Re: Il rifiuto dell’autorità

Inviato da  prealbe il 8/5/2007 23:18:50
Citazione:
E' chiaro (ma era chiaro fin dall'inizio) come l'adolescenza comporti un atteggiamento "ribelle", ma non è affatto chiaro il motivo per cui vorresti far passare l'idea "inversa", ovvero che ogni atteggiamento "ribelle" sia "adolescenziale"...

Non ci penso proprio per niente (e mi sa che l’ho anche già scritto).
I tratti che, in aggiunta al ribellismo, evocano prepotentemente l’adolescenza sono l’enfasi emotiva che trapela da moltissimi interventi, unitamente ad un certo tipo di espressività verbale (“WAKE UP, LOSER!” da questo punto di vista è semplicemente entusiasmante ) ed a una semplificazione nell’inquadrare le categorie sociali tale che io la trovo, per la fase adulta, semplicemente imbarazzante.
(A volte invidio davvero - e non mi riferisco a te, Franco8 - il semplicismo - che fa rima con infantilismo? - intellettuale di alcuni; bianco di qua, nero di là, e a posto così. E le sfumature? Oh, un’inutile e trascurabile complicazione, non ti preoccupare.
Eh, cacchio! Dev’essere proprio riposante.)


Citazione:
Specie se non se non si è ancora capito cosa è da considerarsi "autorità"...
(Cioè facendo un po' riferimento alle discussioni passate: mentre è naturale e forse un po' più chiaro il ruolo dei genitori, o se vogliamo, del "gruppo/comunità-naturale" non è affatto chiaro il ruolo delle istituzioni - soprattutto quando risultano non "riconosciute" e quando si creano dei rapportin per nulla reciproci nè paritari - )
(in ogni caso rimangono quelle contraddizioni di cui parlavamo prima che derivano dalla "auto-proclamazione" dell'autorità... - è l'autorità stessa che stabilisce le regole su sui si basa la sua autorità - Sono quelli che "contano" di più nella piramide sociale che hanno più potere ... ecc ecc )'

E’ un problema di crescita anche questo, solo del gruppo sociale anziché dell’individuo .
Si da il caso (si è dato piuttosto spesso, in passato ) che dei gruppi sociali superino la massa critica (la dimensione del “villaggio”(1), diciamo, dove tutti conoscono tutti e ognuno ha la possibilità di un rapporto diretto con le poche ed essenziali problematiche collettive) che ne consente un coordinamento semplice. Purtroppo, capita anche alle comunità migliori (2).

Ai fini quindi del funzionamento efficiente (3) dell’insieme si pongono dei problemi di organizzazione (per pietà, atteniamoci al problema in sé stesso, evitando per il momento le geniali considerazioni sulla “pressione fiscale” già lette; facciamola prima iniziare, ‘sta società complessa.): ad esempio, la ripartizione delle attività finalizzate al conseguimento delle finalità collettive, la specializzazione, il coordinamento, il controllo, ecc. ecc.
Si passa ad un livello di complessità che eccede le possibilità, di gestione come spesso anche di comprensione, del singolo (un po’ come la costruzione di un palazzo ). Bisognerebbe rendersi conto (e mi domando come sia possibile non averlo già fatto) che il “ciclo vitale” delle società e quello degli individui non coincidono, e che pur incrociandosi seguono percorsi diversi con diverse caratteristiche e priorità.

L’accumulo di esperienza di una società, per il differente arco temporale come per l’ampiezza intrinseca, è naturalmente diverso e maggiore di quello possibile all’individuo; quando questo si affaccia nel contesto sociale lo fa nell’ambito di un processo già in corso da tempo di cui, ovviamente, non possiede gli estremi ed è quindi naturale e facilissimo che non capisca il senso delle regole esistenti, e che di conseguenza le possa percepire come “vessatorie” a prescindere dalla loro sensatezza.

Non è che ci siano molte possibilità, a questo punto: o si rinuncia alla complessità o si accetta la priorità dei meccanismi sociali su quelle individuali, svincolandoli dalla (assurda, ai fini dell’efficienza) necessità di dovere ottenere, momento per momento e puntualmente, l’approvazione della totalità dei componenti. Qualcuno ha posto mi pare, nel corso della discussione, un riferimento alle riunioni di condominio; mi sembra un esempio abbastanza significativo per fare intuire l’idiozia dell’opzione “assemblea permanente”.

Servono invece meccanismi più pratici, di cui inevitabilmente autorità e gerarchia fanno parte; le contraddizioni che ne possono derivare sono parte non eludibile della questione e non costituiscono fattore sufficiente per negare la loro necessità.

Citazione:
Anche perché allora varebbe l'idea che ogni tipo di riconoscimento e sottomissione ad una autorità è un atteggiamento infantile.

Infatti non vale né l’una né l’altra.

Citazione:
Soprattutto continua ad essere del tutto "campato in aria" o, meglio, non supportata da fatti, la tua originaria osservazione riguardo al "generalizzato e capillare" rifiuto dell'autorità...
Ovvero: S'è capito cosa intendevi , S' è capito cosa è... (o sarebbe) Ma DOVE è? Dove lo vedi?
Perché: generalizzato, capillare ecc...?

Franco8, è vero che la percezione è soggettiva e tutto quello che vogliamo, ma io lo vedo dappertutto, nel mondo del lavoro come nella scuola, nella famiglia come nella società in generale: non appena qualcuno, a qualunque titolo, prova anche solo a ventilare una qualunque limitazione in qualunque direzione e per qualsiasi motivo alle azioni di chiunque, la prima generalizzata e veemente reazione è del tipo “E tu chi saresti per …” seguita subito dopo dall’appello alla “Sacra e Inviolabile Libertà dell’Individuo” (con tutte maiuscole) ecc. ecc.
Oppure sono io che soffro di allucinazioni?
D’altra parte l’accento è posto da decenni assai più sui diritti che sui doveri (diventati quasi una parolaccia, nel lessico comune). Mi piacerebbe pensare che ciò dipenda da una maturazione degli individui, da una loro maggiore coscienza di sé stessi e del mondo; purtroppo tale conclusione cozza in maniera estremamente violenta con la maggior parte dei comportamenti collettivi che si vedono ogni giorno e che non evidenziano purtroppo grandi segni di consapevolezza di massa.

Citazione:
Per non parlare de "viscerale".... Ti è stato detto che ci sono milirdi di motivi razionali per "criticare il sistema" (comunque si intendi la cosa)... Motivi razionali che hanno poco o nulla a che vedere con le ideologie...

Lo so da me, grazie. Ma quello che io vedo (qui come altrove) non è un’analisi che genera un rifiuto razionale, ma un’emotività che ricerca una giustificazione a sé stessa tramite un’apparenza di analisi (che infatti rimane assai grossolana e manichea).

Citazione:
Tu (se ho capito bene) sostieni che i prolemi non vengono dalla gerarchia... A me pare abbastanza sensato ritenere l'autorità e la gerarchia dei fattori negativi, dei problemi ulteriori... E i motivi sono stati detti e spiegati (vedi ad esempio l'esperimento citato da Pike, ma che avevo citato anche io in precedenza - riportato sulla puntata di Report sulla Enron - )
Ma allora .. che c'entra il "viscerale" ?

Vedi sopra.

Citazione:
Ammesso che esista il "viscerale rifiuto" ... forse allora ogni "rifiuto" è "viscerale"?!

No. Se è analitico non è viscerale.

Citazione:
Se la "critica" parte dalla semplice constatazione dei fatti e non da ideali e ideologie... Cosa c'entrano il "messianismo" e roba varia?!
Viceversa ne troviamo tantissime di "favolette", nell'indottrinamento atto a perpetrare lo statu quo (piramide sociale ecc ecc)...

Vedi sopra.

Citazione:
Citazione:
Franco8, puoi precisare in che senso parli di “bisogno”? Intendi un “bisogno” legato a fattori come la sussistenza oppure come un’esigenza interiore del bambino o del pre-adolescente? Per favore, sviluppa un po’ la questione, ché mi sembra interessante


"bisogno" in entrambi i sensi.
Nel contesto era "bisogno dell'autorità" contrapposto a "rifiuto dell'autorità".

Il concetto è: lo sviluppo è un percorso che parte dalla dipendenza (in tutti i sensi e - quindi "bisogno di una guida") alla indipendenza e autonomia; Passando da una fase più o meno traumatica e più o meno incerta di "sistematica distruzione del vecchio". Fase necessaria e intermedia ma che non serve non certo a ritornare al punto di partenza...
Esempio: la "svalutazione" delle figure genitoriali non è affatto una cosa negativa: si parte dalla visione infantile che vede i genitori quasi come delle figure onnipotenti... si passa alla fase adolescenziale di ribellione - che deriva anche dalla delusione ... per finire con la comprensione più profonda... ritrovandosi nello stesso ruolo e riconoscendo i limiti e i pregi.. così come si riconoscono i propri limiti...

Si. In teoria e se tutto va bene. Il dato però rilevato da moltissimi osservatori competenti (psicologi e sociologi innanzitutto, mica un Prealbe qualsiasi) è che nella nostra area culturale la fase adolescenziale si sta prolungando sempre di più fino ad invadere abbondantemente quella che in precedenza era l’età adulta. In realtà gli anagraficamente adulti contemporanei sono perlopiù ragazzoni smarriti e assolutamente privi di quelle caratteristiche di consapevolezza e affermatività che sarebbero gli attributi della fase adulta. Si può quindi ben dire che spessissimo gli mancano gli attributi.

Citazione:
Ma .. appunto.. questo c'entra poco o nulla con l'Autorità, la piramide sociale, le Istituzioni ecc ecc.

E invece si, perché naturalmente il primo contesto in cui si struttura il rapporto dell’individuo con l’autorità è quello familiare; l’impostazione che gliene deriva è quella che trasferirà anche nel sociale.

Citazione:
Quindi se sei "maturo" (e quindi "capace di comportarti, agire, giudicare in mondo autonomo") a qualcuno che volesse sostenere di dover giudicare, pensare al posto tuo, in vece tua, tu responsabilmente ti ribellii...
Altro che atteggiamento infantile o adolescenziale! E' tutto il contrario.

La maturità psicologica è cosa diversa dalla maturità sociale. Come dicevo prima, la società è cosa più ampia e complessa dell’individuo e richiede da parte di questi uno sforzo di superamento della propria sfera di singolo, una certa capacità di astrazione. La maturità psicologica è un semplice prerequisito della maturità sociale; per arrivare a quest’ultima è necessario un ulteriore percorso, necessariamente guidato, in cui l’individuo deve colmare il “gap” tra la sua dimensione individuale e quella sociale. Ricordando che l’insieme non è uguale semplicemente alla somma dei suoi componenti: se così fosse, la questione sarebbe assai più semplice.

Citazione:
Riguardo alle regole.. il discorso è già stato toccato. Ma qui continui a fare confusione: nessuno sostiene o mai sostenuto che l'interazione sociale deve avvenire senza regole...

Ok, buono a sapersi. Mi rimane un po’ oscura la parte attuativa, sperando (per rispetto dell’intelligenza dei qui presenti) che non si pensi di proporre di affidarsi allo spontaneismo dei singoli.


Prealbe


1 E comunque anche i villaggi non erano esenti dalla presenza di autorità e gerarchia.

2 Sarebbe il caso di tenere presente che nelle scelte di qualunque entità, collettiva così come singola, pesano anche fattori di pressione esterni ad essa che comportano a volte soluzioni “obbligate”. È pensiero (immaginazione?) invece tipicamente moderno e contemporaneo quello di supporre di potere pianificare “a tavolino” l’organizzazione sociale come se fosse sempre plausibile ripartire da zero a proprio piacere ignorando i fattori presenti e passati.

3 Riuscirà adesso il 3D, compresi i suoi iperproduttivi corrispondenti esteri, ad evitarsi un “pippone” sul significato di “efficiente”? Speriamo di si.

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