Da “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza” di Julian Jaynes:
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Secondo un’idea tradizionale e generalizzata non ci fu una vera religione in Grecia fino al IV secolo a.C. e gli dèi dei poemi omerici sarebbero semplicemente una «gaia invenzione di poeti », come è stato detto da illustri studiosi.4 Questa idea erronea si deve al fatto che la religione è concepita come un sistema di etica, una sorta di subordinazione a dèi esterni nello sforzo di comportarsi in modo virtuoso. E in effetti in questo senso gli studiosi hanno ragione. Dire però che gli dèi dell’Iliade siano un’invenzione degli autori del poema significa fraintendere completamente il senso degli eventi. I personaggi dell’Iliade non hanno momenti in cui si fermano a riflettere sul da farsi. Non hanno come noi una mente cosciente, e certamente non hanno la facoltà dell’introspezione. Per noi, esseri dotati di soggettività, è impossibile renderci conto in modo adeguato di tale situazione. Quando Agamennone signore di popoli sottrae ad Achille la sua amante, è una dea ad afferrare Achille per la chioma bionda e ad ammonirlo a non colpire Agamennone (I, 197 sgg.).
E una dea che sorge poi dalle spume del mare e lo consola nel suo pianto d’ira sulla spiaggia presso le nere navi, è ancora una dea che sussurra a Elena di togliersi dal cuore la nostalgia per la patria lontana, è una dea che avvolge Paride in una nebbia proteggendolo così dall’attacco di Menelao, è un dio che induce Glauco a scambiare le sue armi d’oro per armi di bronzo (VI, 234 sgg.), sono dèi che guidano gli eserciti in battaglia, che parlano a ogni guerriero nei momenti decisivi, che discutono e dicono a Ettore che cosa deve fare, che spronano i guerrieri o li sconfiggono gettando incantesimi su di loro o diffondendo nebbie nel loro campo visivo. [...]Insomma, gli dèi prendono il posto della coscienza.[…]
Chi erano dunque questi dèi che muovevano gli uomini come se fossero automi e che cantavano poesia epica attraverso le loro labbra? Erano voci, le cui parole e le cui istruzioni potevano essere udite dagli eroi dell’Iliade così distintamente come le voci udite da certi pazienti epilettici e schizofrenici o come le voci udite da Giovanna d’Arco.
Gli dèi erano organizzazioni del sistema nervoso centrale e li si può considerare come personae, nel senso di forti presenze costanti nel tempo, amalgami di immagini parentali o ammonitonie. Il dio è parte dell’uomo, e del tutto coerente con questa concezione è il fatto che gli dèi non escono mai dall’ambito delle leggi naturali.
Gli dèi greci, diversamente dal dio ebraico del Genesi, non possono creare qualcosa dal nulla. Nei rapporti fra il dio e l’eroe ci sono le stesse cortesie, emozioni, la stessa opera di convincimento che si riscontrano nei rapporti fra persone. Il dio greco non appare tra scoppi di tuono, non suscita mai soggezione o timone nell’eroe ed è lontanissimo dal dio esageratamente pomposo di Giobbe. Egli semplicemente guida, consiglia e ordina. Né il dio infonde un senso di umiltà o addirittura di amore, e ben poca gratitudine. Anzi, io sostengo che il rapporto fra il dio e l’eroe era simile —essendone di fatto l’antecedente — al referente del rapporto fra Io e Super-io in Freud o del rapporto del sé con l’altro generalizzato di Mead.[...]
Gli dèi sono quelle che noi oggi chiamiamo allucinazioni. Di solito essi sono visti e uditi solo dai particolari eroi cui si rivolgono. A volte si presentano avvolti da una nebbia o emergono dalla spuma del mare o da un fiume, o scendono dal cielo, il che suggerisce che sono preceduti da un’aura visuale. Altre volte, penò, compaiono semplicemente. Di solito si presentano direttamente con la loro identità, spesso come semplici voci, ma a volte assumono l’aspetto di persone molto vicine all’eroe.
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