Re:L'angolo delle cose preoccupanti...

Inviato da  ivan il 6/9/2014 17:34:47
Facebook, la fabbrica delle bufale (anche se si prova a smontarle)
La rete e i social network non sono necessariamente il luogo dell’intelligenza collettiva. Anzi. La conferma di uno studio

di Fabio Chiusi
Giornalista

Pubblicato
settembre 5, 2014


Smontare le bufale che circolano su Facebook è effettivamente utile a limitarne la diffusione? Non sempre, risponde un saggio di prossima pubblicazione condotto da un team di ricercatori italiani e che Wired ha potuto visionare in anteprima. Intitolato ‘Social determinants of content selection in the age of (mis)information‘, il lavoro di Walter Quattrociocchi, Guido Caldarelli, Michela Del Vicario, Antonio Scala e Alessandro Bessi giunge a una conclusione piuttosto deludente per i sostenitori dell’idea che la rete sia necessariamente il luogo dell’intelligenza collettiva.

Al contrario, studiando le attività negli ultimi quattro anni di un campione di 1,2 milioni di utenti italiani del social network attivi in 73 pagine pubbliche, gli studiosi concludono che l’esposizione a post di debunking – mirati cioè a smontare notizie false o informazioni scorrette – possono aumentare (invece di diminuire) la probabilità di interazione con contenuti complottisti o di disinformazione. Nelle parole dei ricercatori, e più precisamente: “Più un utente è dedito al consumo di informazioni complottiste, più l’aggiunta di post o satirici o di debunking aumenterà la probabilità di continuare a fruire di articoli complottisti“. Non solo: “Sia contrastare che prendersi gioco di narrative fasulle potrebbe creare un indesiderato rinforzo e un’esplosione nella diffusione di tesi complottiste e voci prive di fondamento che incoraggiano la formazione di credenze scorrette“. Anche il trolling dei disinformati, insomma, genera ulteriore disinformazione.

La conseguenza è che “le informazioni che mirano a contrastare la diffusione di affermazioni indimostrate sono quasi ignorate dai cospirazionisti“. Un “segnale d’allarme” da tenere a mente, scrivono Quattrociocchi e colleghi, sull’efficacia del debunking stesso – almeno sulle pagine Facebook in Italia e per il campione considerato – dato che a fruirne sono “principalmente” gli iscritti a pagine di informazione coerente con quanto sostiene la comunità scientifica, ma non i loro principali e naturali destinatari: ossia coloro che invece sostengono posizioni rigettate dalla scienza.

Un risultato controintuitivo, ma che è in perfetto accordo con quanto prodotto dagli stessi ricercatori in un altro lavoro su quella che definiscono “l’era della (dis)informazione“, già raccontato da Wired e che concludeva che sono proprio gli utenti italiani di Facebook che più frequentano le pagine di controinformazione – e dunque, i più interessati a scoprire la “verità” dietro alle bugie dei media – a scambiare la satira e le bufale per realtà. Un ulteriore lavoro, che completa quella che si potrebbe definire una vera e propria “trilogia del complotto“, aveva mostrato che le persone su Facebook si aggregano in gruppi o fazioni per interessi e credenze condivise, e che il loro pattern di fruizione dei contenuti rispetto alle fonti prescelte è praticamente identico. Tradotto: i complottisti con i complottisti, gli amanti della scienza con gli amanti della scienza – da cui la polarizzazione tanto deleteria per smontare le bufale online.

Se i risultati fossero generalizzabili, e gli autori sono ben consci che da questo punto di vista serve molta cautela, sarebbe un brutto colpo per i debunker. Che cosa dovrebbero fare, dunque? “Deve essere consapevole che la polarizzazione e l’acredine fanno effetto rinforzo“, risponde Quattrociocchi a Wired, prima di aggiungere che, a suo parere, “l’unica speranza è nell’istruzione, che dia più strumenti logici, critici e aderenti alla complessità“. È questo l’unico “vero antidoto“.

Nell’attesa di un sistema educativo adeguato, restano le considerazioni sullo stato attuale della “disinformazione digitale di massa” che il World Economic Forum ha definito “uno dei maggiori rischi della società moderna“. L’intento, spiega Quattrociocchi parlando del senso complessivo del lavoro del team di ricerca, è cercare di “caratterizzare il fenomeno in maniera quantitativa sfruttando tecniche di data mining” all’interno della cosiddetta Computational Social Science cui è dedicato il laboratorio da lui stesso diretto all’interno dell’Institute for Advanced Studies di Lucca.

Lo scetticismo, tuttavia, è evidente: “L’attenzione è scarsa e i criteri di verifica sono strettamente vincolati al sistema di credenze più che alla veridicità dei contenuti“, spiega. “Questa contingenza permette alle voci online di diventare virali e a volte succede che anche informazioni satiriche vengano usate come argomento di dibattito (a volte anche politico)“. Le cause sono complesse. “La globalizzazione e il processo tecnologico hanno aumentato la complessità dei fenomeni“, prosegue Quattrociocchi, “ma nonostante il livello di istruzione sia migliorato nel tempo (anche se rimaniamo sempre ben posizionati nelle classifiche di analfabetismo funzionale nel mondo) si cercano risposte nelle narrazioni più strampalate, come il finto allunaggio richiamato anche da esponenti politici con laurea triennale in biotecnologie“.

Non è solo che “nel web questi contenuti proliferano” e che “la verifica è scarsa“. Ora abbiamo una prima conferma sperimentale che “i tentativi di arginare la diffusione tramite campagne di informazione non fanno che rinforzare la fruizione di versioni ‘alternative’“. Se davvero esiste l’intelligenza collettiva vista per tanti altri versi all’opera in rete, forse è il caso si attivi per cercare una soluzione al problema. Ammesso ce l’abbia.


source: http://www.wired.it/attualita/2014/09/05/facebook-bufale/

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