Re: Il rifiuto dell’autorità

Inviato da  PikeBishop il 3/5/2007 8:39:16
Citazione:
provo a chiarire più esplicitamente

Vale a dire ripetere gli stessi slogan, saltando a pie' pari gli interrogativi posti dall'intervento di Bifidus, in quanto scomodi.
Citazione:
La questione complessiva è, a mio modo di vedere, di una semplicità assoluta.

Ma no, e perche' allora centinaia di post per "unire i puntini"?

Non e' semplice solo perche' la affronti semplicisticamente.

In ogni caso ai miei tempi gia' al liceo, per capire se un brano era unicamente propagandistico o portasse qualche evidenza, lo si sottoponeva ad una semplice ma illuminante prova, sostituendo le parole d'ordine con altre opposte: se il brano aveva ancora una compiutezza logica, allora si trattava di mera propaganda politica e veniva cestinato fra il gaudio degli astanti (non saro' mai abbastanza grato al mitico professor Masera, latinista eccezionale e leggendario, Monarchico che non si e' mai evitato una mischia e zuffa, ma con un gran rispetto per tutte le idee e tutte le persone, anche coloro che ha malmenati)

Esempio:


L’attuale, diffusissimo (ai limiti della capillarità), rifiuto (inteso come estrema insofferenza personale) della libertà (e della sua “sorella” anarchia) è fondato su una base emotiva e corrisponde né più né meno alla gerarchia del branco adolescenziale ed alla dipendenza infantile dagli adulti. È un atteggiamento mentale - ampiamente promosso culturalmente, tra l’altro - che cerca in un secondo momento (e naturalmente trova, visto che comunque la realtà è sempre interpretabile a piacere) una giustificazione concreta a sé stesso.

Le giustificazioni che trova sono comunque, per sorte, assai inconsistenti: gli attuali sistemi in cui siamo inseriti sono effettivamente profondamente spregevoli e radicalmente umilianti. E sono tali in quanto gerarchici, ché tutti i sistemi sociali umano potrebbero non esserlo. Qui sta il sostanziale malinteso. Sono spregevoli e umilianti perché propongono un sistema di vita e di valori (si fa per dire) che é quanto di più lontano (o addirittura opposto) all’uomo e alla sua reale natura.

In questo, tuttavia, è parente di altre brillanti ideologie da tavolino che numerose si sono manifestate concretamente dal XIX secolo in poi e che brillano per la loro intelligentissima stupidità, mentre almanaccano serissime sul meccanismo sociale perfetto partendo però da un’ipotesi di uomo che purtroppo semplicemente non esiste né è mai esistito (né mai esisterà, se tanto mi da tanto) e che è, rispetto a tali concezioni, contemporaneamente molto “di meno” e molto “di più”; cioè un’altra cosa.

Infatti, se proprio dovessi indicare l’aspetto più profondamente “malato” di questi tempi, direi che consiste esattamente nella irrealistica cognizione dell’uomo che praticamente tutti (almeno a livello di massa) condividono e che, oltre a causare l’attuale disastroso corso delle cose, contemporaneamente disinnesca anche “ab ovo” la possibilità di un’opposizione significativa all’esistente, dirottando le imponenti e potenzialmente risolutive risorse intellettuali e umane che potrebbero costruire un’alternativa a sciuparsi vanamente nell’inseguimento di inafferrabili miraggi umani e sociali.

Non a caso mi inchino con tale pedissequa insistenza a qualche millennio di storia passata – che ci racconta dell’uomo e della sua natura cose del tutto diverse dagli attuali fantastici ritratti storico-psicologici - e insisto tanto sull’arroganza intellettuale che caratterizza le teorie che pretendono invece - in nome di una indimostrata superiorità etico/pragmatica- di superare d’un balzo aspetti culturali che hanno invece caratterizzato la vita sociale dell’essere umano dall’alba dei tempi fino praticamente all’altrieri.

E quali aspetti culturali ritroviamo in un intervallo così lungo? Tanti e diversissimi, naturalmente. Alcuni curiosamente sembrano però essere una costante: forte e consolidato sistema di valori, struttura cooperativa del corpo sociale, rispetto per l’altro e per le tradizioni, salvaguardia delle istanze della comunità e di quelle del singolo, moralita’.

L’uomo che ne risultava era un individuo intimamente connesso alla sua comunità da legami estremamente concreti, profondi e significativi, la cui assunzione del sistema di valori esistente, non soggiacendo di sicuro allo spirito di relativismo culturale che permea l’uomo contemporaneo, costituiva un costante e solidissimo fondamento esistenziale al suo sentire ed agire.

Stante dunque il forte specchiamento che la comunità offriva ai propri componenti, ognuno di essi trovava agevole riconoscersi negli altri membri (di cui, partecipando convintamente allo stesso sistema di usanze e valori, gli erano familiari motivazioni ed espressioni); poteva così agevolmente sussistere la dinamica dell’identificazione psicologica del singolo col suo prossimo (cioè il rivedere sé stesso negli altri) che, come è noto, è il meccanismo che meglio di qualunque altro favorisce un’interazione positiva tra individui, visto che comporta l’estensione ad altri delle stesse cure che si rivolgono a sé stessi.

Ciò mostra che la via alla costruzione di un contesto sociale capace di tutelare il più possibile i propri membri è, piuttosto che affidarsi ad astratti principi e razionali automatismi, quella di strutturarlo appoggiandosi ai meccanismi profondi di funzionamento dell’essere umano, cercando di stimolare ed incentivare quelli che lo inducono alla cura e tutela del proprio prossimo. Ma ciò comporta inevitabilmente “esprimere una scala di valori, e su tale base relazionarsi con i propri membri, partecipando, decidendo, non interferendo, asserendo e difendendosi.”. Ogni scelta alternativa, per la sua lontananza dall’essenza umana, è destinata, per quanto ottimamente intenzionata, a produrre solo di peggio.


PROPAGANDA= nel cestino.

Avanti la prossima (il Prof. Masera esprimeva il suo disappunto in questi casi fumando la pipa - in classe - col fornello rivolto verso il basso e rimboccandosi le maniche, che non sembrava un buon auspicio).

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