Re: L'angolo della letteratura

Inviato da  Mrexani il 13/4/2015 14:52:54
Da ''Il libro degli esseri immaginari'' di Jorge Luis Borges. Un po di bestie a caso ............


Animali sferici

 La sfera è il più uniforme dei solidi, giacché tutti i punti della sua superficie distano egualmente dal centro. Per questo, e per la sua facoltà di girare intorno all'asse senza cambiare di luogo o eccedere i propri limiti, Platone {Timeo, 33) approvò la decisione del Demiurgo, che dette forma sferica al mondo. Affermò che il mondo è un essere vivente, e nelle Leggi (X, 898) giudicò che anche i pianeti e le stelle sono vivi. Dotò, così, di vasti animali sferici la zoologia fantastica, e censurò la pigrizia mentale degli astronomi, i quali rifiutavano di ammettere che il moto circolare dei corpi celesti fosse spontaneo e volontario.
Più di cinquecento anni dopo, in Alessandria, Origene insegnò che i beati resusciteranno in forma di sfera ed entreranno rotando nell'eternità.
L'idea del cielo come animale riapparve col Rinascimento, in Vanini; il neoplatonico Marsilio Ficino parlò dei peli, denti e ossa della terra; e Giordano Bruno stimò che i pianeti fossero grandi animali tranquilli, di sangue caldo e abitudini regolari, dotati di ragione. Al principio del secolo XVII, Keplero disputò all'occultista inglese Robert Fludd la paternità dell'idea della terra come mostro vivente, «la cui respirazione di balena, corrispondente al sonno e alla veglia, produce il flusso e il riflusso del mare». L'anatomia, l'alimentazione, il colore, la memoria e la forza immaginativa e plastica del mostro furono studiate da Keplero.
Nel secolo XIX, lo psicologo tedesco Gustav Theodor Fechner (elogiato da William James, nell'opera A Pluralistic Universe) ripensò con una sorta di ingegnoso candore le idee precedenti. Quanti non sdegnano la congettura che la terra, nostra madre, sia un organismo superiore alla pianta, all'animale, e all'uomo, possono esaminare le devote pagine del suo Zend-Avesta. Vi leggeranno, per esempio, che la figura sferica della terra è quella dell'occhio umano, cioè della parte più nobile del nostro corpo. Anche vi leggeranno che «se realmente il cielo è la casa degli angeli, questi senza dubbio sono le stelle, perché non ci sono altri abitanti del cielo».
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Il mirmicoleone

Un animale inconcepibile è il mirmicoleone, così definito da Flaubert: «Leone davanti, formica di dietro, e con le pudende a rovescio». La storia di questo mostro è curiosa. Nelle Scritture si legge: «Il vecchio leone perisce per mancamento di preda» (Giobbe, 4, n).
Il testo ebraico ha layish, per «leone»; questa parola anomala sembrava esigere una traduzione che pure fosse anomala; i Settanta si ricordarono d'un leone arabo che Eliano e Strabone chiamano myrmex e forgiarono la parola mirmicoleone.
Col tempo, la memoria di questa derivazione si perse. Myrmex, in greco, è «formica»; dalle parole enigmatiche «Il leone-formica perisce per mancamento di preda», nacque una fantasia che i bestiari medievali moltiplicarono:
Dice il fisiologo, trattando del leone-formica: il padre ha forma di leone, la madre di formica; il padre si nutre di carne, la madre d'erbe; e insieme generano il leone-formica, che è mescolanza dei due e che somiglia a tutti e due, perché ha la parte anteriore di leone, la posteriore di formica; così formato, non può mangiare carne come il padre né erba come la madre; per la qual cosa, muore.1



1. [Ma cfr. Morali di S. Gregorio, 5, 14: «Il mirmicoleone è un animale piccolissimo, nemico delle formiche, e questo animale sta sotto la polvere per impacciare, e uccidere le formiche, le quali sono intente alle lor granelle. Mirmicoleone in lingua latina non è altro a dire che leone delle formiche, ovvero più chiaramente formica e leone»].
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Il Behemoth

Quattro secoli prima dell'era cristiana, Behemoth era un ingrandimento dell'elefante o dell'ippopotamo, o una scorretta e impaurita versione di questi due animali; adesso è, esattamente, i dieci versetti famosi che lo descrivono (Giobbe, 40, 15-24) e la vasta forma che evocano. Il resto è diverbio o filologia.
Il nome Behemoth è plurale: si tratta (ci dicono i filologi) del plurale intensivo della voce ebraica b'hemah, che significa «bestia». Come spiega fra' Luis de Leon nella sua Esposizione del libro di Giobbe: «Behemoth è parola ebraica, ed è come chi dicesse bestie; a giudizio comune dei dotti indica l'elefante, chiamato così per la sua smisurata grandezza: che essendo un animale solo vale per molti».
A titolo di curiosità ricordiamo che è plurale anche il nome di Dio, Elohim, nel primo versetto della Genesi (sebbene il verbo si trovi poi al singolare: «Nel principio gli Dèi creò il cielo e la terra»), e che questa forma è stata chiamata plurale di maestà o di pienezza...1.
Ecco ora i versetti sul Behemoth nella traduzione
 
10.    Vedi ora Behemoth: erba come bue mangia.
11.    Vedi: la forza sua nei suoi lombi, e il potere suo nell'ombelico del suo ventre.
12.    Dimena la coda come cedro; nervi delle sue vergogne ritorti.
13.    Le sue ossa fistole di bronzo; come verga di ferro.
14.    Il principio dei cammini di Dio, chi lo fece vi metterà il suo coltello3.
15.    Che monti gli producono erba, e tutte le bestie della campagna fanno giochi colà.
16.    Sotto ombrosi pascola; in nascondiglio di canne, in pantani umidi.
17.    Coprono ombrosi la sua ombra; lo circondano salici del ruscello.
18.    Vedi: sorbirà fiume, e non meraviglia; e confida che il Giordano passerà per la sua bocca.
19.    Tra i suoi occhi come amo lo prenderà; con pali aguzzi forerà il suo naso.
 
Aggiungiamo, a chiarimento della precedente, quest'altra versione4:
 
10.    Ecco l'elefante, il quale io ho fatto teco; egli mangia l'erba come il bue.
11.    Ecco la sua forza è ne' lombi, e la sua possa nel bellico del suo ventre.
12.    Egli rizza la coda come un cedro; e i nervi de' suoi testicoli sono intralciati.
13.    Le sue ossa son come sbarre di rame, come mazze di ferro.
14.    Egli è la principale delle opere di Dio; sol colui che l'ha fatto può accostargli la sua spada.
15.    Perché i monti gli producono il pasco, tutte le bestie della campagna vi scherzano.
16.    Egli giace sotto gli alberi ombrosi, ne' ricetti di canne e di paludi.
17.    Gli alberi ombrosi lo coprono con l'ombra loro, i salci de' torrenti l'intorniano.
18.    Ecco, egli può far forza ad un fiume, si che non corra; egli si fida di potersi attrarre il Giordano nella gola.
19.    Prender allo alcuno alla sua vista? foreragli egli il naso, per mettervi de' lacci?
 
 
 
1. Analogamente, nella Grammatica della Reale Accademia Spagnola si legge: «Noi, sebbene per sua natura sia plurale, suole unirsi con nomi del numero singolare quando persone costituite in dignità parlino di se stesse; esempio: Noi, don Luis Belluga, per grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica Vescovo di Cartagena». letterale2di fra' Luis de Leon, il quale si propose di «conservare il senso latino e l'aria ebraica, che ha una sua tale maestà». 
2. [Qui letteralmente ripresa in italiano].
3. E la più grande delle meraviglie di Dio: ma Dio, che lo fece, lo    distruggerà
4. [Del Diodati. Borges allega quella di Cipriano de Valerà].
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Il drago in Occidente

 
 Un serpente grosso e alto con artigli e ali è forse la più fedele descrizione del drago. Può essere nero, ma è essenziale che sia splendente; di solito poi si esige che esali boccate di fuoco e di fumo. Si tratta, naturalmente, della sua immagine attuale; pare che i greci dessero il suo nome a qualunque serpente di taglia considerevole. Plinio riferisce che d'estate il drago apprezza il sangue dell'elefante, che è assai freddo. All'improvviso lo attacca, gli si attorciglia addosso e vi conficca i denti. Il pachiderma, esangue, crolla a terra e muore; muore anche il drago, schiacciato dal peso del suo avversario. Leggiamo poi che i draghi dell'Etiopia, in cerca di cibi migliori, attraversano il Mar Rosso ed emigrano in Arabia. Per compiere questa impresa, quattro o cinque draghi si intrecciano e, con le teste fuori dall'acqua, formano una specie di imbarcazione. Un altro capitolo è dedicato ai rimedi che si ricavano dal drago. Vi si legge che gli occhi, seccati e impastati con miele, costituiscono un linimento efficace contro gli incubi. Il grasso del cuore di drago, conservato in pelle di gazzella e stretto al braccio con tendini di cervo, assicura la vittoria nei processi; anche i denti, legati al corpo, garantiscono l'indulgenza dei padroni e il favore dei re. Il testo menziona con scetticismo un preparato che rende invincibili gli uomini. Si fa con peli di leone, con il midollo dello stesso animale, con la schiuma di un cavallo che ha appena vinto una corsa, con unghie di cane, e con la coda e la testa di un drago.
Nell'undicesimo libro dell'Iliade si legge che sullo scudo di Agamennone c'era un drago azzurro tricefalo; secoli dopo, i pirati scandinavi dipingevano draghi sui loro scudi e scolpivano teste di drago sulle prue delle navi. Fra i romani, il drago fu l'insegna della coorte, come l'aquila della legione; è questa l'origine dei moderni reggimenti di dragoni. Sugli stendardi dei re germanici d'Inghilterra c'erano dei draghi; lo scopo di tali immagini era incutere terrore ai nemici. Così, nel romanzo di Athis si legge:
 
Ce souloient Romains porter, ce nous fait moult à redouter.1
 
In Occidente, il drago è sempre stato considerato malvagio. Una delle imprese classiche degli eroi (Ercole, Sigurd, san Michele, san Giorgio) era di vincerlo e ucciderlo. Nelle leggende germaniche, il drago custodisce oggetti preziosi. Così, nel Cantare di Beowulf, composto intorno all'VIII secolo in Inghilterra, c'è un drago che da trecento anni è guardiano di un tesoro. Uno schiavo fuggitivo si nasconde nella sua caverna e porta via una brocca. Il drago si risveglia, si accorge del furto e decide di uccidere il ladro; a tratti, però, scende nella caverna e la controlla bene. (Ammirevole trovata del poeta attribuire al mostro un'insicurezza così umana). Il drago inizia a devastare il regno; Beowulf lo cerca, combatte con lui e lo uccide.
La gente credeva nella realtà dei draghi. Verso la metà del Cinquecento, Conrad Gesner inserisce il drago nella sua opera di carattere scientifico Historia animalium.
Il tempo ha notevolmente intaccato il loro prestigio. Crediamo nel leone come realtà e come simbolo; crediamo nel minotauro come simbolo, non più come realtà; il drago è forse il più conosciuto ma anche il meno fortunato degli animali fantastici. Ci appare puerile e contamina con tale puerilità le storie in cui figura. Conviene non dimenticare, tuttavia, che si tratta di un pregiudizio moderno, forse provocato dall'eccesso di draghi nelle fiabe. D'altra parte, nell'Apocalisse di san Giovanni si parla due volte del drago, « il vecchio serpente che è il Diavolo ed è Satana». Analogamente, sant'Agostino scrive che il Diavolo « è leone e drago; leone per l'impeto, drago per l'insidia». Jung osserva che nel drago ci sono il serpente e l'uccello, elementi della terra e dell'aria.
 
 
 
 1.« Questo solevano portare i romani, / questo fa sì che ci temano moltissimo ».
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Il drago cinese

 La cosmogonia cinese insegna che le Diecimila Cose (il mondo) nascono dal gioco ritmico di due principi complementari ed eterni, che sono lo Yin e lo Yang. Corrispondono allo Yin la concentrazione, l'oscurità, la passività, i numeri pari e il freddo; allo Yang lo sviluppo, la luce, l'impeto, i numeri dispari e il caldo. Simboli dello Yin sono la donna, la terra, il colore arancione, le valli, il letto dei fiumi e la tigre; dello Yang l'uomo, il cielo, l'azzurro, le montagne, le colonne, il drago.
Il drago cinese, o lung, è uno dei quattro animali magici. (Gli altri sono l'unicorno, la fenice e la tartaruga). Il drago occidentale, nel migliore dei casi, è terrificante; nel peggiore, ridicolo. Il lung della tradizione, invece, ha carattere divino ed è come un angelo che fosse anche leone. Così, nelle Memorie storiche di Ssu-ma Ch'ien, leggiamo che Confucio si recò a consultare l'archivista (o bibliotecario) Lao-tse; e che, dopo la visita, sentenziò:
Gli uccelli volano, i pesci nuotano e gli animali corrono. Quello che corre può essere arrestato da una trappola, quello che nuota da una rete, e quello che vola da una freccia. Ma qui abbiamo un drago; non so come cavalchi nel vento, né come arrivi al cielo. Oggi ho visto Lao-tse e posso dire d'aver visto il drago.
Un drago, o un cavallo-drago, emerse dal Fiume Giallo e rivelò a un imperatore il famoso diagramma circolare che simboleggia l'azione reciproca di Yang e Yin; un re aveva nelle proprie stalle draghi da sella e da tiro; un altro si nutrì di draghi e il suo regno fu prospero. Un grande poeta, per illustrare i rischi dell'eminenza, potè scrivere: «L'unicorno finisce come salume, il drago come pasticcio di carne».
Nell'I Ching (Libro dei mutamenti), il drago sta spesso a significare il savio.
Per secoli il drago fu emblema imperiale. Il trono dell'imperatore si chiamò il Trono del Drago; il suo volto, il Volto del Drago. Per annunciare che l'imperatore era morto, si diceva che era salito al firmamento su un drago.
L'immaginazione popolare connette il drago con le nuvole, con la pioggia attesa dai contadini, con i grandi fiumi. La terra s'accoppia col drago è locuzione abituale per significare la pioggia. Intorno al secolo VI, Chang Seng-yu esegui un dipinto murale in cui figuravano quattro draghi. Gli spettatori lo censurarono perché aveva omesso gli occhi. Chang, infastidito, riprese i pennelli e completò due delle sinuose immagini. Allora, «l'aria si popolò di raggi e di tuoni, il muro si sgretolò, e i draghi ascesero al cielo. Ma i due draghi senz'occhi rimasero al loro posto».
Il drago cinese ha corna, artigli e squame, e il filo della sua schiena è irto di punte. Si suole rappresentarlo con una perla, nell'atto di inghiottirla o di sputarla. In questa perla sta il suo potere: è inoffensivo se gliela tolgono.
Chuang-tse ci racconta d'un uomo tenace che, in capo a tre anni d'improba applicazione, s'impadronì dell'arte di uccidere draghi; e che, in tutto il resto dei suoi giorni, non trovò una sola occasione di esercitarla.
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