avvenuti così come vengono raccontati; questa lettura cerca di trovare parte della propria legittimazione in questa presunta assenza di metafore e “giri di parole” nella mentalità e nel linguaggio degli antichi ebrei.

L’ipotesi che propongo è che è possibile che gli antichi ebrei fossero metaforici ma in un modo diverso da quello che noi comunemente intendiamo. È possibile che unissero un impianto metaforico a descrizioni molto “concrete”, per dare maggior forza al proprio racconto, perché effettivamente vivevano il mondo coi sensi e anche i loro racconti mitici e religiosi risentivano di tale impostazione mentale.

Facciamo un esempio: si è discusso molto del Kavod che Yahweh mostra a Mosè, intimandogli di “non guardarlo di fronte” ma di osservarlo di sbieco da dietro le rocce, per evitare di morire a causa della visione e del passaggio del Kavod. Questo episodio può essere effettivamente metaforico, ma permeato di quella forma mentis molto “concreta” che lo stesso Biglino conferma più volte. Il Kavod può essere, in questo caso, una manifestazione molto concreta della potenza di Dio, una potenza distruttiva e che nessun uomo mortale può sostenere “di fronte”; trattandosi però di una metafora mutuata da quella mentalità “concreta”, si descrive la potenza di Dio come di un qualcosa che rispetta le leggi del mondo, e che quindi può essere sostenuta se si sta al riparo di rocce e non la si guarda “di fronte”.

Un altro esempio: la questione dei sacrifici offerti in olocausto a Dio, che ne assaporava la fragranza, è stata oggetto di varie discussioni. Seguendo l’ipotesi, gli olocausti erano davvero a un dio immateriale, che però veniva reso più reale e manifesto nei racconti biblici. Come gli ebrei vivevano il mondo “coi sensi”, anche il loro dio, nel testo sacro, “assapora” la fragranza degli olocausti, come potrebbe fare un essere terreno.

Si potrebbe andare molto avanti ma credo che ci siamo capiti.

Un popolo che vive il mondo “coi sensi” non è per questo privo di immaginazione o della capacità di costruire metafore. Semplicemente, tali costruzioni saranno permeate della loro forma mentis, con varie antropomorfizzazioni di concetti astratti o divini, con concrete manifestazioni del soprannaturale. La “gloria di dio” è qualcosa di fisico e distruttivo, di molto concreto e da vivere “coi propri sensi”, non solo come esperienza mentale. Gli olocausti sono offerti a dio che li assapora, e così via.

A tutto questo vanno poi aggiunte le questioni sulle fonti inquinate da manipolazioni che tutti conosciamo.

Perché credo che tale ipotesi sia importante? Perché mi sembra legittima ed è un’alternativa valida alla visione di Biglino degli ebrei come un popolo incapace della minima allegoria o immaginazione religiosa e narrativa. Il “problema” è che, se viene a mancare la legittimità dell’assunto di Biglino, anche il suo lavoro ne risente, in quanto risulta ancora di più una scelta arbitraria, piuttosto che determinata da fattori reali e oggettivi.

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