hai ragione roberto. su tutti i fronti. lo ammetto.
ci troviamo con pollok in un periodo in cui l'artista, alienato dal prodotto della sua stessa opera dal mercato dell'arte e dalla fotografia, non mira più a valorizzare il prodotto finale [ovvero il riquadro n.1 qui sopra], ovvero l'output , ma cerca invece di infondere tutto il suo sentimento, il suo ideale artistico e se stesso nella fase di produzione, nella
creazione dell'opera( è una visione marxista applicata all'arte la mia
) [riquadro n.2].
dopo pollok seguira una protesta da parte degli artisti, come manzoni, Duchamp poi warhol ed altri, per il senso di disagio e l'espropriazione che subisce il
creatore nei confronti del suo stesso
creato.
quindi il quadro non deve essere più valutato per solo ciò che raffigura ma occorre trascendere per entrare nell'ottica di produzione e quindi nello stato d'animo dell'artista: è nel lavoro, nel
processo di creazione che è sito quest'ultimo .
quindi che ti devo dire?
non ce la faccio proprio roberto
tra quel
fa e quello
skifo avevo inserito il pronome personale
mi.
rettifico in un più corretto e giusto
"non lo riesco a fare mio"
sarà il fatto che sono troppo legato ancora al figurativo ,come dicevo, ma per quanto mi sforzi nell immedesimarmi nell'artista pollok non riesco ad andare "aldilà". deve essere un mio limite.
perdonami se sono stato crudo
p.s. comunque nel suo lavoro di trasposizione delle idee sul quadro oltre al disagio dell'artista io ci inserirei i suoi problemi con l'alcol
scherzo ovviamente
ciao roberto stima ricambiata
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