Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 1/9/2007 19:38:49
Ctz


“un centinaio di post” fa ,

si poteva leggere questo :

“… il tratto distintivo di una comunità è, a quanto pare, l'esistenza tra i suoi membri di elementi significativi in comune e, sulla base di questi, di vincoli reciproci. Nonché, questo lo aggiungo io, di interferenza continua tra di essi , trattandosi di un contesto di interazione.[…]

Quand'è che una "folla" diventa una "comunità"? In cosa si sostanzia il substrato comune di cui sopra?

Esso sarà, naturalmente, di ordine sia pratico sia, soprattutto - dato che il contesto è umano - emotivo (1), e tale da consentire ai propri membri lo specchiamento reciproco, di riconoscere cioè sé stessi negli altri; in caso contrario l'individuo si troverebbe circondato da entità che, facendo riferimento a sistemi di significato ignoti, sarebbero per lui semplicemente incomprensibili e con cui un'interazione articolata sarebbe quindi impossibile. Più o meno come se qualcuno di noi si trovasse proiettato di colpo in un villaggio indigeno del Kalimantan meridionale: che si racconterebbe con i locali? O qualcuno davvero pensa che la comune "appartenenza alla razza umana" sarebbe di per sé sufficiente per una relazione completa e appagante? (2) Un'interazione approfondita e significativa discende dunque dall'identificazione con la controparte e, in ambito umano, implica il coinvolgimento vicendevole delle parti, che su tale base si legano tra loro con un'intensità ad esso corrispondente. Ma tutto ciò comporta reciprocamente interferenza, vincoli, aspettative, obblighi, diritti e doveri.

Viceversa, quanto più si pone l'accento sulla distinzione (3) tra sé stessi e la propria comunità, cioè gli altri suoi membri, tanto più si diluisce l'intensità - e quindi la profondità - del rapporto, con tutte le conseguenze del caso. Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé.

Perfettamente in linea, peraltro, con lo spirito che accompagna e caratterizza questi nostri tempi meravigliosi; niente di strano. Mi piacerebbe però non vedere ammantare di purezza idealistica qualcosa che è, con maggiore verosimiglianza, semplice asocialità….”


... e molto altro ancora...

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