Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 31/8/2007 23:43:33
Citazione:
Sull'ultimo punto: la percezione è già interpretazione. Noi non vediamo le lunghezze d'onda della liuce. Vediamo i colori. Ma colore e lunghezza d'onda non sono la stessa cosa (per una buona trattazione della questione: Semir Zeki - La visione dall'interno Arte e cervello. Editore Bollati Boringhieri Collana Nuova cultura. 2003)
Il fatto che tu ritenga la visione dei colori come appartenente al campo delle "impressioni sensoriali", mi fa pensare che tu consideri la "interpretazione" come qualcosa che rientra nella sfera della "consapevolezza". Mi spiace, ma devo contraddirti. Gli esseri umani interpretano il mondo in continuazione. A volte consapevolmente, il più delle volte no.
Poi, se non vuoi considerarmi "controparte", non c'è problema. E' una scelta tua. Ma ti suggerirei di approfondire la questione della percezione e del suo rapporto con l'interpretazione. E' più complicata di quanto mi sembra tu pensi.

Guglielmo, con questo brano confermi di non avere proprio compreso il livello di confronto, e non solo di non leggere nel pensiero (poco male e non richiesto).

Tu pensi di dovermi specificare un’evidenza del genere? E che questa c’entri significativamente qualcosa con il "sistema di interpretazione della realtà condiviso" di cui si parlava in questa discussione e che era quello a livello dei membri di una comunità?

Ti prego. Insistendo su questo tasto con questi argomenti, sei tu che ti fai del male, come controparte.

Citazione:
In una frase abbiamo diagnosi e soluzione. Si ignora la prognosi, ma attendiamo con trepidazione. Ora, potresti provare a definire meglio quale sia il "profondissimo e capillare malessere contemporaneo"? Così, tanto per discutere di qualcosa di concreto...

Il tasso di disagio psichico e di suicidi, come elementi concreti possono andare bene? E’ sufficiente?

Citazione:
Non le rifiuto. Le accetto e ci tornerò su. Per ora dico solo che mi sembra tu assegni alla comunità una serie di caratteristiche che valuti come positive, in contrasto con la forma attuale dello status quo contemporaneo (che, secondo molti sociologi, può essere definito - più semplicemente - società). Ti chiederei, se ti va, di confermare o smentire questa mia impressione, perché non ho il dono di saper leggere la mente altrui.

Ma i post precedenti, si, vero?
Secondo te cosa mai vado sostenendo dall’inizio della discussione ad ora? C’è bisogno di conferme? Boh! Davvero mi sorprendi, Guglielmo.

Citazione:
Lasciando a parte gli aggettivi (che non aggiungono né tolgono nulla a quanto si dice), quando mai ho sostenuto una diversità radicale?.
Comunque, se accetti come punto di partenza un dato che ci viene dalla genetica delle popolazioni: bisogna in realtà considerare che la diversità genetica tra gli individui di una popolazione è maggiore di quella media osservabile tra due popolazioni..
Dal punto di vista genetico, tutti gli esseri umani condividono il 99,9% del DNA. Da questo punto di vista hai ragione. Sono più simili che dissimili. Ma questo dato (assieme ad altri) non fa altro che corroborare la mia ipotesi che non abbiamo alcun bisogno di costruire delle caratteristiche comuni. Basterebbe riconoscere quelle che esistono.

Non so se davvero afferri ben poco di quello che scrivo o lo fai per posa dialettica.

Che c’entra il “costruire delle caratteristiche comuni”? Ho mai detto qualcosa del genere? Che c’azzecca?

Sono i sistemi di significato la questione centrale, e quelli cambiano da gruppo a gruppo, non l’essenza umana. Tu puoi anche prendere gemelli identici (così abbiamo addirittura il 100% di condivisione genetica), ma se questi si rifanno a sistemi di significato discordanti, comunque non si intenderanno. Non si riconosceranno. Anche se sono assolutamente uguali oggettivamente, saranno diversi.

Citazione:
Non entro nel merito della tua ipotesi circa le professioni, perché richiederebbe un thread a sé. Mi limito a constatare che l'idea che hai del lavoro dello psicologo corrisponde assai poco alla realtà del lavoro dello psicologo, e che antropologia, sociologia, psicologia e altre "scienze umane" lavorano assai più nel mettere in luce le differenze che non le somiglianze.
Anzi, l'esistenza di differenze è non solo la loro ragione d'essere, ma addirittura (come nel caso dell'antropologia) la loro origine. (per una buona trattazione della questione, nel caso dell'antropologia, vedi: AFFERGAN Francis, Esotismo e alterità. Saggio sui fondamenti di una critica dell’antropologia, Mursia, Milano 1991 (1987)).

Leggi sopra e vedi se trovi qualcosa di utile anche riguardo a questa tua osservazione.

Citazione:
Ma anche una società esprime una cultura. Sono, semplicemente, due culture diverse, come sono diverse le culture delle diverse comunità, a seconda della loro storia e degli uomini e donne che le compongono. Il sapere consolidato ha un certo grado di parentela con la cultura ma, a volte, più che di fratelli mi pare si tratti di lontani cugini. La geometria dei triangoli simili mi pare rappresenti un sapere alquanto consolidato, ma la sua conoscenza non appartiene se non ad una minima parte della popolazione. Viceversa, le vicende di Corona sembrano appartenere alla cultura di un'ampia fetta di popolazione, pur non potendo essere definite "un sapere consolidato".

No. In realtà laddove una comunità esprime sostanzialmente una cultura, una società (come la nostra, di questo si sta parlando) esprime più culture concorrenti e spesso radicalmente contraddittorie, e quindi non sintetizzabili. Per questo, in un certo senso, si può dire che la società contemporanea non esprime, in definitiva, nessuna cultura. E infatti impera il concetto di “relativismo culturale”. Con meravigliose conseguenze quanto alla costruzione dell’identità individuale e dello scambio sociale. Splendide.

Citazione:
Touché. Critica corretta. Ma, su questo punto, sono d'accordo con quanto afferma shampoo (benvenuto tra noi, ma calma i bollenti spiriti. E' una discussione, non una lotta all'ultimo sangue ). Se posso, preciso meglio: il termine "sé" è un termine non definibile se non per approssimazioni e circumnavigazioni. In qualche modo descrive la totalità dell'individuo. E' difficile, dal punto di vista linguistico, trovare un modo per dire quel che penso. Ma quando dico il mio corpo intendo qualcosa del tipo: io corpo. Peraltro, a meno che tu non pensi di avere un qualche "io" all'interno del tuo corpo, da esso separato e che gli ordina che fare e che non fare (ma mi pare strano tu la pensi così), quel che facciamo lo fa il nostro corpo, quel che pensiamo lo pensa il nostro corpo. Quindi, identificare corpo e sé a me sembra un'opzione interessante.

Sarà un’opzione interessante quanto vuoi... razionalmente.

Puoi fare tutte le precisazioni che vuoi… in seconda battuta, ma con la tua prima risposta hai già mostrato con chiarezza che neanche tu ti ritieni “uno” col tuo corpo: è questa la verità. Il resto sono intellettualismi del giorno dopo.


Prealbe

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