Tutto (o quasi) si risolve in linguaggio...

Inviato da  ludfrescj il 10/12/2007 12:14:01
Vorrei cominciare col proporre una sorta di lettera emblematica (come proposta, come richiesta o che altro) indirizzata genericamente ai presidi delle scuole medie/superiori del nostro Stato, e non solo. Ritengo che storia, arte, cultura, tutto si riduca sempre/ogni cosa a una questione di linguaggio - o di linguaggi - attraverso cui si comunica con altri e con se stessi. Il nostro linguaggio va migliorato in cento modi: sostantivato più che aggettivato, sintetico più che analitico, poetico più che prosastico. Al che, la lettera che propongo può costituire un pretesto, un espediente, uno stimolo; anche valere provocazione, metafora, fabulazione; oppure contenere un convincimento, una strategia, un progetto... (quello che si vuole). Insomma: essere/costituire un inizio di discussione sul linguaggio delle parole che usiamo. Poi si vedrà!...

SCHEDA DI PROPOSTA (proposta da ludfrescj)

Stimato Preside, prof. ………,

la richiesta che le rivolgiamo è tanto semplice che non avrà difficoltà a inol-trarla a professori e studenti per definirne ammissibilità e fattibilità.

Si tratta di consentire, tra le attività extra/scolastiche del suo Istituto, un ‘labo-ratorio poetico’: tre incontri di un’ora con scadenza settimanale (una sorta di inizio – è il nostro auspicio). Questo spazio – che le domandiamo – lo defini-remmo prova o tentativo, o forse meglio prolegomeni per un’idea che ci ispi-ra/sollecita da tempo e vorremmo vedere in qualche modo realizzata: la crea-zione di una ‘scuola poetica’… (niente po’ po’ di meno – ci passi l’antìfrasi popolana).

Non esistono scuole di poesia – ci sembra – contro le migliaia di altre dedica-te alle arti in genere. La poesia che ne è regina – l’arte per eccellenza – ispi-rando un tempo libri sacri e cosmogonie, leggende epocali e drammaturgie le più architettate, e qualche secolo fa ancora i sagrati delle chiese fiammeg-gianti di laudi appassionate, le piazze dei giullari, i palchi degli istrioni, è tal-mente decaduta da non essere neppure più letta (come andrebbe letta) ed ascoltata (come si dovrebbe ascoltare).

Sì, perché la poesia è voce e volto prima che essere scrittura!

Quest’arte – originaria ed ultima – da quattro/cinque secoli, sviluppandosi il pensiero scientifico e matematico e ingegnandosi certa umana creatività in strumenti di legno/di metallo i più bizzarri, ha cominciato prima a flettersi, poi sgomitata malamente a farsi sempre più di lato, fino ad essere estromessa, del tutto come ora accade. Estromessa da un’altra arte: la musica.

(La musica non sarà mai concettuale come la poesia e la poesia non sarà mai stordente come la musica!… Per noi, la poesia è ormai immeritatamente ca-davere; mentre la musica – che richiede soltanto bravura tecnica e circense – esclusivamente rumore.)

Il discorso è serio ed è politico, sig. Preside! Il discorso non è risibile, ma ideologico, sig. Preside! Ad ogni sistema di potere – intendiamo dire – serve più divertire/distrarre gente e popolo con giri armonici gradevoli o estasianti (al limite) piuttosto che con versi profondi/pesanti come pietre – non ne con-viene? Un uomo che sente non è mai pericoloso come un uomo che pensa!

Naturalmente c’è la grande lapide dell’EUR: “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi…”. E non c’è editrice rinomata o sconosciuta che non contempli almeno una collana di poesia. E poi si sa – basta scorrazzare qualche decina di minu-ti in internet per constatare che non c’è giovane/vecchio, omino/donnone, fanciulla, bambino o chi altri che non si lasci andare a qualche pensiero sospi-roso, silloge minima, strofeggiatura larvata, magari da voler pubblicare e fan-tasticarci sopra/intorno con premi ed allori.

Che forse Ciampi non nominò Luzi senatore a vita nel 2004?

Ma diciamoci la verità, sig. Preside: la poesia non si legge… I più preferireb-bero, a dover scegliere, occhielli e titoli d’un quotidiano! Molti la scrivono, sì, almeno una volta nella vita; ma nessuno di loro – neppure di questi – o quasi nessuno la legge: la poesia è ritenuta fondamentalmente noiosa, senza narra-to, spesso del tutto incomprensibile; intanto che…

Intanto che gli insegnanti di lettere del mondo (o almeno i nostri) si destreg-giano tra Lesbo e Luzi, davanti a generazioni di giovani schierati in banchi, a far storia/critica poetica e basta. E che!… forse propongono, almeno uno/una sola volta/soltanto, un tema da svolgersi – che so? – in endecasillabi in rima incatenata?!!

Lei obietterà d’impeto: “Nella nostra scuola sì, vivaddio! I nostri insegnati di lettere la fanno leggere, la poesia. E i nostri alunni ci si cimentano in classe con entusiasmo e bravura…”

D’accordo/d’accordo, sig. Preside – mi perdoni la generalizzazione impropria: la sua scuola è un’eccezione – lo sappiamo. Ma allora, a maggior ragione, domandiamo a lei/professori/studenti se è anche possibile leggerla – questa benedetta poesia – nei nostri tre incontri richiesti: liberamente, i versi che uno vuole, i propri o di altri, in un angolo di sala/saletta, per un’oretta o giù di lì.

A conclusione, questa la nostra richiesta più materiale: una piccola pedana con leggio, due faretti (uno che illumini il testo e l’altro che illumini il volto) e un microfono – tutto qui. A turno. Chi vuole. Con ordine. Davanti a un pubbli-co minimo ma silenzioso/silenziosissimo come si sta al cinema o a teatro.

In quest’angolo/in quelle tre ore – se del caso – noi faremmo a titolo del tutto gratuito la parte dei semplici ‘orchestratori’.



ludfrescj

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