Dunque, facciamo il punto della situazione, dopo qualche divagazione sul tema.
Santaruina: Tu poni sempre la questione in termini di “bene e male” e questa, permettimi di dirlo, è una visione piuttosto ristretta in generale. Se la percezione va oltre il sensibile, questa dovrebbe sconfinare dai confini imposti , quindi “bene e male” perdono la loro valenza assoluta, e ne assumono una relativa. E’ , a mio avviso, proprio la “fede” che rende assoluto e insondabile il territorio “bene e male”, che traccia confini invalicabili , che limita , anzi impedisce, ulteriori interpretazioni. La distinzione tra bene e male, non è netta, precisa, sarà la tua percezione a stabilire di volta in volta. Forse il mio discorso sull’armonia d’insieme, ti sarà parso un tantino “newage” ma a scanso di equivoci, è la mia personalissima interpretazione. Secondo me, il considerarsi parte di un tutto, implica una personale responsabilità. Nessuna delega. Il rispetto dell’altro è un esercizio rivolto all’individuo (e più in generale a tutto ciò che ci circonda) . L’individuo inteso proprio come tale, non rappresentazione sublime di qualcosa d’altro, né concetto, né metafora, ma presenza reale, oggettiva. Il peggior messaggio che deriva dalle religioni tutte, è proprio quello di indirizzare la responsabilità personale verso un’entità astratta e divina. Rendere conto a Dio, per rapportarsi con il simile. Un passaggio inutile, fuorviante.
Matelda: Quello che io rifiuto come concetto, è appunto il fatto che l’uomo necessiti di una interferenza divina, per compiere un cammino di consapevolezza . Per qualche tempo mi sono interessata agli studi sull’intelligenza emotiva. L’intelligenza infatti, è multiforme, come tu stessa hai ribadito, essa non dipende dal grado di istruzione o dall’esperienza. L’intelligenza è composita, un insieme (possibilmente) omogeneo di fattori determinanti. L’empatia , ad esempio, fa parte di questi fattori. L’equilibrio fra i vari “ ingredienti” è la condizione ottimale per godere pienamente del mezzo. Non a caso, proprio coloro che hanno dei deficit specifici, non solo non riescono a avere benefici diretti, ma spesso causano danni agli individui con i quali si rapportano. Dallo studio della psicologia criminale, è emerso che generalmente , coloro che compiono gravi crimini , sono spesso deficitari dell’empatia, ossia di quella capacità , non solo di relazionarsi con l’altro, ma di registrare i sentimenti altrui. L’empatia, nello specifico, si basa sull’autoconsapevolezza: quanto più aperti siamo verso le nostre emozioni, tanto più abili saremo anche nel leggere i sentimenti altrui. Nel caso degli alessitimici , ossia coloro che hanno appunto un grave deficit dell’intelligenza emotiva, è stata riscontrata una totale incapacità nel comprendere i sentimenti che li pervadono. Non comprendendo la loro condizione emotiva, sono impossibilitati a comprendere quella dell’altro. E’ chiaro che non tutti gli alessitimici siano destinati a diventare assassini o stupratori… ma la loro condizione è un limite oggettivo ai rapporti umani.
Quindi, a parer mio, divino a parte, esistono molteplici varianti sui percorsi personali, fra queste alcune sicuramente endogene, e nello specifico, alcune diventano possibilità altre rappresentano un limite.
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Citazione:
Il futuro dell’uomo è a una drammatica stretta ho visto un panda con la mia faccia sulla maglietta. Stefano Benni
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