Re: Papa Francesco e il lato oscuro della Chiesa

Inviato da  benitoche il 23/6/2015 16:06:21
Domanda:

Citazione:

Slobbysta ha scritto:
La domanda è.. Perché Cristo si è manifestato in quella limitata zona? Cosa hanno in meno i cinesi, i polinesiani, i sudamericani? Perché non si è manifestato nella cultura dei popoli citati? O chissà dove?
Insomma per un Dio è un piano per lo meno balordo, piombare in medio oriente, sulla base della violenza subita, farne un'icona macabra e contare sul Impero Romano per la diffusione... Perché gli aborigeni sono stati ignorati da Gesù? Dio contava sugli inglesi?

Sta storia ebraica è misera e razzista... Gli ultimi sono stati trascurati!



Risposta:

Le tue parole servono solo al tuo EGO per ergerti sopra a tutto anche a Gesù Cristo, ma sei in buona compagnia e del resto la vita è tua.

Ognuno vede ciò che porta in cuore ,diceva il saggio

Adesso ti darò una risposta sensata ,spero che tu riesca a metterti da parte così da comprendere ciò che viene scritto,ma nutro forti dubbi


Una tipica cultura del sangue, la troviamo nel popolo ebraico dei tempi precristiani. Nel primo anno di regno di Ciro, re di Persia, gli Ebrei, che fin dai tempi di Nabucodonosor (587 a.C.) si trovavano prigionieri a Babi- lonia, ottennero il permesso di ritornare nel loro paese. Naturalmente durante il lungo soggiorno tra i Caldei erano avvenuti dei matrimoni misti. Moltissimi Ebrei, ritornati in patria, avevano mogli caldee e figlioli nati da esse. Il sommo sacerdote Esdra prese una decisione che a noi sembra inumana. Ordinò che tutte le donne straniere fossero rimandate nel paese d’origine assieme ai propri figlioli. La misura colpí quasi tutte le famiglie, anche le sacerdotali, e gettò il popolo nella piú profonda costernazione. Molte donne si rifiutarono di ritornare
nella casa paterna conducendo seco anche i bambini. Questi allora furono esposti, cioè lasciati morire di fame. In altre occasioni le misure prese contro coloro che avevano contaminato il sangue, furono ancora piú crudeli. A che cosa tendevano questi provvedimenti spietati? C’è una precisa legge biogenetica che si può enunciare nel modo seguente: il sangue affine favorisce la trasmissione ereditaria. Il sangue diverso la ostacola. È questa una legge intuitiva, eppure la scienza esteriore la ignora completamente. Espressa in maniera chiara e distinta, epperò geniale, la troviamo in un opuscoletto di Rudolf Steiner, intitolato: Il sangue è un succo molto peculiare. La scienza trova inesplicabile il fatto che dall’unione di due esseri consanguinei, sperimentata anche in laborato- rio con conigli e cani, nasca talvolta prole degenere, talaltra invece compaiano magnifici esemplari della specie.


La legge sopraddetta districa questa apparente inesplicabilità. Se c’è nei genitori legati da affinità sanguinea una tara anche assai lieve, una disposizione morbosa magari ancora occulta, esse compariranno nella prole in tutta la loro evidenza; ma se invece questi genitori sono sani, trasmettono ai figlioli le pure qualità della specie.
I sacerdoti iniziati degli Ebrei conoscevano questa legge e l’hanno fatta rispettare. I loro provvedimenti radicali e apparentemente crudeli erano fondati nella conoscenza spirituale. Il popolo ebreo era un “popolo eletto”, cioè scelto, distinto, selezionato dagli altri. Le qualità della razza dovevano essere trasmesse, di generazione in generazione, in modo sempre piú puro, affinché alla fine ne apparisse il fiore. Il fiore della razza ebraica è Gesú di Nazareth, nel quale poi prese dimora il Logos creatore del mondo. I progenitori di Gesú, per quarantadue generazioni, si congiunsero sempre tra parenti di grado stretto.
Parrà singolare il fatto che la contaminazione del sangue veniva intesa dagli Ebrei come il maggior peccato contro Jahve. Il Dio stesso del popolo, apparendo sul monte a Mosè, aveva rivelato che la mescolanza con altre razze avrebbe suscitato la sua gelosia perché dalla mescolanza altri Dèi sarebbero stati portati in seno al popolo ebreo. Per mezzo del suo sangue dunque il popolo ebraico si manteneva in contatto con la divinità. «Io sono il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe». Attraverso le generazioni fluiva lo spirito del popolo. Il distacco dalle generazioni significava perciò la rottura con la divinità: Jahve – l’Io del popolo – che era dentro il sangue; il sangue era lo strumento con il quale egli operava nella corporeità fisica e la foggiava in modo che in essa, o con maggior precisione nel suo organo piú elevato, il cervello, potesse alla fine comparire un pensiero non del tutto avulso dalla divinità. Nel suo sangue, l’Ebreo sentiva l’Io del popolo.
Il sangue è anche per l’uomo moderno il portatore dell’Io. Quanto piú sentirà in sé attivo l’impulso dell’Io, tanto maggior valore darà l’uomo al suo sangue.

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