dal greco: kai me eisenegkes emas. nella Vulgata et ne inducas nos è piuttosto controversa la traduzione: 1. il sostantivo peirasmos (tentazione) è rarissimo nella letteraura profana in lingua greca. Se ne hanno solo tre esempi. in dioscoride, e in due testi piuttosto sconosciuti. 2. Solo nella traduzione dei Settanta (a alessandria d'Egitto) appare massicciamente la parola peirasmos, di cui abbbiamo 19 occorrenze. viene tradotto dai settanta con "messa alla prova" oppure semplicemente con "prova". Peirasmos traduce sempre l'ebraico nsh, che significa appunto mettere alla prova. si tratta di mettere qualcuno alla prova per verificarne la fedeltà. 3. la traduzione con tentazione è quindi piuttosto arbitraria e dettata dell'abitudine (usus scribendi creato da una lectio facilior, forse). tentazione è quindi un senso secondario, il primo è prova.
poi si complica ulteriormente:
1. la parola "indurre", inducas, non rende bene: infatti viene usata la formula complessa "non indurci in tentazione" e non "non tentarci": il senso del graco è quindi "non permettere che entriamo nella prova", oppure causativa "Fà che non entriamo nella prova". 2. si apre quindi uno spazio in cui accanto a Dio può fare la comparsa il maligno, l'avversario per cui non è Dio che mette alla prova ma colui al quale Dio ha dato la licenza di farlo, Situazione alla Giobbe per intenderci. 3. facendo riferimento anche all'aramaico (Gesù pronunciò questa preghiera in aramaico) la traduzione corretta sarebbe quindi:
"Fà che noi non entriamo nella prova ma liberaci dal Maligno".
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Una donna soletta che si gia, danzando e scegliendo fior da fiore, ond'era pinta tutta la sua via...Pg XXVIII
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