Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 4/9/2007 15:32:12
Dunque "arturo", collezionando figurine e saccheggiando impunemente gli scritti altrui, mette assieme un discorso interessante.

“… il tratto distintivo di una comunità è, a quanto pare, l'esistenza tra i suoi membri di elementi significativi in comune e, sulla base di questi, di vincoli reciproci. Nonché, questo lo aggiungo io, di interferenza continua tra di essi , trattandosi di un contesto di interazione.[…]

E, fin qui, nulla da dire. Ma non ritengo che sia una prerogativa della comunità. Anche l'uso delle automobili, nelle società contemporanee, rappresenta un "elemento significativo in comune" tra i cittadini. Per giunta, è un elemento che costruisce "vincoli reciproci" (di mercato, di legislazione, ecc.). E non mi dirai che non esiste, tra questo e altri elementi della "modernità" (ad esempio, i poliziotti), una "interferenza continua".

Questi non sono tratti distintivi di una comunità. Sono tratti distintivi di qualunque forma di collettività organizzata, in qualunque modo, in qualunque punto del pianeta. Come tali, appartengono anche al presente, non solo al passato. Si formano, peraltro, in modo del tutto spontaneo, e basta leggere qualcosa di psicologia sociale dei gruppi per rendersene conto.

Quand'è che una "folla" diventa una "comunità"? In cosa si sostanzia il substrato comune di cui sopra?

“… Esso sarà, naturalmente, di ordine sia pratico sia, soprattutto - dato che il contesto è umano - emotivo (1), e tale da consentire ai propri membri lo specchiamento reciproco, di riconoscere cioè sé stessi negli altri; in caso contrario l'individuo si troverebbe circondato da entità che, facendo riferimento a sistemi di significato ignoti, sarebbero per lui semplicemente incomprensibili e con cui un'interazione articolata sarebbe quindi impossibile.

Ora, questa proposizione contiene una contraddizione, a mio modo di vedere. Se l'ordine è "soprattutto emotivo", il rispecchiamento reciproco è già presente. Le emozioni sono sisteni complessi di espressione e dir egolazione reciproca, filogeneticamente determinati e invarianti ripetto alla cultura. Le cinque emozioni di base (gioia, rabbia paura, sorpresa e tristezza) sono presenti in qualunque essere umano, non sono apprese (come dimostrato dal fatto che vengono esibite anche da bambini nati ciechi e sordi) e servono egregiamente a segnalare lo stato emotivo dell'interlocutore.
Appartenendo tutti alla stessa specie, che lo vogliamo o no, facciamo riferimento solo a significati noti, e comuni.
Già m'immagino la spietata critica che mi colpirà: "...ma io facevo riferimento a sistemi di significato, non a sistemi biologici o psicologici". Io sostengo che sarebbe bene fare un passo indietro, prendere quel che di effettivamente comune esiste tra gli esseri umani e utilizzarlo per costruire, invece di partire da connotazioni astratte altamente formalizzate e costringere gli esseri umani ad entrarci dentro.
Ti dirò di più. Lo "specchiamento reciproco" non mi importa affatto. Continuare a vedere negli altri null'altro che parti di se stesso alla lunga annoia mortalmente. Non è solo il nostro apparato percettivo a nutrirsi di differenze. Anche la nostra mente, privata di differenze, scompare.

“… Viceversa, quanto più si pone l'accento sulla distinzione (3) tra sé stessi e la propria comunità, cioè gli altri suoi membri, tanto più si diluisce l'intensità - e quindi la profondità - del rapporto, con tutte le conseguenze del caso. Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé. ...

E qui sono obbligato a ricorrere al dizionario della lingua italiana...

identificazione[i-den-ti-fi-ca-zió-ne] s.f.
1 Coincidenza di due o più elementi: i. della storia con il progresso
2 Riconoscimento dell'identità di qlcu. o di qlco.: i. di una sostanza; i. di un cadavere
3 Processo per cui una persona si identifica in un'altra
• a. 1855

identificare[i-den-ti-fi-cà-re] v. (identìfico, identìfichi ecc.)
• v.tr. [sogg-v-arg]
1 Considerare due o più cose come identiche: i. due teorie
2 Accertare, scoprire il motivo o la causa di un fatto: i. le cause dell'incidente; individuare qlcu. come responsabile di un fatto: i. il colpevole; stabilire l'identità di una persona; freq. al passivo: la vittima non è stata identificata
• identificarsi
• v.rifl. [sogg-v] Detto di due o più elementi, essere simili o identici l'uno all'altro SIN coincidere
• [sogg-v-prep.arg] Di persona, sentirsi tutt'uno con un altro SIN immedesimarsi: i. con il personaggio rappresentato
• sec. XVII

identico[i-dèn-ti-co] agg. (pl.m. -ci, f. -che)
• Perfettamente uguale; estens. con valore raff., molto simile o somigliante: in sostanza è la stessa i. cosa
• avv. identicamente, nello stesso modo
• sec. XVII

Se le parole non sono un'opinione, ne deduco che, attuando un processo di "identificazione forte" con l'altro esiste almeno il rischio (che per me è una certezza, ma voglio essere disponibile) di diventare identico all'altro, perfettamente uguale.
La cosa non è né possibile, né desiderabile, e penso che nemmeno il più convinto comunitarista sia disposto a rinunciare alla propria individualità.
Ma allora, questo rifiuto di identificazione forte con l'altro da sé, non - per caso - più una benedizione che una maledizione?

Buona vita

Guglielmo

Messaggio orinale: https://old.luogocomune.net/site/newbb/viewtopic.php?forum=6&topic_id=3723&post_id=98806