Re: ISHMAEL: pensieri, dubbi, domande, critiche.

Inviato da  Dr-Jackal il 13/10/2011 21:48:41
Gesù, che stanchezza. Dovrei aver risposto a tutti, comunque.

@Pyter:
Citazione:
Ma questi problemi di sovrapopolazione sono già notizie scientificamente acquisite o ci si può discutere sopra

Buona domanda, che avrebbe dovuto venir fuori prima.
Che siamo già di gran lunga troppi sul pianeta comunque è sicuro. Solo pochissimi reazionari continuano a negarlo.
L'impronta ecologica umana globale è troppo elevata addirittura del 40%. (fonte 1: Ecological Footprint Atlas 2010, fonte 2: GEO Report 2007). Il che significa che usiamo il 40% in più delle risorse naturali che potremmo usare in modo sostenibile. Quindi le stiamo consumando a un ritmo troppo elevato perché possano venire rigenerate.

Perfino il mio libro di testo di "Sociologia dell'Ambiente" (dal titolo omonimo, di Pellizzoni e Osti) dice che è un dato di fatto che la popolazione attuale è troppo grande e insostenibile. Non si tratta di una teoria eretica o innovativa.

Ogni giorno si estinguono intorno alle 150 specie animali e vegetali in tutto il mondo (fonte: United Nations News Center) E secondo altri (come Jared Diamond) sono pure stime troppo conservative e ogni giorno si estinguono fino a 400 specie. Le stime variano perché è impossibile sapere il numero preciso.
Che siamo nel bel mezzo di un'estinzione di massa causata (per la prima volta nella storia del mondo) da attività umane e non naturali, è una cosa che in pochi negano ormai (consiglio di leggere "La sesta estinzione", di R. Leakey e R. Lewin).
Tutte queste specie vengono distrutte ogni giorno principalmente dall'agricoltura totalitaria. E non intendo dall'inquinamento dei diserbanti, erbicidi e fertilizzanti chimici, intendo dal semplice atto di disboscare interi ecosistemi per trasformarli in allevamenti intensivi o campi coltivati. Stiamo convertendo le altre forme di vita in protoplasma umano a un ritmo folle, e più cibo produciamo, più persone compaiono. Più persone compaiono, più cibo produciamo, in un circolo vizioso che sta rapidamente sterminando le altre forme di vita. Questo è un problema anche PER NOI perché gli ecosistemi sono fatti di forme di vita, e se ne muoiono troppe, alla fine crollano e smettono di funzionare. Questo significherebbe niente più aria pulita, acqua potabile e cibo. E la nostra tecnologia non è ancora neanche lontanamente in grado di simulare l'attività di un ecosistema, e di sicuro non a livello globale.

In uno studio del 1994 intitolato “Cibo, Terreno, Popolazione e l'economia degli Stati Uniti”, David Pimentel, professore di ecologia alla Cornell University, e Mario Giampietro, ricercatore all'INRAN (l'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione), hanno stimato che la massima popolazione umana sostenibile sarebbe di 2 miliardi di persone per l'intero pianeta (e 200 milioni per gli USA). Questo tenendo presente l'impatto ambientale umano dell'epoca. Altre stime però sono più generose, fissando il limite da 4 a 10 miliardi.
Il problema di questi calcoli più generosi è che spesso considerano la capacità produttiva totale del nostro pianeta, e non solo quella SOSTENIBILE come dovrebbero, per cui il risultato finale viene molto più alto. E' vero che al momento potremmo produrre cibo per 10 miliardi di persone, ma non è affatto vero che potremmo continuare a farlo in modo sostenibile, ossia illimitato, perché il prezzo da pagare per produrre tanto cibo è distruggere il nostro ambiente.

Inoltre, spesso viene considerato solo il semplice aumento del numero di individui, e non anche il continuo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo e il conseguente aumento dell'impatto pro-capite degli abitanti di quelle zone (ossia quanto ogni individuo influisce sul pianeta), che minaccia di diventare rapidamente pericoloso a livello globale. Se l'impatto pro-capite degli abitanti delle nazioni sviluppate è pari a 32, quello degli abitanti del Terzo Mondo è ora solo 1 (fonte: J. Diamond, "Collasso: come le società scelgono di morire o di vivere"). Ma lo sviluppo e la modernizzazione di quelle zone lo sta facendo aumentare sempre di più, ed è stato calcolato che se tutti i paesi in via di sviluppo raggiungessero gli standard di vita di Europa o Stati Uniti, l'impatto umano totale sul pianeta aumenterebbe di 12 volte (basterebbe che li raggiungesse solo la Cina per raddoppiarlo - fonte: sempre J. Diamond, "Collasso"). E come abbiamo detto, già l'impatto attuale è del 40% eccessivo e insostenibile.


@Shm:
Citazione:
Quinn sostiene che la sopravvivenza a tutti i costi non è necessariamente una priorità e considerarla una priorità comporterebbe un’alterazione dell’equilibrio naturale…

Uh? Dove dice una cosa simile? Non mi ricordo di averla mai letta in nessuno dei suoi libri, e in compenso mi ricordo di aver letto affermazioni contrarie.
Nella parabola delle nave che affonda dice chiaramente che la nostra priorità assoluta è sopravvivere, anche a costo di rimandare la soluzione di tutti gli altri problemi (ed è solo uno dei molti casi in cui lo dice).
Inoltre, in "If They Give You Lined Paper..." (scaricabile nel sito nella mia firma) dice chiaro e tondo che questo fantomatico "equilibrio naturale" da proteggere NON ESISTE, perché la natura è in costante squilibrio, specie continuano a modificarsi, a comparire e ad estinguersi senza sosta (è proprio in questo che consiste l'evoluzione), quindi lo scopo non dev'essere mantenere l'equilibrio naturale (che non esiste) ma semplicemente non accelerare troppo il tasso di estinzione, perché se è troppo rapido l'evoluzione non riesce a rimpiazzare le specie che scompaiono con altre nuove, e l'ecosistema finisce per disgregarsi. (il tasso di estinzione attualmente è 120.000 volte superiore a quello pre-agricolo - fonte: "La Sesta Estinzione").

Citazione:
C’è quindi una differenza fondamentale tra uomo e animale che non permette di rapportarli nel comportamento sociale e nella gestione della sopravvivenza poiché i due elementi sono sostanzialmente diversi per le facoltà pratiche e intellettuali.

E questo è esattamente l'opposto di quello che dice Quinn, e non solo lui, ma anche vari altri biologi con cui collabora, per non parlare dei dati degli ultimi 10.000 anni. (Questo è uno dei punti più controversi di tutta la filosofia di Quinn, quindi è naturale che sia difficile da accettare.)
In The Story of B dice che sebbene il comportamento INDIVIDUALE di un uomo e quello di un animale differiscono molto, a causa delle capacità intellettive e di pianificazione dell'uomo, il comportamento GLOBALE dell'intera specie umana è indistinguibile da quello di qualunque altra specie. Quindi se continueremo a produrre sempre più cibo del necessario, continueremo ad aumentare sempre più di numero. Se continueremo a vivere in modo evolutivamente instabile, finiremo per estinguerci. Come per qualunque altra specie.
I dati degli ultimi 10.000 anni sembrano confermare questa posizione: più abbiamo aumentato la produttività alimentare, più abbiamo aumentato la nostra popolazione. Senza eccezioni (le uniche occasioni in cui è calata nella storia è stato durante le epidemie di peste e vaiolo, ma appena sono passate abbiamo ripreso ad aumentare di numero). E ogni volta che abbiamo provato a controllare la nostra popolazione con contraccettivi, pianificazione famigliare o politica del figlio unico, abbiamo FALLITO miseramente, di nuovo senza eccezioni (la Cina lo sa benissimo).
Tuttora non solo non esiste la benché minima prova che il comportamento globale della nostra specie differisca da quello di una qualunque altra, ma tutti i dati che abbiamo a disposizione degli ultimi 10.000 anni tendono verso l'ipotesi opposta, quindi la visione della situazione di Quinn mi sembra la più sensata da considerare.

Citazione:
Ecco perché dico una cura realistica potrebbe essere una redistribuzione della ricchezza PROPORZIONALE: partendo dalla distribuzione della ricchezza attuale, dopo qualche generazione i capitalisti scemerebbero… L’ingordigia e l’avidità non avrebbero più terreno fertile dove attecchire perché la società non glielo permetterebbe. Un sovrapproduzione per l’abbassamento dei prezzi dei prodotti concorrenti potrebbe non avere più senso. Allevamenti e colture intensive cesserebbero di esistere ecc. ecc.

Ah, ho capito in che senso la redistribuzione della ricchezza risolverebbe indirettamente il problema ambientale. Ma onestamente mi sembra concretamente impossibile. Tutti quelli che hanno il potere di cambiare qualcosa nella nostra cultura (e anche parecchi che quel potere non ce l'hanno) si opporrebbero con tutte le loro forze a una cosa simile, e convincerli a non essere avidi ed egoisti sarebbe davvero un'impresa impossibile.
Senza contare che gli ultimi dati ambientali dicono che non abbiamo "qualche generazione" a disposizione. Per il 2030 è prevista una crisi globale multipla (di cibo, acqua potabile e carburanti fossili (fonte 1, fonte 2)). Si preannuncia catastrofica, e mancano solo 19 anni.
Ma anche senza previsioni così precise e imminenti, vivendo come facciamo noi, distruggendo il nostro ambiente incessantemente, è logico che alla fine finiremo per estinguerci.

Citazione:
E’ pura utopia! Quali sarebbero le menti più creative? Cosa s’intende per creatività? Le vere cause quali sono? Con quale mezzo si fa capire a “TUTTI”? Con internet? 9/11 docet…

Nessuno ha detto che qualcuno dovrebbe scegliere l menti più creative e mettere solo quelle al lavoro. Quello sì che sarebbe impossibile (come le scegli?). Quinn intende dire che la vera gravità del problema e le sue vere cause dovrebbero divenire note a TUTTI, a livello globale, e tutti dovrebbero rifletterci e lavorare per trovare una soluzione. Sicuramente il 99,9% di queste riflessioni sarebbero inutili, ma se il problema fosse noto a tutti anche i più creativi tra noi avrebbero una possibilità di lavorarci e forse uno di loro riuscirebbe a trovare una soluzione.
Utopia non è di sicuro, non cadiamo nella tentazione di definire "utopia" qualunque compito difficile. Settant'anni fa un ingegnere avrebbe definito "utopia" mettere un computer in ogni casa o costruirne uno piccolo come una valigia, o creare un sistema di scambio di informazioni globale e virtualmente illimitato come internet. Quella che propone Quinn non è un'utopia: basterebbe aumentare la diffusione dei suoi scritti a sufficienza. Difficilissimo, sì. Utopia, no.
Certo è che sembra una proposta molto ottimista anche a me. A volte mi sembra che Quinn abbia troppa fiducia nel genere umano.

Citazione:
…non si può parlare di olocausto e ci si “dovrebbe dedicare a modificare l’autodistruttiva ideologia della nostra civiltà alla RADICE” che comprende anche l’olocausto. Come?

L'ideologia distruttiva di cui parla Quinn con l'Olocausto c'entra solo molto indirettamente. Ingiustizie sociali e politiche e propaganda dei poteri forti sono solo conseguenze dell'ideologia nociva della nostra cultura, non sono ciò che la compone.
L'ideologia di cui parla Quinn è la mitologia della nostra cultura, quel gruppo di fallacie culturali (riguardanti il posto dell'uomo nel mondo e il modo in cui può/deve relazionarsi a esso) che hanno creato il nostro modo di vivere pieno di ingiustizie sociali e che (peggio ancora) ci stanno conducendo all'estinzione: la convinzione che l'uomo abbia il diritto/dovere di sfruttare l'ambiente, la convinzione che sfruttarlo sempre di più risolverà i nostri problemi, la convinzione che l'uomo sia una creatura distinta dal resto della comunità naturale e immune alle sue regole biologiche, la convinzione che il nostro modo di vivere sia l'unico giusto e che dobbiamo continuare a vivere così a tutti i costi, ecc. QUESTA è l'ideologia che Quinn vuole cancellare.
Quinn non fa politica o morale: parla solo di biologia evolutiva. Non vuole rendere gli umani più buoni e incapaci di commettere genocidi o atti di razzismo o di bersi la propaganda. Vuole renderli incapaci di vivere in modo evolutivamente instabile, in modo che la nostra specie sopravviva.

Citazione:
il settimo punto lo considero una contraddizione del punto 3 o 4: CHI e COME si arrogherebbe il diritto di “ricompensare coloro che contribuirebbero alla rivoluzione con la “moneta” della rivoluzione”?

Chi si arrogava il diritto di ricompensare coloro che contribuivano alla Rivoluzione Industriale con la moneta della Rivoluzione Industriale (la ricchezza materiale)? Era stato nominato un impiegato addetto alla "ricompensa"? No. Era il sistema stesso che ricompensava chiunque proponesse una nuova invenzione o un nuovo uso di un'invenzione già esistente. A seconda della sua utilità, e quindi di quanto il popolo la comprava/utilizzava, il detentore del brevetto guadagnava più o meno. Non c'era nessun bisogno che un singolo individuo o una commissione si "arrogasse il diritto di ricompensare" la gente: il sistema si prendeva cura di se stesso.


@Floh:
Citazione:
Quinn non si limita a criticare l'inquinamento da noi causato ma bensi' il progresso umano.

Quello che la nostra cultura intende per "progresso", sì, esatto. E' una delle differenze tra lui e un ambientalista a caso. Di solito gli ambientalisti si limitano a criticare l'inquinamento e la società industriale e a incolparla di tutti i problemi. Quinn invece scava più a fondo e dimostra che le vere cause della crisi ambientale sono state l'adozione dell'agricoltura totalitaria (cominciata 10.000 anni fa) e la conversione del mondo in cibo umano (con conseguente sempre peggiore sovrappopolazione e quindi sempre maggiore conversione) che essa provoca.
Poi ci sarebbe da definire il termine "progresso". Per la nostra cultura, la nascita della civiltà è stato un "progresso". Per Quinn è stato una regressione in vari sensi: ha peggiorato sensibilmente la qualità della vita degli esseri umani, e ci costringe a vivere in modo evolutivamente instabile e autodistruttivo. Una delle cose che dice più avanti in Ishmael è proprio che cambiare il nostro modo di vivere abbandonandone gli aspetti nocivi non ci farebbe "perdere" delle cose, ma ce ne farebbe GUADAGNARE, perché non si tratterebbe affatto di "abbandonare il progresso".

Citazione:
E' la struttura sociale creata dall'industrializzaione elitaria borghese (il consumismo) che manitiene il mondo in uno stadio dell'economia in cui la salvaguardia della biosfera vale meno di zero non certo il progresso di per se.

Questa è la visione classica del problema, ma come ho detto qua sopra è terribilmente limitata e non tiene conto di tutti i dati in nostro possesso.
Anche prima della nascita della società industriale il mondo veniva visto come una proprietà dell'uomo da sfruttare, inquinare e devastare a piacimento. E infatti già allora veniva sfruttato, inquinato, devastato e convertito in campi e pascoli, e quindi in cibo umano che invariabilmente causava un aumento della popolazione e un'ancora maggiore produzione di cibo e quindi di popolazione, nel solito circolo vizioso.
La popolazione umana nel 1750 (all'inizio della Rivoluzione Industriale) era già arrivata a oltre 700 milioni, partendo dai miseri 5-10 milioni che esistevano diecimila anni fa e che si erano mantenuti perlopiù stabili per tre milioni di anni (una fonte tra le tante). Da 5-10 a 700 milioni è un aumento demografico enorme, e fu tutto dovuto all'agricoltura totalitaria. Anche se la Rivoluzione Industriale non fosse arrivata ad aumentare la produttività alimentare e non avesse causato un'impennata del ritmo con cui aumentava la nostra popolazione, essa avrebbe comunque continuato questa crescita inesorabile. A un ritmo più lento, ma l'avrebbe continuata. E dato che il problema più serio della crisi ambientale non è l'inquinamento ma è la sovrappopolazione (che peggiora tutti gli altri aspetti della crisi, in primis l'estinzione di massa delle altre specie e il relativo indebolimento degli ecosistemi), la crisi ambientale sarebbe avvenuta anche senza società industriale. Ci avrebbe solo messo svariati secoli in più. Sembra pazzesco a uno abituato a incolpare la società industriale e il consumismo di tutto, lo so, ma è ciò che ci dicono i dati e la logica.
Anche prima della Rivoluzione Industriale l'uomo era convinto di essere una creatura speciale e distinta dalle altre, e questa convinzione non si trovava e non si trova solo nei religiosi, niente affatto. Ecco perché è così difficile far accettare anche agli atei che l'umanità è soggetta agli stessi vincoli ambientali delle altre specie e quindi NON PUO' vivere in modo evolutivamente instabile senza estinguersi (questa concezione non è nemmeno un'idea originale di Quinn, ma è risaputa nell'ambiente ecologista da molto tempo: viene chiamata "Nuovo Paradigma Ecologico", e si contrappone al "Paradigma dell'Eccezionalismo Umano" secondo cui l'uomo sarebbe in grado di superare le limitazioni e le leggi dell'ambiente con la tecnologia e l'ingegno).
La causa dell'attuale distruzione ambientale non è né l'industrializzazione né il consumismo né il capitalismo, è molto ma molto più profonda. Questo è ciò che vuole far capire Ishmael (avresti davvero dovuto continuarlo, ti sei perso/a un gran libro).

Citazione:
Perche' mai attaccare l'affrancamento - perche' di cio' si tratta - dell'uomo dalle insidie della natura?

Sì, ma non puoi ignorare quello che dico e continuare a ripetere le stesse cose. Ti ho già fatto notare che per i popoli tribali (compreso quello che diecimila fa ha adottato l'agricoltura totalitaria e ha creato la nostra cultura) è privo di senso parlare di "necessario affrancamento da una natura ostile", perché per loro l'ambiente NON E' ostile o insidioso, anzi: è una fonte benefica di cibo, acqua, utensili, vestiti, ecc.
NESSUN popolo tribale considera l'ambiente qualcosa da cui cercare di "affrancarsi". NESSUNO. Anzi, è vero il contrario. Tutti i popoli indigeni che la nostra cultura tuttora continua a cercare di scacciare/convertire (al momento lo sta facendo nella Foresta Amazzonica) reagiscono allo stesso modo: rifiutandosi di cambiare stile di vita e combattendo per conservarlo. Nessuno di loro ha mai reagito ringraziando i civilizzati o abbandonando il proprio modo di vivere per quello moderno, finalmente felici di essere liberi dal proprio ambiente ostile. Perché per loro non è ostile più di quanto per te lo sia casa tua. Gli aborigeni australiani sono stati scacciati nel deserto dai coloni inglesi, eppure continuano a preferire vivere lì che vivere in modo civilizzato, non per testardaggine ma perché quel modo di vivere li soddisfa.
I popoli tribali sono efficaci quanto i primati nel raccogliere cibo ed efficaci quanto i felini nel cacciare, e hanno pochissimi predatori naturali che li insidiano, visto che in pochi sfiderebbero un gruppo di cacciatori umani anziché mirare a prede più facili. Sanno come curare fratture, ferite e malattie comuni usando le erbe a loro disposizione e conoscono perfettamente il loro ambiente, ben lungi dal temerlo. La natura è ostile solo per NOI civilizzati, non per l'uomo in sé. Come ho già detto, queste sono cose basilari che qualunque antropologo sa. Se continuerai a ignorarle non posso fare molto, però.

Questa tua convinzione che la natura fosse ostile e che l'uomo abbia cominciato la civilizzazione per affrancarsi da una vita disgustosa, brutale e breve è una delle FALSE CONVINZIONI che Quinn chiama "mitologia culturale": credenze che ci sono state insegnate nella nostra cultura fin dalla culla e che ci vengono continuamente ripetute da film, romanzi, libri scolastici, fumetti, cartoni animati e documentari, ma che non sono affatto basate sui fatti o logica (e ne sono anzi contraddetti).
Ecco dov'è la mitologia, tanto per farti un esempio tra i molti possibili.
(Avresti DAVVERO dovuto continuare a leggerlo...)

Citazione:
una civita' realmente evoluta tecnologicamente permetterebbe di vivere in mezzo ai confort e non inquinare nulla o poco nulla.

La cosa divertente è che questa descrizione si adatta perfettamente alla vita di TUTTI i popoli tribali ancora esistenti, e non alla nostra (sì, intendo proprio dire che vivono nel comfort, visto che lavorano un'ora o due al giorno e per il resto passano il tempo parlando, intagliando, dipingendo, costruendo utensili o socializzando - di nuovo, ogni antropologo lo sa benissimo, Jared Diamond e Marvin Harris non sono certo gli unici a dirlo).
Noto comunque che continui a insistere sull'inquinamento come se il problema principale del nostro ambiente fosse quello. Come ho già detto, è una visione limitatissima della situazione.

Citazione:
si sta parlando delle necessita' pratiche di un essere vivente che non e' adatto a condurre la vita di un animale tra le mille insidie della natura selvaggia e che per combattere nel grande gioco alla sopravvivenza tra specie che e' la vita ha solo l'intelleto.
L'uomo non ha artigli, non ha forza e' altamente vulnerabile, non e adatto a sopravvivere dovendosi confrontare direttamente con gli altri animali, usa l'intelletto per costruire armi e utilizza il fuoco per tenere le bestie lontane.
Come vedi la natura e di per se ostile con l'intera specie umana, non solo per noi "civilizzatissimi" (i Prendi), la natura e' ostile di per se.

Non so se ti rendi conto di quanto quello che hai appena detto sia spaventosamente insensato da un punto di vista evoluzionistico.
Hai detto che l'uomo non è adatto a vivere nell'ambiente in cui è comparso. Ti rendi conto che in questo modo stai negando l'evoluzione? Fai attenzione, perché questo è un principio basilare: nessuna specie compare essendo inadatta a vivere nel proprio ambiente. Le specie SI ESTINGUONO perché diventano inadatte a vivere nel proprio ambiente (a causa delle mutate condizioni), ma non COMPAIONO essendo inadatte a vivere. Questo è vero per tutte, senza eccezione. Dire che l'uomo fosse inadatto a vivere nell'ambiente che l'aveva generato e plasmato, significa negare che sia comparso evolvendosi come tutte le altre specie. Se vuoi negare l'evoluzione d'accordo, ma dillo subito almeno non perdiamo tempo.

Questa comunque è un'obiezione classica: l'uomo non ha ne artigli né zanne, quindi non è adatto a vivere nella natura ostile. Come ho già detto, è un'assurdità. So che è inelegante, ma vado di fretta quindi permettimi di autoquotarmi: "I popoli tribali sono efficaci quanto i primati nel raccogliere cibo ed efficaci quanto i felini nel cacciare, e hanno pochissimi predatori naturali che li insidiano, visto che in pochi sfiderebbero un gruppo di cacciatori umani anziché mirare a prede più facili. Sanno come curare fratture, ferite e malattie comuni usando le erbe a loro disposizione e conoscono perfettamente il loro ambiente, ben lungi dal temerlo. La natura è ostile solo per NOI civilizzati, non per l'uomo in sé."

Dire che l'uomo non è adatto a vivere confrontandosi con gli altri animali è veramente assurdo. Già ventimila anni fa i cacciatori-raccoglitori umani erano in cima alla catena alimentare (ben prima della civilizzazione) ed erano in grado di cacciare a piacimento qualunque animale, dai mammuth agli orsi delle caverne (che erano alti sui tre-quattro metri).
Usare l'intelletto per costruire armi e utilizzare il fuoco NON significa usarlo per costruire la civiltà. Anche i popoli tribali lo usavano e lo usano tuttora in questo modo, costruendo armi e utensili e usando il fuoco per vari usi. Costruire civiltà non è il modo in cui l'uomo è naturalmente portato a usare il proprio intelletto, come dimostra il fatto che la stragrande maggioranza delle cultura umane non l'hanno mai usato in quel modo.

I popoli tribali che vivono in Amazzonia vivono tuttora a stretto contatto con alcune delle specie più micidiali sul pianeta, dai boa constrictor alle rane velenose. Eppure vivono lì da decine di migliaia di anni e vogliono continuare a farlo. Miracolo? No, hanno semplicemente sviluppato i loro sistemi per tenere a bada questi animali: conoscono le loro abitudini, i luoghi in cui vanno a caccia e a dissetarsi, sanno come ucciderli e come evitarli. Per l'ultima volta: PER I POPOLI TRIBALI LA NATURA NON E' OSTILE NE' UNA NEMICA DA CUI AFFRANCARSI. So che ti sembra incredibile per via delle convinzioni che ti sono state insegnate fin dalla culla, ma è così. Leggi un libro di antropologia a caso se non mi credi.

Dato che non c'è alcun motivo di supporre che diecimila anni fa la natura fosse più ostile ai nostri antenati di quanto lo sia oggi ai popoli tribali ancora esistenti (che vivono proprio come vivevano loro), dire che la civilizzazione è stata loro NECESSARIA per affrancarsene non ha senso.
A ben guardare (come dimostra Ishmael) la civilizzazione non ci ha DATO niente di davvero importante, e in compenso ci ha TOLTO moltissimo (dalla capacità di vivere sostenibilmente e quindi illimitatamente sul pianeta, all'appartenenza a un gruppo informale e ristretto di individui, a un'identità chiara e fuori discussione - quella tribale - tutte cose di cui gli umani sentono ancora oggi il bisogno, come evidenzia Desmond Morris ne "Lo zoo umano", in cui dice: "Siamo ancora, e probabilmente lo saremo sempre, dei semplici animali tribali").

Per inciso: l'assenza di zanne e artigli non significa molto. Le scimmie cappuccine non li hanno e sono molto più vulnerabili di un uomo: come hanno fatto a continuare a esistere per milioni di anni? In natura non sopravvive ciò che è forte (questa è un'altra vecchia falsa credenza già smentita da decenni di studi), ma ciò che è ADATTO. Ed essere adatti non è necessariamente sinonimo di essere forti, come dimostrano le innumerevoli specie senza zanne o artigli, vulnerabili contro qualunque predatore, ma che comunque hanno dei mezzi efficaci per cavarsela e sono esistiti per decine di milioni di anni senza rischiare l'estinzione (finché non è arrivata la nostra cultura).

Citazione:
Si vuole far passare un bisogno proprio dell'uomo per una sorta di atto fideistico non ben definitio...chiamato nel libro "mitologia".

No. Qui sei tu che ignori antropologia e biologia evolutiva e affermi per fede cose chiaramente smentite da decenni di studi.
La tendenza a costruire civiltà NON E' AFFATTO un bisogno proprio dell'uomo. Questa è una di quelle false credenze che costituiscono la mitologia culturale che secondo te non esiste (e che naturalmente non vedi proprio perché ne sei vittima).
A smentire questa credenza in particolare ci hanno pensato la paleontologia e l'antropologia. La paleontologia ha dimostrato che gli umani moderni (homo sapiens) hanno vissuto per duecentomila anni senza mai creare civiltà e senza mai "affrancarsi dalla natura". L'antropologia ha dimostrato che questo non è avvenuto perché erano troppo ignoranti o stupidi per capire come adottare l'agricoltura, perché la maggior parte dei popoli tribali praticava e pratica tuttora l'agricoltura a vari livelli. Non agricoltura totalitaria come noi, quindi non è efficiente quanto la nostra e non produce abbastanza cibo in eccedenza da causare un continuo aumento della popolazione e da alimentare una civilizzazione, ma praticano comunque l'agricoltura (molti, come i Masai, anche la pastorizia). Sostenere che dei popoli tribali in duecentomila anni non avessero capito come far ricrescere le loro piante commestibili preferite significa considerarli solo degli stupidi selvaggi di intelligenza inferiore alla nostra (il che è ovviamente falso, la loro intelligenza media era ed è pari alla nostra). Conoscevano alla perfezione il loro ambiente, quindi è ovvio che si fossero accorti di qualcosa di basilare come che le piante crescono dai semi, e che sapessero che bastava raccoglierli e seminarli per far nascere altre piante di quel tipo.
Ma allora perché in centonovantamila anni non hanno mai iniziato una civiltà? Perché in centonovantamila anni non hanno sfruttato l'evidente potere che prodursi il proprio cibo gli avrebbe potuto dare, quello di sottrarsi finalmente ai capricci della natura, che secondo te tanto gli erano pesati, e di crearsi scorte di cibo per superare carestie e siccità? Tanti millenni di gente intelligente quanto noi, e nessuno nei centinaia di migliaia di popoli tribali allora esistenti ha mai pensato di dire: "Ehi, se seminiamo abbastanza cibo possiamo finalmente sottrarci al giogo della natura ostile che ci ha perseguitato da sempre!" Come te lo spieghi? Come ti spieghi che abbiamo cominciato a costruire civiltà soltanto diecimila anni fa e che per centonovantamila anni non ci abbiamo nemmeno pensato?
E' una situazione ridicola, a meno di non accettare quello che i popoli tribali ancora esistenti hanno detto chiaro e tondo agli antropologi in varie occasioni: "Perché dovremmo vivere faticando quando c'è tanto cibo al mondo che aspetta solo di essere raccolto?" (Questo scambio lo racconta Diamond nel suo saggio: "The worst mistake in the history of the human race") A meno di non accettare, insomma, che l'impulso di costruire civiltà non è mai stato un bisogno fondamentale e innato dell'uomo.
(L'immagine che hai inserito non so cos'è e non capisco cosa c'entri. Una didascalia sarebbe stata utile.)

Citazione:
Non fraintendermi, sono ovviamente anch'io schifato dall'inquinamento che causiamo alla nostra "grande madre" Terra.

E il nostro sistema di produzione alimentare che non fa che trasformare le altre specie in cibo per gli umani e causare un'inarrestabile crescita della popolazione con relativa distruzione ecosistemica invece non ti preoccupa?
A me sembra più grave.

Citazione:
La netta divisione fatta tra Prendi e Lascia e' fuorbiante.
Quasi come si trattasse di animali diversi.
Si tratta di normale crescita tecnologica, nulla di pu'.

Se ti sembra fuorviante vuol dire che l'hai interpretata in modo sbagliato. La distinzione tra Prendi e Lascia (e questo Quinn l'ha detto e ridetto chiaramente in innumerevoli occasioni) è puramente culturale. Biologicamente i membri delle due culture sono identiche. Fai crescere un bambino Lascia tra i Prendi, e sarà un Prendi. Fai crescere un bambino Prendi tra i Lascia e sarà un Lascia. Questo Quinn non l'ha mai nascosto o negato in alcun modo.
E la storia che i Prendi siano diventati tali per "normale" crescita tecnologica è un altro mito (di nuovo: ecco dov'è la mitologia culturale): la trasformazione da Lascia in Prendi (ossia il diventare agricoltori sedentari e il civilizzarsi) non era affatto "normale" o innata per gli umani, né era ciò che gli umani erano destinati a fare, né era ciò che avevano sempre voluto fare, come dimostra il fatto che in duecentomila anni di homo sapiens, solo UNA cultura tribale ha deciso di sottoporsi a questa metamorfosi e ha cominciato a produrre tutto il proprio cibo, a crescere di numero e a inglobare/sterminare/schiavizzare le altre. Una sola cultura al mondo lo ha fatto in tutta l'umanità. Una soltanto. In che senso sarebbe stata una "normale" crescita tecnologica per gli umani? In che senso sarebbe stato un comportamento "normale" per l'uomo in sé?

Quindi la nostra cultura è quella "normale" e tutte le altre innumerevoli culture tribali che non l'hanno fatto erano - e sono - composte da umani "anormali"?
La normalità è data dalla media: una cultura su centinaia di migliaia non rappresenta la media, ma una porzione minima nel panorama delle culture umane, a prescindere da quanti membri abbia prodotto usando l'agricoltura totalitaria.
Se una cellula impazzisce e comincia a far impazzire tutte le altre e a sviluppare un tumore, quando il tessuto canceroso diventa di più di quello sano il comportamento "innato e naturale" per le cellule diventa quello canceroso? (Ora per favore niente discussioni su Simoncini, era solo un esempio per chiarire un concetto. Non sto facendo propaganda ufficialista sul cancro.)

Citazione:
Saranno mica stati masochisti quelli che sono voluti passare dal giardino dell'Eden alla citta' metropolitana?
E' stato frutto di una necessita'.
Non e' mica detto che le citta' debbano inquinare per forza.

Trovo francamente deprimente vedere l'arroganza con cui liquidi una questione che ha tenuto occupati per decenni storici e antropologi ed è tuttora irrisolta.
Tuttora non si sa con certezza perché quella particolare cultura diecimila anni fa ha deciso di trasformarsi da Lascia in Prendi e di passare da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori sedentari. Ci sono solo teorie.
Molti credono che sia stato causato da una carestia particolarmente grave, ma questa spiegazione presenta molti punti deboli: innanzitutto non spiega come e perché ci siamo convinti di dover convertire gli altri al nostro modo di vivere (cosa che abbiamo proceduto a fare nei millenni seguenti e che stiamo ancora facendo negli angoli più remoti del globo), che è una convinzione che nessun'altra civiltà (come quelle Maya, Inca o Azteche, che non hanno mai cercato di convertire i loro vicini) ha mai avuto. Poi non spiega perché quella tribù non abbia usato uno dei tanti rimedi che i popoli tribali avevano sempre impiegato (e impiegano tuttora) in caso di carestie, come il controllo delle nascite uccidendo le figlie femmine (sì, so che suona orribile ma è efficace e risale a tempo immemorabile).
Viste queste lacune, Quinn e altri hanno suggerito che la nostra cultura antenata abbia deciso di cominciare a produrre tutto il proprio cibo per il potere che questo le conferiva. Con l'agricoltura totalitaria non solo poteva sopravvivere a siccità e carestie, ma poteva anche diventare militarmente più potente delle altre tribù (dato che a vincere le guerre è sempre stato innanzitutto il cibo a disposizione dei combattenti).

Fino a quel momento le guerre tribali usavano la strategia detta "guerra endemica" o delle "rappresaglie imprevedibili" (tuttora usata dalle tribù ancora esistenti). Ogni tribù attaccava alternativamente e a intervalli casuali le altre circostanti, poi si ritirava senza invaderle o sterminarle. La tribù attaccata a questo punto contrattaccava e causava gli stessi danni, poi si ritirava anch'essa. In questo modo le tribù si mandavano un messaggio chiaro: "Siamo qui e siamo forti, questo territorio è nostro e se provate a invaderci ve ne pentirete", e nessuna tribù veniva sterminata o inglobata da un'altra. Era una strategia bellica che manteneva un equilibrio e una pace stabile tra le varie tribù con spargimenti di sangue ridotti al minimo indispensabile, e che conservava la diversità culturale, dato che nessuna cultura veniva sterminata.
Dato che l'evoluzione è fatta di tentativi ed errori, però, è virtualmente sicuro che ogni tanto una tribù decidesse di abbandonare questa strategia e cominciasse a sterminare o annettere le altre, ma il sistema delle rappresaglie imprevedibili aveva una contromossa: tutte le altre tribù in quel caso si univano e annientavano la tribù impazzita, per evitare di esserne annientate in futuro.
Ora, il punto è che solo una tribù con un'enorme potenza militare derivata dall'enorme quantità di cibo, di uomini e di armi a disposizione avrebbe potuto sconfiggere tutte le altre tribù coalizzate e sottometterle fino a espandersi in tutto il globo: la nostra.
Questa non è una ricostruzione del tutto di fantasia, per inciso: la contromossa di cui parlo è quella che le tribù di nativi americani hanno provato a utilizzare contro gli invasori europei. Quando si sono resi conto che gli invasori non rispettavano la strategia delle rappresaglie imprevedibili, hanno messo da parte le divergenze tra tribù e si sono uniti contro i coloni, ma non è stato sufficiente perché gli europei avevano una potenza militare troppo alta (dovuta all'agricoltura totalitaria e alla quantità di cibo, uomini e armi che solo lei può produrre).

Non c'è bisogno di essere masochisti per prendere una decisione apparentemente ottima ma in realtà controproducente a lungo andare.

E anche ammesso che riuscissimo a trasformare tutte le città del mondo in meraviglie della tecnica NON INQUINANTI e utilizzanti solo energie rinnovabili, il problema ambientale non sarebbe affatto risolto e saremmo comunque sull'orlo dell'estinzione: la sovrappopolazione causata dall'agricoltura totalitaria infatti continuerebbe comunque a peggiorare anche senza inquinamento, quindi gli ecosistemi continuerebbero a venire distrutti al ritmo di 150 specie al giorno. La nostra civiltà rimarrebbe evolutivamente instabile anche senza inquinamento.
(Ecco perché dico che considerare solo l'inquinamento è un modo limitatissimo di considerare la crisi ecologica.)

Citazione:
Siamo dunque una specie che prende decisioni insensate per sopravvivere?

Siamo una specie con una razionalità limitata e una prospettiva ancora più limitata, ma convinta di essere perfettamente razionale. Quindi sì, spesso progettiamo soluzioni a lungo termine più dannose che benifiche. Questa non è certo una grande scoperta, no?
La sociologia, per esempio, ha sviluppato la "teoria della scelta razionale" per spiegare come mai tante delle nostre decisioni si rivelano a lungo andare controproducenti. Non si tratta affatto di un'affermazione assurda come sembri credere. Anzi, è piuttosto ovvia.

Citazione:
Non mi pare che ci stiamo estinguendo, anzi...

Se studiassi un minimo l'argomento "crisi ecologica", ti parrebbe diversamente.
Negare perfino che stiamo rischiando l'estinzione a dispetto di tutte le ricerche e gli studi ambientalisti degli ultimi decenni è davvero troppo. Significa semplicemente non sapere di che cosa si parla. Leggi i dati che ho fornito a Pyter all'inizio di questo messaggio, quelli da soli bastano e avanzano.

Citazione:
Vedere come immorale la spadronanza dell'uomo nei confronti delle piante e degli animali e' un conto ma da qui a vederlo come un atto insensato ce ne passa.

Sono d'accordo. Vederlo come immorale sarebbe stupido e inutile, visto che non esistono bene e male come entità oggettivi e la morale è un semplice costrutto umano. Si finirebbe per avere una discussione infinita e irrisolvibile su questioni concretamente irrilevanti mentre la nave affonda.
Vederlo come insensato (per la precisione autodistruttivo) come fa Quinn, invece, significa capire la differenza tra strategie evolutivamente stabili e non (concetto proposto dal biologo Maynard Smith, non inventato da Quinn per confermare le sue teorie, per inciso), e capire che qualsiasi specie che si comporta in modo evolutivamente instabile finisce per autodistruggersi.
E' ben diverso.

Citazione:
Non mi sembra che le meduse celebrate nel libro abbiano una qualche morale ma solo la necessita' di sopravvivere, non c'e' spazio per la morale in natura.

Ragion per cui, Quinn non si è mai sognato di parlare di moralità o immoralità, ma solo di efficacia da un punto di vista evolutivo.
Sarebbe meglio almeno leggere i libri che si pretende di criticare. Non mi pare di chiedere troppo.

Citazione:
Se vuoi sopravvivere devi uccidere e non farti mangiare a tua volta.
Basta guardare un qualsiasi documentario per rendersene conto.

La faccenda in realtà è un po' più complicata. Basta leggere un qualsiasi testo di etologia per rendersene conto.
Nei documentari vengono mostrati solo i combattimenti a morte, perché sono quelli più spettacolari, ma in realtà i combattimenti mortali rappresentano una frazione minima degli scontri naturali. Questo perché la competizione interspecie (tra specie diverse, come un ghepardo che uccide una gazzella) è solo una minima parte della competizione naturale. Per la stragrande maggioranza si tratta di competizione INTRASPECIE (tra membri della stessa specie, che hanno molti più motivi per combattere dato che competono per TUTTE le risorse: cibo, acqua e partner sessuali).

La legge che regola la competizione intraspecie non è "uccidi o fatti uccidere", questo è un altro mito culturale duro a morire tra i profani ma risaputamente falso tra gli etologi e gli zoologi. Una strategia simile sarebbe evolutivamente instabile (tutti i membri di tutte le specie non possono combattere fino alla morte per ogni minima cosa). La competizione in realtà è regolata da un paio di regole diverse e molto più efficaci e meno autodistruttive:
1) se sei l'invasore, ritirati, se sei il residente, attacca.
2) se uno più grosso di te della tua stessa specie vuole il cibo che vuoi anche tu, ritirati il più delle volte, ma ogni tanto insisti e minaccialo; se si ritira bene, se ti minaccia anche lui ritirati la maggior parte delle volte ma ogni tanto (quando hai assoluto bisogno di mangiare) attaccalo anche se è più grosso; a questo punto si ritirerà la maggior parte delle volte, ma raramente sarà disperato anche lui e vorrà combattere anche a costo della vita: solo in quel caso devi combattere a morte e chi sopravvive ottiene il cibo.

Quindi solo una minima parte della competizione naturale è composta da "uccidi o fatti uccidere". I documentari mostrano solo quella minima parte (cervi che si incornano e leoni marini che si sbranano per le femmine, leoni che uccidono gazzelle), perché è la più spettacolare. Non sono una base scientifica molto solida.

E il fatto che la gente della nostra cultura sia generalmente convinta di dover acquisire un sempre maggior controllo sulla natura grazie a scienza e tecnologia per poter risolvere i problemi che abbiamo, implica che la mitologia culturale esiste. Questa convinzione infatti viene ripetuta dalla nostra cultura incessantemente e da innumerevoli fonti diverse, ma non ha la minima base fattuale o logica. Anzi, tutto il nostro passato ci dimostra che ogni innovazione tecnologica ha sempre causato altrettanti o addirittura più problemi di quanti ne abbia risolti, e ogni studio o ricerca mostra che ormai ci ha portati sull'orlo dell'estinzione. Eppure continuiamo a essere convinti che la soluzione sia... più tecnologia!
Per "mitologia" si intende proprio questo genere di credenze condivise non supportate da alcun fatto o ragionamento logico, niente di più.

Citazione:
Non e' vero che "la gente della nostra cultura crede che la specie umana sia separata dal resto del mondo naturale", al massimo lo fanno i cattolici, gli altri lo ritengono solo un bene all'atto pratico.
Dove sta il mito scusa?

I religiosi sono quelli con meno peli sulla lingua e che lo dicono più chiaramente, ma in realtà la nostra intera cultura è profondamente convinta che l'uomo sia separato, scollegato dal resto della natura e che sia immune alle leggi che lo governano, e questa credenza implicita viene rivelata da varie affermazioni apparentemente innocue. Come per esempio quella che tu stesso hai confermato secondo cui la gente della nostra cultura è generalmente convinta di dover acquisire un sempre maggior controllo sulla natura grazie a scienza e tecnologia per poter risolvere i problemi che abbiamo. Questo significa credere di poter vivere in un modo evolutivamente instabile che sarebbe fatale per qualunque specie (com'è il nostro modo di vivere) senza estinguersi, grazie alla tecnologia. Significa credere di poter aggirare i vincoli biologici e continuare impunemente ad aumentare di numero distruggendo gli ecosistemi grazie al nostro ingegno, perché noi umani siamo diversi dagli animali. E dato che non esiste la minima base fattuale o logica per credere una cosa simile (anzi), anche questa è mitologia culturale.
NOTA BENE:
Come ho già detto (ma repetita iuvant), che la nostra civiltà sia profondamente convinta che l'uomo sia una creatura speciale, separata dal resto del mondo e immune ai vincoli e alle limitazioni biologiche a cui sono soggette le altre specie, non è una cosa che Quinn ha scoperto per primo. Niente del genere. In ecologia e in sociologia dell'ambiente è una cosa addirittura risaputa, basilare, e questo tradizionale modo di vedere le cose viene chiamato "Paradigma dell'Eccezionalismo Umano". A cui l'ecologia contrappone il "Nuovo Paradigma Ecologico" (che è una concezione, appunto, NUOVA e recente) che ridimensiona l'uomo al livello delle altre specie, con tutte le conseguenze che questo comporta. Ma che ancora non si è riusciti a far accettare ai profani.
Non sto dicendo niente di nuovo o di eretico qui, insomma, a meno che non lo sia anche il mio libro di testo standard di sociologia dell'ambiente...

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