Malanga - Archetipi
Prefazione
Solitamente non introduco mai i miei scritti con delle inutili prefazioni, ma in questo caso
devo avvertire il lettore su alcune questioni.
Ho scritto questo lavoro su espressa richiesta di molti lettori che chiedevano ragguagli sul
termine ARCHETIPO: cosa fosse, come dovesse essere interpretato, a cosa servisse, e
così via.
Ho scritto con l’intento di chiarire le idee ai lettori, tuttavia parlare precisamente di archetipi
non è possibile se non in modo archetipico, cioè incomprensibile all’interpretazione del
lobo sinistro del nostro cervello.
Ho dovuto pertanto usare dei trucchi per farmi capire.
Non so se ci sia riuscito, inoltre in alcuni passaggi ho dovuto utilizzare un linguaggio forse
troppo simbolico e quindi di difficile interpretazione.
Me ne scuso in anticipo, ma meglio di così non mi è riuscito fare.
Al contrario di alcuni altri miei lavori, questo è decisamente pesante da leggere e da
comprendere, ma se il lettore farà lo sforzo di arrivare fino in fondo, forse non avrà perso
tempo inutilmente.
Corrado Malanga
20 febbraio 2006
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Note bibliografiche on line:
http://en.wikipedia.org/wiki/Archetype#Jungian_archetypes http://en.wikipedia.org/wiki/Archetype#Cultural_archetypes_analysis http://en.wikipedia.org/wiki/Archetype#Enneagram_character_archetypes http://en.wikipedia.org/wiki/Archetype#External_links http://en.wikipedia.org/wiki/Archetype#See_also http://sauron.mat.unimi.it/~alzati/Geometria_Computazionale_9899/apps/geocomp/index.htm
2
Corrado Malanga
0 · Stare fermo (Essere invisibile) 11 >
<
Stringersi (Chiudersi in sé)
1
.
Andare indietro (nel tempo) 12
•
Ritrarsi (Immobilizzarsi)
2
.
Andare avanti (nel tempo) 13
.
Dilatarsi (Occupare gli spazi)
3
.
Andare in alto (verso il positivo) 14
.
Raccogliersi (Diminuire gli spazi)
4
.
Andare in basso (verso il negativo) 15
.
Spostarsi di lato in avanti (Evitare)
5 • Fare un passo indietro (Nascondersi) 16
/
Spostarsi di lato indietro (Ritirarsi)
6 ° Fare un passo avanti (Mostrarsi) 17
¦
Oscillare (tra alti e bassi)
7
.
Allungarsi (Prevalere) 18
-
Oscillare (tra prima e dopo)
8
.
Allargarsi (Invadere) 19
~
Oscillare (tra il vero ed il falso)
9
¤
Sporgersi (in avanti ed indietro) 20.Implodere (Morire)
10 .
.
Accorciarsi (Rimpicciolire) 21
¤
Esplodere (Nascere)
Questa è una tabella interpretativa in base al significato degli archetipi: detta così questa
frase risulterà totalmente incomprensibile alla maggior parte dei lettori.
Voglio cominciare con una cosa incomprensibile per far capire da un lato come non sia
immediata la definizione di “archetipo” e, dall’altro, come tale definizione possa essere
molto utile nella comprensione dell'Universo, una volta capito il meccanismo che ne è alla
base.
Devo parlare di archetipi perché ho decisamente inflazionato l’uso di questo termine
durante la stesura dei miei ultimi lavori e molte persone mi hanno chiesto di essere più
chiaro sul significato del termine, che ai più risulta evidentemente ostico.
Gli archetipi entrano nella vita di tutti i giorni non solo nella descrizione della realtà che
siamo abituati a percepire, ma anche nella descrizione olistica dell’Universo stesso,
essendo gli archetipi sia in grado di interagire con il lobo sinistro del nostro cervello, atto a
manipolare lo Spazio, il Tempo e l'Energia, sia di essere ben interpretati soprattutto dal
lobo destro, che è, come vedremo tra poco, in grado di gestire le emozioni.
Avere dunque a disposizione degli strumenti non solo per distinguere la realtà virtuale da
quella reale, ma per decodificare tutti e due questi aspetti della nostra esistenza, vuol dire
poter capire cosa abbiamo attorno a noi ed interagire meglio ed in modo più completo con
il “resto” della Creazione.
Archetipo significherebbe: Primo esemplare assoluto ed autonomo, un modello primitivo
delle cose del quale le manifestazioni sensibili della realtà non sono che filiazioni
o
imitazioni. Archetipo viene inteso anche con il significato di Idea.
Per Carl Gustav Jung archetipo è il contenuto dell’inconscio collettivo, cioè le idee innate
o
la tendenza ad organizzare la conoscenza secondo modelli predeterminati innati.
In lingua greca antica archetipo vuol dire, infatti, “Primo esemplare”
.
Quando si dice che un archetipo è un’Idea, si sottintende che l’idea è originale, cioè che
non è partorita da niente, ma partorisce ciò che da essa deriva.
Va da sé che il concetto è estremamente importante in tutti settori del nostro essere.
3
Per esempio: se si vuol capire come funziona il pensiero umano, ma non solo, direi anche
qualsiasi forma di pensiero - sia animale sia alieno al nostro sistema cognitivo - e si
conosce come si produce un archetipo, chi o cosa lo crea e con quale meccanismo
l’archetipo, a sua volta, crea il resto, si comprenderanno appieno i metodi per comunicare
con altre forme di vita e non solo con i propri simili.
Già, perché in tutto l’Universo gli archetipi sono sempre gli stessi ed una formica ha in sé
gli stessi archetipi dell’uomo.
Gli archetipi sono dunque i mattoni del linguaggio universalmente parlato, ma questa
definizione non rende giustizia alla loro realtà.
La vera definizione degli archetipi potrebbe essere la seguente:
Archetipi sono i mattoni con cui è costruito e si costruisce l’Universo.
Questa definizione risulta essere decisamente più ampia e generale di altre lette qua e là
e comprende anche quella data in precedenza, con la quale non è in contrasto. Infatti tutto
ciò che viene fatto crea un’interazione ed in questa parola è sintetizzato il significato di
“linguaggio”, il quale, appunto, è essenzialmente un’interazione.
Se un elettrone colpisce un protone, ne nasce una reazione nucleare, ma i fisici moderni
tendono a dire che l’elettrone ha portato con sé delle informazioni che ha “scaricato” sul
protone: in parole povere le due particelle subatomiche, urtandosi, si scambierebbero delle
informazioni.
Dunque tutto ciò che regola il linguaggio tra cose, regola in realtà le interazioni tra di esse,
quindi gli archetipi regolano le interazioni tra cose. Vale a dire pure che l’Universo è
costituito con un certo numero di mattoni, gli archetipi appunto, ma tali archetipi sono quelli
che regolano tutto: dal linguaggio alle reazioni subatomiche.
Se ne deduce che, se si capiscono gli archetipi, si saprà parlare con le cose dell’Universo.
San Francesco era un mistico, prima che un santo per la Chiesa Cattolica, ed è la figura
del mistico che in questo momento ci interessa. Buddha era un mistico a sua volta.
Il primo si distingueva perché parlava con gli animali ed il secondo perché l’Universo
parlava a lui. Ma questo come sarebbe stato possibile? Se l’esistenza degli archetipi così
come è stata proposta è vera, i due personaggi sopra citati avrebbero avuto un’inconscia
tendenza all’uso degli archetipi per la comprensione del Tutto.
Chi avrebbe insegnato loro quell’importante linguaggio universale?
Nessuno, ovviamente, perché dentro ognuno di noi sarebbero già scritte le regole per
parlare questo linguaggio. Vedremo tra breve che è proprio così.
LA STRUTTURA DEL LINGUAGGIO
Com’è strutturato il linguaggio umano?
Ovviamente qualcuno può pensare che il linguaggio umano abbia subìto una
strutturazione evolutiva in senso storico e che gli uomini della pietra emettessero suoni
gutturali e conoscessero solo poche espressioni, come gli animali. Oggi, invece, il
linguaggio si sarebbe evoluto e noi potremmo parlare e farci capire anche da un delfino.
Va detto che il linguaggio originario, quello di base, ovvero l’idea di linguaggio, non
subisce variazioni nel tempo, perché è fuori dal tempo. Se questo è vero, è errato
supporre che l’idea di linguaggio possa evolversi in qualsivoglia direzione. D’altra parte è
innegabile che il linguaggio che usiamo oggi sia decisamente più complesso di quello che
usavano gli uomini della pietra.
Bene. facciamo chiarezza: “più complesso” non vuol dire “più evoluto”, ma solo “più
specializzato”. Uno strumento si dice “più specializzato” quando serve molto bene per una
cosa sola. Il massimo della specializzazione è essere capaci di fare, in modo perfetto, solo
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una cosa. In pratica essere specializzati significa non saper fare praticamente niente, se
si esclude, per esempio, il grattarsi perfettamente un orecchio.
In questo senso la freccia del tempo non è diretta secondo l’evoluzione, ma secondo la
specializzazione degli esseri contenuti nell’Universo.
Non è nemmeno vero che esistano differenti tipi di linguaggi più o meno evoluti, ma
esistono differenti forme, più o meno specializzate, di un unico linguaggio.
Vediamo infatti che il linguaggio fonemico che utilizziamo tutti i giorni è una rielaborazione
di altri tipi di espressioni più antiche: il fonema, infatti, deriva dal linguaggio iconografico.
Prima di parlare l’uomo disegnava: basterebbe questa osservazione a far capire cosa
voglio dire, ma c’è di più. In realtà quando, per esempio, scriviamo la lettera alfabetica “O”
potremmo chiederci perché, nella nostra cultura, al fonema “ooooo” si sia abbinata la
forma di un cerchio. La risposta è semplice: perché nell’emettere il fonema “oooo”
atteggiamo la forma della bocca a cerchio, appunto la forma attribuita alla lettera “O”.
Inconsciamente le diverse culture della Terra hanno abbinato un fonema ad un disegno di
partenza. Il disegno era qualcosa di più primitivo, nel senso che veniva prima del fonema,
ma più primitivo non significa meno evoluto, vuol semplicemente dire meno specializzato.
Ciò che è più specializzato è anche meno comprensibile o, comunque, comprensibile solo
per coloro che hanno lo stesso grado di specializzazione. Se conosco solo il giapponese,
posso parlare bene solo con giapponesi ed il resto del mondo sarà privato della possibilità
di comunicare con me.
Se questo è vero, il fonema rappresenta il gradino più basso delle possibilità di farsi
comprendere da una moltitudine, anche se fornisce l’opportunità di farsi capire, senza
errori, da uno ristretto gruppo di persone, da un clan.
Che il disegno sia una forma di comunicazione più ampia è evidente. Davanti a certi tipi di
disegni molti sono in grado di comprendere il loro contenuto informazionale, anche se
emergono alcune difficoltà interpretative quando lo stesso disegno viene presentato a dueculture ancora molto distanti tra loro. È dunque innegabile che chi parla per immagini, o
per meglio dire per icone, sarà compreso, in modo forse inesatto, da un numero molto
maggiore persone rispetto a chi che usa un linguaggio fonemico.
Infatti nell’attuale società, nella quale ormai solo pochi leggono libri e molti tendono ad
esprimersi con una serie di elementari suoni gutturali quasi del tutto privi di struttura
grammaticale, quando dobbiamo farci capire usiamo le immagini.
Il dispositivo che produce immagini è, per antonomasia, la televisione. In un contesto in cui
il potere politico usa il linguaggio fonemico e tende a presentare uomini dotati di cultura
sempre più scarsa, il numero di espressioni verbali utilizzato tende a diminuire
drasticamente.
Il potere ha raggiunto il suo scopo, ma d’altra parte, quando il potere stesso ha l’esigenza
di comunicare ai suoi sudditi cosa fare e come votare, deve utilizzare un semplice
linguaggio di massa ed è proprio in quell’occasione che utilizza la televisione: poche
immagini hanno un impatto anche emotivo più potente di qualsiasi discorso.
Così la lingua inglese ha il sopravvento sulle altre lingue per la sua immediatezza,
ovviamente a scapito del numero di espressioni utilizzabili ai fini di una comprensione
culturalmente più ricca. Contro ottantamila parole di un normale vocabolario inglese ce ne
sono almeno centoventimila nell’equivalente vocabolario italiano.
Qui va fatta un’ulteriore precisazione: il termine cultura non ha niente a che fare con
l’evoluzione di un linguaggio, ma indica solo quanto il linguaggio che si utilizza sia ben
conosciuto. Non si deve quindi pensare che cultura e specializzazione siano due termini
che vadano di pari passo.
Un contadino dell’Amazzonia che conosce solo trecento parole può essere più
specializzato di un Africano che conosce tutto lo Swahili, ma sicuramente quest'ultimo
sarà più colto.
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ALLE ORIGINI DEL LINGUAGGIO
Allora, se con i disegni si riesce a comunicare, anche se in modo imperfetto, con un
maggior numero di persone, cerchiamo di tornare indietro nel tempo e vediamo cos’ha
generato il disegno, l’icona, alla ricerca dell’Idea Originale che magari ci premetterà di
esprimerci in modo più universale.
Il disegno nasce da un processo che il nostro cervello, sotto l controllo della mente, ha
sviluppato in tempi molto recenti (milioni di anni). Prima del disegno c’è il Simbolo.
Il Simbolo è una struttura ancora più primordiale: potremmo definirlo un disegno
primordiale che contiene solo alcuni tratti grafici i quali non hanno apparentemente
un senso immediato, ma risultano stranamente comprensibili ad una parte profonda
della nostra coscienza.
Il simbolo è qualcosa che va al di là di un semplice disegno, ma è costituito da
un’espressione comunicativa che ha a che fare con lo spazio che ci circonda. La gestione
dello spazio che ci circonda è il meccanismo mediante il quale viene letto il simbolo.
Il simbolo è qualcosa di estremamente più primitivo, e quindi è più interpretabile. Può
trattarsi di una posizione che il nostro corpo “simbolicamente” assume quando parliamo a
fonemi. La posizione del corpo non vuole essere un sistema comunicativo in più per dare
enfasi alle cose che diciamo, ma semmai è il contrario. Il vero linguaggio primordiale è il
comportamento, non la fonemizzazione. In tutte le culture del globo, per esempio, gli Dei
stanno in cielo e i mostri cattivi negli inferi.
Così alziamo la testa in alto nel dire: “Che bella giornata oggi!”.
Facciamo il contrario abbassando la testa nel dire: “Oggi va proprio tutto male!”
Potremmo dire, in un certo senso, anche se ciò rappresenta una rielaborazione spaziale
del concetto originario, che nel nostro DNA abbiamo l’informazione simbolica secondo la
quale le cose buone stiano in alto e che le cose brutte in basso.
In grafomeccanica si sa perfettamente che la sfera dei sensi viene rappresentata dalla
parte bassa della scrittura e la sfera degli ideali da quella alta.
Analogamente il pensiero viene identificato come nobile, mentre la maggior parte delle
culture tende a dare al corpo un’accezione meno evoluta (dove “evoluzione” e “bene”
appartengono alla stessa sfera simbolica).
Per questo si tende sovente ad accoppiare alcuni simbolismi che, invece, hanno strutture
generatrici di base differenti.
Il bello è anche buono e viceversa; il cattivo è brutto. Ma ciò non è assolutamente vero!
Allora cosa significa: che il linguaggio simbolico sbaglia? Ma no! Vuol dire che, quando
siamo in contatto con una persona bella, questa ci sembra anche buona: ma questo
accade perché si attribuisce a monte il significato sia di “bello” che di “buono” alla
semplice accezione di positivo (o il contrario per l’accezione di negativo).
Il simbolismo rappresenta pertanto la chiave di lettura per leggere la posizione delle
cose nello spazio!
Molti sono gli esempi che si possono citare per dimostrare ciò che in realtà si dimostra da
solo: gli sciamani gettano a terra sassolini od oggetti vari, come ossa di piccoli animali, ed,
a seconda della posizione che essi assumono, divinano, cioè tendono a reinterpretare la
natura che li circonda in senso molto ampio, nel presente, nel passato o nel futuro.
C’è chi legge nelle macchie del caffè o nella forma delle gocce d’olio o chi fa le carte,
distribuendole in un preciso spazio simbolico.
La posizione assunta dagli oggetti intorno a noi viene identificata con qualcosa che la
natura ci vuol dire. Questo processo di lettura è totalmente inconscio, cioè avviene ad un
livello che non riguarda più il subconscio, bensì una sfera più profonda del nostro essere.
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A questo livello si mescolano segnali che vengono dal subconscio e segnali che derivano
dall’inconscio e, se da un lato il subconscio, con il lobo sinistro del cervello, tende a
razionalizzare il tutto, l’esatto opposto fa l’inconscio, che non passa attraverso la
razionalità, ma attraverso il sentire, il percepire l’universo senza le mediazioni fisiche o
matematiche proprie della scienza.
A questo punto sta alla capacità del singolo saper ben comprendere quello che viene
percepito, perché, se i segnali che vengono dal lobo destro e quelli che arrivano dal lobo
sinistro non sono coerenti, il risultato dell’interpretazione finale sarà viziato dall’errore
percettivo. L’incapacità dello sciamano di utilizzare appieno questo sistema sarebbe
dovuta ad un forte intervento della sua seppur ridotta razionalità, la quale, inquinando
fortemente la sua totale irrazionalità, lo confonderebbe sul vero significato del simbolo che
sta leggendo e, di conseguenza, interpretando.
LO SCHIZOFRENICO E LA PALLINA ROSSA
La mancanza totale di subconscio produce un’errata interpretazione della posizione degli
oggetti nello spazio, con conseguente incapacità a correlarsi con il mondo esterno.
La schizofrenia è un esempio eclatante, nel quale il principio noto come “relazione tra
causa ed effetto” viene totalmente invertito: lo schizofrenico è capace di dire che, siccome
mentre camminava per strada ha trovato per terra una pallina rossa, ne consegue che
camminare per strada è pericoloso.
Analizziamo per un istante il processo mentale dello schizofrenico e scopriamo che per lui
il colore rosso significa davvero archetipicamente pericolo, o meglio suscita in lui lo stato
d’animo legato al sentirsi in pericolo. La mancanza di intervento del lobo sinistro, o
comunque un cattivo uso del subconscio, lo spingono a cercare una spiegazione razionale
ad un simbolismo. Non intervenendo la razionalità, egli non mette correttamente in
relazione ciò che ha visto con quello che è successo. Solitamente il nostro cervello prima
sente le cose con il lobo sinistro e poi con quello destro: in parole più semplici un essere
umano normale pensa che prima esista una causa e poi, in seguito, un effetto. La causa è
l’espressione della lettura della realtà virtuale da parte del lobo sinistro, il quale ha visto
una pallina rossa, che è un segnale (realtà virtuale: Spazio, Tempo ed Energia). L’effetto
viene dopo ed in questo caso è qualcosa che si attende accada. Sta nel futuro e viene
percepito come sensazione di disagio (pericolo incombente, sensazione legata al sentire
le cose con il lobo destro, precognizione, Realtà Reale). Chi è schizofrenico inverte il
sistema di percezione e fa partire subito l’inconscio del lobo destro del cervello ed il
risultato è: “Siccome ho paura, ecco che la natura me la conferma con un segno
facendomi incontrare sul mio cammino una pallina rossa.”
Come interpretare questo fatto da un punto di vista generico? Semplice: siccome il sentire
le cose è un modo per comunicare con l’Universo e siccome questo metodo è molto vicino
all’archetipo che ha prodotto questa sensazione, si deve dire che questo è un messaggio
reale, molto più reale della visione di una pallina rossa (realtà virtuale).
Nello schizofrenico manca però totalmente la capacità di mettere in relazione il sentire
dell’inconscio con il comprendere del subconscio. Da ciò scaturisce una sola soluzione: lo
schizofrenico vive un momento di paura che percepisce benissimo, ma al quale non sa
dare una spiegazione cosciente e, per aggirare questo inconveniente strutturale del suo
cervello, attribuisce la colpa (la causa) alla pallina rossa incontrata (che da effetto primario
diviene causa iniziale). In questo esempio si nota che il linguaggio simbolico dei colori ha
retto alla prova. La sensazione di paura è legittima ed il soggetto non sbaglia nessuna
interpretazione del suo sentire. L’errore è dovuto alla sua incapacità di leggere la RealtàVirtuale nello stesso modo in cui legge la Realtà Reale. È facile che lo schizofrenico senta
l’universo con grande sensibilità, ma che non capisca nulla di quello che sente, perché
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non è in grado di correlarsi con lo Spazio-Tempo che lo circonda: egli vive “gettato
nell’inconscio” ed è estremamente emotivo.
Questo concetto era espresso dagli antichi Greci con l’archetipica espressione:
”I pazzi sono quelli che parlano con gli dei”
ed oggi diremmo che sono le persone più vicine alla loro anima.
Tutto implica che il linguaggio degli archetipi possa essere compreso se l’essere umano
ha la capacità di far ben funzionare sia il lobo destro sia quello sinistro del suo cervello,
cioè che possieda due strumenti perfetti per leggere, rispettivamente, la Realtà Reale
(Coscienza - immutabile) e la Realtà Virtuale (Spazio, Tempo ed Energia - modificabile)
.
INTERAZIONI ARCHETIPICHE
Il rapporto che esiste tra il fonema e la scrittura è simile a quello tra il linguaggio parlato e
quello simbolico. Alle scuole elementari, quando si entra in aula, c’è la figura della foglia
ed accanto la lettera “EFFE”. Il bambino prima apprende che quel disegno corrisponde ad
una foglia e la ridisegna, poi, solo in un secondo tempo, si impadronisce della relazione
che lega il disegno della foglia al simbolismo del segno grafico “effe”. Nella nostra cultura
la lettera “effe” possiede un’espressione fonemica che, onomatopeicamente, ricorda il
rumore dell’aria, del vento. Foglia, fonema, flight dall’inglese, il volare della foglia nel vento
(Effe e Vu, due fonemi simili - nda) simbolicamente sono associati al suono della lettera
effe e questo legame viene creato dalle nostre culture in modo assolutamente spontaneo.
Dunque per mezzo della posizione degli oggetti nello spazio possiamo parlare ad altri.
Questo è il principio che la programmazione neurolinguistica applica quando esamina
come ci si muove, per dedurre cosa pensiamo realmente. Così disegnare in alto a destra
od in basso a sinistra nel foglio viene interpretato come un segnale del rapporto che noi
abbiamo con il futuro o con il passato, con la sfera del pensiero o con quella dei sensi.
Il simbolo, quindi, creerebbe l’immagine e questa creerebbe il fonema.
In realtà c’è ancora un passaggio intermedio importante per stabilire cosa sia un archetipo.
Prima di creare l’immagine, il simbolismo crea il colore. Solo dopo si creerà l'immagine
colorata. La creazione del colore è importante, perché ci suggerisce che si possa parlare
tramite i colori. In effetti i nativi americani, che non conoscevano la scrittura, avevano un
linguaggio a base di colori, una specie di codice estremamente funzionale nella sua
interpretazione. Spielberg, nel suo film, “Incontri ravvicinati del terzo tipo” mostra
un’astronave che, per comunicare con gli umani, muove forme colorate in rapida
successione.
Sembra impossibile, ma il linguaggio dei colori è sicuramente più generale di quello delle
immagini. Il test dei colori di Max Lusher, psicoanalista svizzero, parla chiaro: si può
definire una persona sulla base de primi sei colori che sceglie a proprio piacimento.
Il colore, infatti, produce stimoli interni che possono colloquiare con il nostro inconscio
meglio di una semplice immagine ed il colore è compreso da tutti, al di là della propria
cultura.
Infatti, mano a mano che torniamo indietro, alla fonte della comunicazione, ci accorgiamo
che le culture non vengono influenzate dal sistema comunicativo simbolico.
I colori hanno sempre un significato preciso, al di là del tempo e dello spazio.
Rosso uguale fuoco, aggressione, calore, ossigeno.
Bianco vuol dire “tutto pieno”, fresco, luce, impalpabile.
Azzurro significa cielo, meditazione, riposo, attesa.
Marrone è casa, terra, tradizione e così via.
Ancora esiste comunque, a questo livello, una certa interferenza culturale che comincia a
modificare il segnale. In altre parole la cultura fa sì che si leggano gli stessi stimoli di
colore in modo apparentemente diverso.
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Per noi occidentali il bianco è vita ed il nero è morte. Per gli africani è il contrario.
Ma è facile capire che questo apparente contrasto nell’interpretare le cose dipende solo
dal significato che si dà alla vita: simbolicamente la vita è il colore della propria pelle e la
morte è sempre il contrario della vita.
Così come il colore si inserisce tra il simbolo e l'immagine, il suono si inserisce tra
l’immagine ed il fonema. Invece di parlare, molti giovani della new-age con grossi problemi
di comunicazione utilizzano un linguaggio comune più vasto e più facile da usare: la
musica. Ma non bisognava certo attendere la new-age perché questo accadesse, bastava
andare a verificare il significato che la musica ha per le tribù più primitive, nelle quali è più
facile parlare con qualcosa di sicuramente meno evoluto e quindi più ricco di espressione.
Il suono apre una via d’accesso alla comunicazione che è più profonda della la parola.
Ne è un’indiretta dimostrazione l’applicazione della musicoterapia in psicoanalisi, come,
del resto, anche la coloreterapia.
È evidente che più ci si allontana dall’espressione fonemica e ci si avvicina a quella
simbolica, più il linguaggio utilizzato, divenendo generale, appare comprensibile
inconsciamente a tutti. Lo psicologo tende ad utilizzare questi metodi perché così è più
facile parlare con l’inconscio ed utilizza un linguaggio decisamente differente dal normale
e più archetipico, come vedremo fra un istante.
Dunque il simbolo crea il colore; questo crea l'immagine, la quale crea il suono, che crea il
fonema.
In ogni trasformazione il soggetto immette nel processo di trasformazione il contributo
della propria cultura e così, pur partendo da un’unica fonte simbolica, si arriva ad una serie
di linguaggi differenti, si arriva ad una Babele cosmica incredibile. Il cinese non parla con il
giamaicano solo perché è abituato a parlare a fonemi. Il loro linguaggio è dunque tanto
specializzato che solo esponenti dello stesso gruppo parlano quel linguaggio e si
comprendono l’un l’altro, ma così facendo l’uomo perde la capacità di confrontarsi con il
resto dell’umanità al di fuori del suo clan.
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MA COSA CREA IL SIMBOLO?
Il simbolo viene creato dall’archetipo ed eccoci finalmente giunti all’inizio del linguaggio,
agli archetipi, i mattoni dell’esistenza.
L’archetipo, però, pone un problema: essendo un mattone fondamentale dell’Universo,
contiene dentro di sé l’essenza della Realtà Reale e non quella della Realtà Virtuale (cioè
mutabile), di cui si è già detto più volte.
Questo vuol dire che l’archetipo non può essere in nessun modo disegnato, visto,
descritto, perché ognuna di queste azioni dipende dagli assi dello Spazio, del Tempo
e
dell’Energia, ovvero da tutto ciò che la Realtà Virtuale è, ma che la Realtà Reale non è.
Va sottolineato che l’archetipo non rappresenta il linguaggio, bensì l’idea del
linguaggio, cioè è quel “quid” che, attraverso un’operazione formale, agisce sulla
Realtà Virtuale modificandola, interagendo con essa.
È sì vero che l’archetipo è a noi invisibile, ma è altrettanto vero che, come tra simbolo ed
immagine c’è il colore, che serve per creare l'immagine, e come tra immagine e fonema
c’è il suono, che serve per creare il fonema stesso, così tra l’archetipo ed il simbolo c’è la
sensazione. La sensazione è un concetto molto astratto e per questo la definirò, per
convenienza, emozione. In questo caso non si sta più lavorando con il linguaggio che
caratterizza il metodo di lettura dell'Universo tipico del lobo sinistro del cervello, che è
basato su Spazio, Tempo ed Energia: non si sta comunicando nel campo della Realtà
Virtuale, ma si sta utilizzando il lobo destro del cervello, cioè si sta comunicando nel
campo della Realtà Reale. La Realtà Reale non ammette cattive traduzioni, perché è
l'origine. Interpretazioni errate sono possibili nel linguaggio dei fonemi, ma già il
simbolismo non permette che piccoli errori.
Il lobo destro del cervello, che viene utilizzato dall’anima per parlare alla mente umana e
la cui funzione si esalta a livello di ipnosi profonda, non permette, infatti, che ci siano
interpretazioni errate. L’inconscio non dice bugie, perché nel mondo degli archetipi esiste
solo la realtà, non l’immagine distorta della realtà, ovvero la bugia.
Come primissimo risultato dell’operazione che un archetipo ha effettuato su di noi,
possiamo registrare la presenza di emozione; gli archetipi costruiscono il simbolo
attraverso l’emozione che essi sono in grado di produrre nel mondo del virtuale. In altre
parole l’archetipo agisce sulla virtualità producendo emotività, la quale viene letta
soprattutto dall’anima e dall’inconscio.
Gli altri livelli di linguaggio servono per far parlare tra loro gli esseri viventi e per far loro
comunicare le proprie virtualità. L’archetipo serve, invece, per far dialogare tra loro le parti
che compongono una sola unità, in breve per far dialogare Anima con le altre parti del Sé,
cioè con la Mente, con lo Spirito e con il Corpo.
VANTAGGI E SVANTAGGI DELL’USO DEGLI ARCHETIPI
Il linguaggio archetipico ha dunque un vantaggio, descrive sempre la realtà, non inganna
mai, è comprensibile da tutti gli esseri del cosmo e non c’è bisogno di imparare qualche
strana lingua per parlare con una formica o con un alieno, perché tutti sono costruiti con gli
stessi mattoni ed usano gli stessi archetipi.
Gli archetipi sono l’unico mezzo che noi possediamo per poter colloquiare con il nostro
inconscio, perché sono il linguaggio primo e l'inconscio è nato prima del subconscio e del
conscio.
Ma allora perché non utilizzare sempre soltanto questo tipo di linguaggio?
Perché “l’evoluzione” della specie umana ci ha portato in un’altra direzione, quella della
specializzazione, a sfavore della comprensione. Conoscere bene una cosa sola è stato
reputato meglio che sapere bene tutto e la politica del “divide et impera” dei governanti ha
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fatto il resto: meglio aver efficienti operai capaci di fare una cosa sola, piuttosto che
persone capaci di fare tutto. Queste ultime sarebbero in grado di gestirsi da sole e non ci
sarebbe più bisogno di nessun governante né di alcun governo.
Nessuno insegna agli esseri umani a comunicare con la mente e tutti dicono che ciò è
impossibile, così l’uomo perde la capacità di colloquiare con l’Universo e non gli resta che
affidarsi a qualche algoritmo, il quale, per quanto espressione di un linguaggio
estremamente sofisticato, non gli permetterà mai di avere una visione olistica.
Ma alcuni, in certi momenti della loro esistenza, riscoprono, quasi per caso, la possibilità di
comunicare con l’Universo per mezzo di archetipi. Così, quando il subconscio dorme,
durante il sogno per esempio, oppure quando è in ipnosi profonda, si può vedere
l’Universo come in realtà è, al di là di quella cosa che i teosofi chiamano Maia, magia
diremmo noi, cioè illusione.
Già antiche culture, come quelle degli Indiani dell’India o degli antichi Cinesi, oppure dei
Maya, credevano che quello che percepiamo sia frutto di una visione distorta della realtà.
Già ai tempi di Socrate si discuteva sulla differenza tra sogno e veglia e su quale dei due
stati descrivesse la realtà. Oggi, se non ci fosse la fisica di Bohm che parla dell’Universo
olografico, nessuno se ne ricorderebbe più.
Gli antichi uomini avevano meno algoritmi per la testa, ma più capacità di ascoltare
l’Universo e ciò permetteva loro di avere sicuramente una visione più distaccata della
realtà virtuale ed una percezione più precisa del confine tra scienza e magia, tra virtualità
e realtà.
In questo modo scienziati come Kekulè si sono inventati di notte, sognando, la formula del
benzene, dando il via alla chimica organica dei composti aromatici. Einstein ha visto nella
sua mente la piegatura dello Spazio-Tempo ed ha ceato la teoria della relatività, ma la
storia vera delle scoperte scientifiche è stracolma di esempi dai quali appare evidente che
non è stato il ragionamento a produrre quelle invenzioni, bensì l’intuizione, che scaturisce
da un contatto con l’inconscio: attraverso, cioè, quella porta che conduce all’Universo.
In questo contesto arrivare alla scoperta scientifica significa avere avuto l’illuminazione: un
momento di buddhità che solo il linguaggio archetipico può sviluppare.
Non siamo più capaci di utilizzare appieno questo utile strumento, ma durante la nostra
vita ne utilizziamo solo una piccolissima parte a livello inconscio e non ce ne accorgiamo
nemmeno, così passiamo, a volte, la nostra esistenza cercando di capire cosa sono i
fenomeni paranormali, oppure come mai abbiamo avuto sogni premonitori e perché
talvolta le premonizioni non si avverino: cerchiamo di razionalizzare, cioè di usare il lobo
sinistro, in un campo che invece richiede solo ed esclusivamente l’utilizzo di quello destro.
FUNZIONAMENTO VIRTUALE DELL’ARCHETIPO
Essendo l’archetipo l’idea prima, dobbiamo andare a verificare come questa idea si sia
formata e come può produrre variazioni della nostra realtà virtuale. Non è possibile, in
questo lavoro, parlare degli archetipi in modo archetipico, perché non dovrei utilizzare
nessuno dei linguaggi che sto utilizzando: fornirò quindi un quadro del meccanismo
mediante il quale l’archetipo funziona, sulla base di similitudini del tutto virtuali.
L’archetipo è qualcosa che assomiglia ad un operatore matematico che opera su di una
certa grandezza la quale descrive una parte di Universo.
Un operatore matematico altro non è, per esempio, che il segno di addizione o quello di
sottrazione, quello di divisione o quello di moltiplicazione. Ma non ci sono solo questi
operatori più comuni, esistono operatori che noi stessi definiamo a piacere per risolvere
alcuni problemi matematici. L’operatore è costruito da noi per alterare alcune grandezze
numeriche che descrivono qualche grandezza fisica. Esistono operatori che agiscono
direttamente sulle grandezze fisiche. Questi sono, ad esempio, i cosiddetti operatori
geometrici.
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L’operazione di rotazione di un cubo è di tipo geometrico: si applica al cubo l’operatore
rotazione ed esso ruota. Lo si fa nel computer, ma anche, sia pure in modo molto meno
intuitivo, su di una lavagna utilizzando simboli matematici.
Gli archetipi ricordano operatori matematici che operano sulla realtà virtuale, cioè sullo
Spazio, sul Tempo e sull’Energia e possono modificare, mediante regole precise, le
apparenze di Spazio, Tempo ed Energia o, per dirla con altre parole, dei campi elettrico,
magnetico e gravitazionale.
Gli operatori matematici devono operare su qualcosa, altrimenti, se presi da soli, non
hanno nessun significato. Il segno matematico di addizione (+), se posto tra due numeri, li
trasforma in un nuovo numero risultante (somma). Analogamente l’operatore archetipo
opera su luoghi di punti dell’Universo e ne altera le componenti Spazio, Tempo ed Energia
secondo regole fisse. Una regola fissa, per esempio, è quella che asserisce che non si
crea niente dal nulla, ma che si può trasformare qualcosa in qualcos’altro, o, per meglio
dire, non si trasforma niente, ma si può alterare il modo in cui le cose si manifestano. Così
qualcosa che si presenta come massa può venire trasformata dagli archetipi in energia,
mutando il modo di mostrarsi all’osservatore.
Questo tipo di approccio è ben noto all’interno della Teoria del Superspin, dove l’unico
operatore esistente è l’operatore rotazione e per mezzo di esso si può descrivere tutto ciò
che compone l'Universo. Variando la direzione della rotazione di un punto dell’Universo,
che è collocato in un dominio Spazio-Tempo-Energia, cambia, di conseguenza, il modo
che questo punto ha di presentarsi, di “manifestarsi” all’osservatore.
L’unico atto che l’operatore archetipo non può compiere è quello della creazione.
In realtà la creazione appare più come far “vedere” o “non vedere” una cosa. Quando non
la si vede si dice che non c’è, ma se questa appare si dice che è stata creata dal nulla.
Nella meccanica degli archetipi una cosa qualsiasi è resa visibile se interagisce con
qualcos’altro, ma se non interagisce con niente, non viene resa visibile (la mancanza di
interazione equivale alla mancanza di informazione trasportata, alla mancanza di
linguaggio, alla mancanza di archetipo). Dunque l’archetipo, operando sul dominio
Universo, non crea niente, ma rende solo visibili cose che senza di esso non si
manifestavano.
L’archetipo è un operatore che rende possibile il manifestasi dell’Universo in tutte le
sue possibilità.
Questa definizione, più matematica, potrebbe essere più gradita al mondo della scienza.
QUANTI SONO GLI ARCHETIPI?
Questa domanda equivale a chiedere quante sono le operazioni di trasformazione della
Realtà Virtuale che possiamo fare. C’è chi se l’è già chiesto: filosofi, esoteristi, teosofi e
persone di varia cultura, tra cui anche matematici e fisici.
Penso di poter affermare che gli archetipi sono solamente ventidue, ventuno più uno e
questo numero sembra mettere d’accordo molte culture e molti modi di pensare.
Gli esoteristi credono che i simboli degli arcani maggiori non siano ventidue per caso (i
Tarocchi del dio Thoth, le lettere dell’alfabeto ebraico, le sessantaquattro [21x3+1]
possibilità di definire un I-Ching, i 22 Autiut con cui Dio crea il mondo nel Sepher Jézirah)
sarebbero da mettersi in relazione con questo numero, ma, tralasciando una sfrenata
numerologia che potrebbe veramente essere priva di senso compiuto, bisogna notare un
fatto importante. In effetti questo numero si ritrova in moltissime culture ed in innumerevoli
testi, sia sacri che esoterici. Da un punto di vista razionale, ragionando dunque con il lobo
sinistro del cervello, ciò non significherebbe nulla. Invece ragionando a pelle, cioè con la
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sensazione fornita dal lobo destro, ci si deve chiedere: come mai molti si sono orientati
proprio su quel numero?
Se gli archetipi esistono veramente, ognuno di noi ha dentro di sé questa informazione ed
ognuno può, nell’arco della sua esistenza, estrarla in modo inconscio e sentirla vera
proprio con il linguaggio degli archetipi. Questa prima osservazione mi ha spinto a
sospettare che si dovesse dedicare più attenzione a quel numero.
CONTIAMO I MATTONI
Il lettore sta di certo già iniziando ad annoiarsi, ma, prima di passare alla parte più
divertente, quella sperimentale, bisogna fornire qualche altro importante chiarimento.
Venti sono gli amminoacidi legati alle funzioni del DNA. In realtà qualche articolo
scientifico dice che si tratterebbe di ventuno amminoacidi sequenzializzati dal DNA.
In un mio precedente lavoro indicavo che sono ventuno gli amminoacidi che hanno
comunque a che fare con il lavoro che fa il DNA nel sequenzializzarli.
Quale sarebbe, allora, il ventiduesimo mattone?
Il ventiduesimo sembra contenere tutte le informazioni dei primi ventuno: un archetipo da
cui tutti gli altri vengono generati, un archetipo degli archetipi.
Questa, sostanzialmente, è la conclusione che scaturirebbe da antichi testi sacri, esoterici
e di altro genere. Effettivamente, il lavoro a cui facevo riferimento prima, il quale prendeva
in considerazione gli amminoacidi sequenzializzati dal DNA umano, mostrava che il
ventiduesimo archetipo era il DNA stesso, ciò che contiene le informazioni che portano i
ventuno amminoacidi ad avere un senso.
Per me stendere quel lavoro fu momento goliardico e nulla di più, per divertirmi a mettere
in crisi il moderno pensiero scientifico, per tentare di far vacillare per un attimo il trono di
Galileo a favore di chi faceva il mago e non lo scienziato. Però mettevo in relazione le
ventidue lettere dell’alfabeto ebraico con ventidue simbologie chimiche del tutto estranee
all’alfabeto. E se, invece, l‘alfabeto fosse sempre composto da ventidue istruzioni? Anche
nel linguaggio di programmazione chiamato Basic erano ventidue le istruzioni
fondamentali che permettevano ad un computer di eseguire un programma.
Se gli assi della virtualità sono realmente tre (Spazio, Tempo ed Energia) e se realmente
sono sette i tipi formali di Universo (i cosiddetti universi paralleli), va detto che sette per tre
fa ventuno ed il ventiduesimo punto sarebbe quello che alcuni fisici chiamano il punto
omega (il centro da cui tutto è nato: l’archetipo degli archetipi).
Se, però, non si sottopone ad una seria critica questo sistema, ci si trova a fare come
Peter Kolosimo, il quale misurò la punta delle sue scarpe e disse che era effettivamente
un multiplo di 3,14 (pi greco), concludendo che il suo calzolaio aveva a che fare con gli
alieni. Il punto è che Kolosimo aveva ragione riguardo al pi greco - poiché tutto ha a che
fare con 3,14 - ma aveva torto riguardo al proprio calzolaio, che non aveva nulla a che fare
con gli alieni. L’Universo si basa sul pi greco e siamo destinati a trovare questo numero,
bene o male, in tutte le manifestazioni universali.
Oh, oh! Allora potrebbe anche essere vero che, siccome troviamo il numero ventidue da
tutte le parti, ci siano effettivamente ventidue archetipi che descrivono il tutto.
La tabella pubblicata all’inizio di questo lavoro sembra esserne una dimostrazione.
Esistono ventidue modi di muoversi nel nostro Universo Virtuale (come vedremo meglio
fra qualche istante), o meglio, ventuno modi più uno, l’ultimo dei quali è “l’essere fermi”, un
operatore che contiene tutti gli altri movimenti e, siccome li contiene tutti, non dà adito ad
alcun movimento.
Questi ventidue modi di agire sono simbolicamente accoppiabili a ventidue tipologie di
comportamento inconscio. Si fa presto a dimostrare che non ce ne sono altri, poiché gli
altri sono, in realtà, somma di operazioni ricavabili dalle ventidue originarie.
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Non è vitale, in questa fase della ricerca, asserire inconfutabilmente che gli archetipi sono
22, ma a questo punto della lettura è importante aver fatto riflettere il lettore sul fatto che
gli archetipi sono comunque un numero ben preciso, definito.
Forse sono effettivamente ventidue!
Qui di seguito sono riportati alcuni esempi di significato archetipico della Manifestazione, i
quali, se male interpretati, danno origine a stupidaggini numerologiche ben identificabili
nella vita quotidiana.
I numeri ed il colore
Quanti sono i colori?
I colori fondamentali sono tre. Gli altri colori vengono dal mescolamento di diverse quantità
dei primi tre colori. Per esempio se scegliamo come colori fondamentali: il blu, il verde ed il
rosso (Sistema RGB), possiamo costruire tre assi cartesiani in cui le varie percentuali di R,
G, B (Red, Green, Blue) identificano un punto con un colore ben preciso.
Per quale atavico e misterioso motivo le nostre antiche culture parlano di sette colori
fondamentali, i famosi sette colori dell’arcobaleno?
Variare tre parametri come l’R, il G ed il B su sette piani di base porta ad avere ben
ventuno combinazioni, più una che, come al solito, le contiene tutte: nel caso del colore
questa combinazione è il bianco.
Il colore è intimamente legato alla psicologia e Max Lusher, psicologo svizzero, sostiene
che esistono esseri umani con personalità tecnicamente paragonabili ad un colore.
Dunque avremmo ventidue personalità di base?
I numeri e il suono
Chissà perché, archetipicamente, le note fondamentali nella nostra cultura musicale sono
sette? Già, e chissà perché gli accordi riconosciuti, cioè la mescolanza di suoni base che,
per esempio, la Korg riconosce nelle sue tastiere, sono, indovinate un po', ventidue?
Ma il suono è legato al comportamento e non mi stupirebbe se esistessero ventidue tipi di
comportamento base negli esseri umani, stimolati da opportune tonalità musicali.
La musicoterapia funziona su parametri secondo i quali è possibile influenzare il
comportamento umano facendo ascoltare alcuni tipi particolari di suoni.
La matematica come descrizione dell’Universo
David Hilbert (1862-1943), matematico tedesco di Konigsberg, in Prussia, studiò e lavorò
in Germania, in particolare a Gottingen, pur viaggiando molto per il mondo. Oltre a
contributi nei campi della teoria dei numeri algebrici, dell’analisi funzionale, di diversi
argomenti di fisica matematica e del calcolo delle variazioni, egli è noto per un'opera
fondamentale di geometria: 'Grundlagen der Geometrie'. In essa egli rifonda in maniera
rigorosa tutta la geometria basandosi sul metodo assiomatico. Tale lavoro fu prezioso
perché, anche se il metodo deduttivo era stato applicato sin dai tempi di Euclide, le
sistemazioni logiche della geometria risultavano fino ad allora incomplete, contenendo
molte assunzioni tacite, molte definizioni prive di significato o tautologiche e diversi difetti
dal punto di vista logico e formale. In particolare la sistemazione di Hilbert prevede tre
concetti primitivi, sei relazioni indefinite e ventuno assiomi da cui dedurre tutte le
proprietà degli enti geometrici. Egli fu, nel complesso, una delle figure più influenti del
suo tempo ed in suo onore vengono oggi chiamati 'spazi di Hilbert' gli spazi ad infinite
dimensioni. Famose sono rimaste le ventitré 'questioni', cioè i problemi non risolti, che
lasciò in eredità ai matematici moderni e che hanno stimolato alcuni importanti sviluppi del
pensiero matematico del XX secolo.
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I sapori e gli odori
Dunque sembrerebbe possibile codificare il sentire, il vedere, il percepire in generale,
attraverso ventidue tipi di parametri fondamentali.
Quanti tipi di sapori o gusti esistono, o meglio, quanti sapori sappiamo grossolanamente
definire? Mentre il primo tipo di classificazione si basa sulle caratteristiche chimiche e
fisiche delle varie materie aromatiche, naturali e sintetiche, il secondo tipo prevede una
ripartizione secondo il tipo di odore, a prescindere dalla volatilità, dalla persistenza e
dall'effetto che ogni singola materia prima conferisce ad un profumo.
La prima classificazione utile di questo genere venne pubblicata, nel 1865, dal grande
profumiere Eugene Rimmel e prevede una suddivisione in 18 gruppi di odori di base. Negli
anni venti del ‘900, invece, un altro profumiere, R. Cerbelaud, elaborò uno schema con 45
gruppi, individuando anche collegamenti tra un gruppo e l'altro.
È abbastanza probabile che gli odori fondamentali su cui si costruiscono tutti gli altri siano
effettivamente 22, ed il ventiduesimo sarebbe “nessun odore”, a rappresentare l’archetipo
che contiene tutti gli altri ventuno.
Le fragranze ed i colori
Quali profumi si adattano ad un certo stato d'animo? I colori altro non sono se non la
visualizzazione dei sentimenti. Così come accade con il senso dell'odorato, anche la
percezione del colore è strettamente connessa con il sistema limbico. Quindi, quando ci si
concentra su di un certo colore, ad esempio il rosso acceso, si percepisce la straordinaria
energia che emana da tale colore. D'altro canto, un blu scuro e profondo esercita un forte
effetto calmante. Le preferenze di colore mettono in evidenza le condizioni della sfera
emotiva, come, ad esempio, i sentimenti e gli stati d'animo. Il fatto che i profumi ed i colori
siano elaborati dallo stesso centro cerebrale (il sistema limbico) rende evidente che ci
deve essere un rapporto tra colore ed odore.
Il linguaggio
Il noto rabbino Eliphas Levi, nelle lettere indirizzate al barone Spedalieri, sulla base dello
studio della Kabbala ebraica, tenta di dare un significato alle 22 lettere dell’alfabeto
ebraico, la lingua che il Signore e Dio di Abramo ha consegnato al suo popolo. Lo studioso
non può, inconsciamente, fare a meno di assegnare sensazioni archetipiche ad ogni
lettera, in un primo tentativo di razionalizzare, in qualche modo, i simbolismi base che
albergano nel suo inconscio:
1. Aleph – Padre
2. Beth – Madre
3. Ghimel – Natura
4. Daleth – Autorità
5. He – Religione
6. Vau – Libertà
7. Dzain – Proprietà
8. Cheth – Ripartizione
9. Theth – Prudenza
10.Iod – Ordine
11.Caph – Forza
12.Lamed – Sacrificio
13. Mem – Morte
14.Nun – Reversibilità
15
15.Samech - Essere Universale
16.Gnain – Equilibrio
17.Phé – Immortalità
18.Tsade - Ombra e riflesso
19.Koph – Luce
20.Resch – Riconoscenza
21.Shin – Potenza totale
22.Thau – Sintesi
Levi continua così, nelle sue dieci lezioni sulla Kabbala:
“Le idee espresse per mezzo dei numeri e delle lettere sono realtà incontestabili.
Queste idee si collegano e concordano come i numeri medesimi. Si procede logicamente
dall'uno all'altro.
L'uomo è figlio della donna, ma la donna esce dall'uomo come il numero dall'unità.
La donna chiarisce la natura, la natura rivela l'autorità, crea la religione che serve di base
alla libertà e che rende l'uomo maestro di se stesso e dell'universo, eccetera.
Procuratevi un mazzo di tarocchi (ma credo che ne abbiate uno) e disponetelo in due serie
di dieci carte allegoriche numerate da uno a ventuno.
Vedrete tutte le figure che chiariscono le lettere.
Quanto ai numeri da uno a dieci, troverete la spiegazione, ripetuta quattro volte, con i
simboli del bastone, o scettro del padre, la coppa delle delizie della madre, la spada, o le
lotte dell'amore, e i denari, o fecondità.
I Tarocchi sono nel libro geroglifico delle trentadue vie, e la loro spiegazione sommaria si
trova nel libro, attribuito al patriarca Abramo, che si chiama Sepher Jézirah.
Il sapiente Court de Gebelin per primo intuì l'importanza dei Tarocchi, che sono la grande
chiave dei geroglifici ieratici. Se ne ritrovano i simboli ed i numeri nelle profezie di
Ezechiele e di San Giovanni.
La Bibbia è un libro ispirato, ma i Tarocchi sono il libro ispiratore. Si è anche chiamata rota
la ruota, da cui tarot e Torà. Gli antichi Rosa+Croce li conoscevano ed il marchese di
Suchet ne parla nel suo libro sugli illuminati... Court de Gobelin ha visto, nelle ventidue
chiavi dei Tarocchi, la rappresentazione dei misteri egizi e ne attribuisce l'invenzione ad
Ermete, o Mercurio Trismegisto, che è stato anche chiamato Thaut o Thoth.
È certo che i geroglifici dei Tarocchi si ritrovano sugli antichi monumenti dell'Egitto; è certo
che i segni di questo libro, tracciati in complessi sinottici su stele o su lastre di metallo
simili alla tavola isiaca del Bembo, erano riprodotti separatamente su pietre incise o su
medaglie che, più tardi, sarebbero divenuti amuleti e talismani.
Si separavano così le pagine del libro infinito nelle sue diverse combinazioni, per riunirle,
trasportarle e disporle in un modo sempre nuovo, per ottenere gli oracoli inesauribili della
verità”
Interpretare il vero significato degli archetipi può essere arduo e darne un’univoca
interpretazione non influenzata dalle proprie credenze è altrettanto complicato.
Così molti si sono cimentati nell’interpretazione simbolica degli archetipi, nella quale molte
similitudini possono essere afferrate e si capisce bene come non sia possibile, in realtà,
rappresentare un archetipo con un simbolo.
Dove questa imprudenza viene commessa, ecco scaturire le differenze.
Per accorgecene basta paragonare questa tavola dei 22 sentieri con l'interpretazione del
Rabbino Levi (
http://www.taote.it/menu.htm)
.
16
Questa errata interpretazione si verifica poiché l’archetipo costruisce una sensazione: la
sensazione dà origine ad un simbolo, che si rappresenta con un disegno.
Ora la sensazione può ricondurre all’archetipo di partenza senza tema di errori, ma si
capisce subito che, se analizziamo l’ultima tabella e prendiamo la corrispondenza tra le
lettere ebraiche ed il loro significato, ci troviamo di fronte a parole che non corrispondono a
sensazioni.
Per esempio la lettera Koph corrisponde a Luce. Ma luce non è una sensazione. In realtà
l’archetipo dà una sensazione che fornisce l’immagine della luce nel nostro cervello.
Quindi un’immagine e non una sensazione.
Il tornare indietro dalla luce all’archetipo non è facile, perché, a seconda della propria
cultura, il fatto di vedere la luce è differente.
Il vero sentire corrispondente alla lettera Koph non è “luce”, ma è “percepire la sensazione
di luce” e riflettere sul cosa si sta provando.
La confusione, infatti, esce alla grande quando la nostra cultura tenta di interpretare gli
archetipi: gli archetipi non vanno interpretati, ma vanno percepiti.
17
Un esempio di questo tipo di confusione lo abbiamo nelle due tabelle riportate in questa
pagina e nella seguente, dove decine di culture cercano di intersecarsi per trovare un filo
comune che porti alla interpretazione degli archetipi
(
http://www.raphaelproject.com/home.htm).
Ripeto:
non si dà un’interpretazione agli archetipi, ma sono essi a fornire l’interpretazione.
È attraverso di loro che si interpreta l’Universo, e non il contrario.
18
In realtà noi lavoriamo quotidianamente con gli archetipi, ma è il nostro inconscio che lo fa,
senza dirci nulla, totalmente in background, se così si può dire.
GLI OPERATORI GEOMETRICI E LA VISIONE GEOMETRICA
DELL’UNIVERSO DI PLATONE
La matematica è un ottimo linguaggio scientifico, altamente specializzato, in grado di
descrivere abbastanza bene le variabili della Realtà Virtuale universale, cioè le cose che
cambiano, mentre non è in grado di descrivere la Realtà Reale, cioè ciò che rimane
sempre uguale e se stesso. Mentre le cose che cambiano possono essere tante, quella
che rimane sempre eguale a se stessa è una sola: è la Realtà Reale ed ovviamente non
può che esisterne una sola. Infatti, se le Realtà Reali fossero due, tra le due Realtà ci
sarebbe la Non Realtà: ma siccome la Non Realtà NON È, la Realtà Reale dev’essere una
sola.
19
A parte gli spazi di Hilbert, esistono solo quattro operatori geometrici fondamentali che
permettono di simulare le variazioni (movimenti) che un oggetto può subire nel nostro
Universo. È bene ricordare che lo spostamento di un oggetto corrisponde allo
spostamento di un’informazione, quindi i quattro operatori che descrivono lo spostamento
di un oggetto, o meglio la sua variazione fondamentale, rappresentano un linguaggio.
Se esprimiamo questo linguaggio con la geometria, diremo che esiste :
•
La rotazione di un luogo di punti attorno ad un asse.
•
La traslazione di un luogo di punti lungo un asse.
•
La contrazione di un luogo di punti attorno ad un asse.
•
L’inversione di un luogo di punti su di un asse.
Questi operatori geometrici valgono per tre assi, Energia, Spazio e Tempo, così nel nostro
Universo ci sono in totale 12 possibilità primarie di modificare un’informazione virtuale.
Inoltre esistono altre operazioni, le prime tre precedenti cambiate di segno, cioè:
•
L’antirotazione (rotazione in senso opposto) di un luogo di punti attorno ad un asse.
•
L’antitraslazione (traslazione in senso opposto) di un luogo di punti lungo un asse.
•
L’espansione di un luogo di punti attorno ad un asse.
http://sauron.mat.unimi.it/~alzati/Geometria_Computazionale_9899/apps/geocomp/index.htm
Esse (che in tutto sono 7), se considerate per gli assi di Energia, Spazio e Tempo,
costituiscono un totale di 21 operatori archetipici. Esiste, infatti, una sola possibilità di
inversione di un luogo di punti su di un asse, poiché di un oggetto qualsiasi è possibile
avere una sola immagine speculare, non due. In parole povere non esiste l’anti-operatore
dell’inversione di un luogo di punti, mentre esistono gli anti-operatori degli altri tre
operatori.
Ovviamente rimane escluso da questi 21 l’operatore numero ventidue, l’immobilità
(mancanza di variazione), che è composto anche dalla somma algebrica di tutti gli altri.
Quest’ultimo operatore sarebbe simbolicamente rappresentabile come l’archetipo di tutti
gli archetipi.
Da questa disquisizione geometrica appare chiaro che in realtà i veri, principali, archetipi
sono dodici più uno, cioè i primi quattro applicati ai tre assi fondamentali; gli altri sono solo
variazioni di segno, se così si può dire, di un archetipo originale, provocati dall’esistenza
del dualismo nell’Universo Virtuale in cui siamo immersi. Una delle caratteristiche
fondamentali della virtualità è la presenza del dualismo, il quale non è altro che una
rappresentazione dell’apparenza, non una realtà fisica.
È su questo punto che si basa l’errore commesso da alcuni di considerare gli archetipi
dodici invece di ventuno (o viceversa), come vedremo tra breve.
Il vero significato dei numeri dodici e ventuno dipende dal dualismo universale, il quale è
l’unico responsabile di questa apparente ambiguità che, soprattutto nel mondo esoterico,
ha confuso le idee di chi tentava una razionalizzazione di questa materia.
Se il significato profondo di archetipo è presente dentro di noi, non dobbiamo cercarlo sui
libri, poiché esso ci si presenterà quando lo cercheremo. Pare che, mettendosi a riflettere,
si possa conseguire, indipendentemente dalla cultura di ciascuno, sempre la medesima
concezione dell’archetipo. Ad esempio Platone geometrizza archetipicamente lo spazio
attraverso l’utilizzo di forme pure della geometria euclidea ed i risultati sono alquanto
sconcertanti anche per i matematici di oggi.
20
I SOLIDI PLATONICI
Platone sostiene che l’Universo è descrivibile attraverso forme geometriche semplici, da
cui derivano tutte le altre: noi le chiameremmo templati. In particolare, quattro solidi
geometrici rappresenterebbero i quattro elementi alchemici fondamentali.
Il primo solido ad essere preso in considerazione da Platone è il tetraedro, che
rappresenterebbe il fuoco.
Il secondo solido che Platone prende in considerazione è l’ottaedro:
Il terzo solido è poi formato di centoventi triangoli congiunti assieme e di dodici angoli
solidi, compresi ciascuno da cinque triangoli equilateri piani, ed ha venti triangoli
equilateri per base. Questa terza figura, quella dell’acqua, è l’icosaedro regolare e
poiché ciascuna faccia è un triangolo equilatero composto da sei triangoli rettangoli
scaleni, l’icosaedro risulta così composto di 120 elementi e similmente l’ottaedro di 48 e il
tetraedro di 24. Come si può notare, il triangolo rettangolo scaleno costituisce la base
delle tre figure descritte, il che spiega perché fuoco, aria e acqua possono generarsi l’uno
dall’altro, mentre non potrà essere così per il quarto elemento, la terra, al quale verrà
attribuita come base la figura del triangolo rettangolo isoscele. Ma il triangolo isoscele
21
generò la natura della quarta specie (questa quarta figura, che rappresenta la terra, è il
cubo) componendosi insieme quattro triangoli isosceli con gli angoli retti congiunti nel
centro, in modo da formare un quadrato: sei di questi quadrati, connessi insieme,
formano otto angoli solidi, ciascuno dei quali deriva dalla combinazione di tre angoli piani
retti. E la figura del corpo risultante divenne cubica, con una base di sei tetragoni
equilateri piani. È importante il passo del Timeo [XXI-XXII], in cui sono descritte le
ragioni che implicano le associazioni tra le forme e le specie ed i loro possibili modi di
vicendevole trasformazione, poiché rappresenta uno dei più significativi paradigmi delle
immagini delle figure nella scienza:
“E alla terra diamo la figura cubica: perché delle quattro specie la terra è la più immobile,
e dei corpi il più plasmabile. Ed è soprattutto necessario che tale sia quel corpo che ha le
basi più salde. Ora dei triangoli posti da principio è più salda naturalmente la base di
quelli a lati uguali che di quelli a lati disuguali, e quanto alle figure piane che compone
ciascuna specie di triangoli, il tetragono equilatero, tanto nelle parti che nel tutto, è di
necessità più solidamente assiso del triangolo equilatero… e poi all’acqua la forma meno
mobile delle altre, al fuoco la più mobile, e all’aria l’intermedia: e così il corpo più piccolo
al fuoco, il più grande all’acqua, e l’intermedio all’aria, ed inoltre il più acuto al fuoco, il
secondo per acutezza all’aria, e il terzo all’acqua… Ora di tutte queste forme quella che
ha il minor numero di basi è necessariamente la più mobile per natura, perché è la più
tagliente ed in ogni sua parte la più acuta di tutte, ed è anche la più leggera, essendo
costituita dal minor numero delle medesime parti, così la seconda ha in secondo grado
tutte queste qualità, e in terzo grado la terza. Sia dunque conforme a retta e verosimile
ragione la figura della piramide elemento e germe del fuoco, e diciamo la seconda per
generazione quella dell’aria e la terza quella dell’acqua. E tutti questi elementi bisogna
concepirli così piccoli che nessuna delle singole parti di ciascuna specie possa essere
veduta da noi per la sua piccolezza, ma riunendosene molte insieme, si vedano le loro
masse. E quanto poi ai rapporti dei numeri, dei movimenti e delle altre proprietà, il
Demiurgo, dopo aver compiuto queste cose con esattezza, fino a che lo permetteva la
natura della necessità spontanea o persuasa, collocò dappertutto la proporzione e
l’armonia.
“La terra, incontrandosi col fuoco e disciolta
dall’acutezza di esso, errerebbe qua e là… fino
a che le sue parti, incontrandosi, si riunissero
di nuovo, perché esse non potrebbero mai
passare in altra specie.
Ma l’acqua, disgregata dal fuoco o anche
dall’aria, può darsi che, ricomponendosi,
divenga un corpo di fuoco o due di aria.
E se l’aria è in dissoluzione, dai frammenti d’una sola
delle sue parti possono nascere due corpi di fuoco…
E viceversa due corpi di fuoco si ricompongono insieme
in una sola specie d’aria. E se l’aria è soverchiata da
due parti e mezzo d’aria, si comporrà una parte intera
d’acqua.”
Tutto ciò diventa comprensibile tenendo conto che, con
il numero di facce dell’icosaedro, forma dell’acqua, è
possibile comporre due ottaedri, forma dell’aria, e un
tetraedro, forma del fuoco, ed inoltre che, con le facce
dell’ottaedro, si possono comporre due tetraedri.
“Restava una quinta combinazione e il Demiurgo se ne
giovò per decorare l’Universo.”
22
Di questa quinta figura, il dodecaedro, che ha per facce 12
pentagoni regolari, nulla di più si legge nel Timeo; Il dodecaedro
viene associato, quindi, all’immagine dell’intero Universo, origine
della quintessenza ed immagine di perfezione, poiché più degli
altri poliedri regolari, già secondo le teorie pitagoriche,
approssima la sfera. L’idea che questa figura sia quella che più si
avvicina alla perfezione per la maggiore approssimazione alla
forma della sfera, che è sinonimo di perfezione e verità poiché
sempre uguale a se stessa da qualsiasi punto di vista la si
osservi, è in effetti stata utilizzata da Platone nel dialogo Fedone [110b-110c].
(
http://www2.polito.it/didattica/polymath/htmlS/argoment/Matematicae/Giugno_03/Cap4.ht ml#23up). Dunque anche Platone “archetipicamente” crede che l’Universo sia
rappresentabile utilizzando il numero 12.
COME EVITARE DI PRENDERE CANTONATE
Un archetipo, attraverso l’emozione, produce differenti simboli, i quali tutti, scaturiti dalla
stessa origine, avranno lo stesso significato. Così ogni simbolo fornirà, attraverso il colore,
immagini diverse, le quali, a loro volta, produrranno differenti fonemi.
È, così, facile dimostrare che, qualsiasi sia il risultato fonemico finale, esso, se si torna
indietro, fornirà uno ed un solo simbolo che, a sua volta, fornirà uno ed un solo archetipo
di partenza. Per fare un esempio classico dei nostri giorni, esistono centinaia di crop circle
tracciati nei campi di grano inglesi, a cui nessuno sa dare una spiegazione.
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Ebbene i crop circle autentici dovrebbero avere tutti un solo significato: essere simboli che
vengono rappresentati da differenti disegni, ma tutti con un unico archetipo ispiratore.
Centinaia di glifi che vogliono significare una cosa sola. (Vedi anche “Il significato
archetipico dei crop circle”
http://www.ufomachine.org)