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  La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana

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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#121
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 22/7/2004
Da Bronx
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Su Sky stanno trasmettendo "Mafia bunker", un viaggio con le telecamere sin dentro le roccaforti della mafia in Campania e Calabria, sin dentro ai bunker - link -

Non so cosa sia cambiato o se e' mai cambiato qualcosa, pero' quel che emerge e' uno scenario di uomini si potenti ma con il fiato della gendarmeria sul collo, gendarmeria che alla fine l'ha spuntata; emerge uno scenario di ben diverso dall'immaginario di padrini onnipotenti a cui la fiction ci ha abituati.
Inviato il: 20/4/2013 0:19
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#122
Sono certo di non sapere
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Inviato il: 3/5/2013 3:47
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#123
Sono certo di non sapere
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Inviato il: 3/5/2013 19:56
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#124
Sono certo di non sapere
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Su youtube un video che ricostruisce i fatti di Brindisi di un anno fa :

http://youtu.be/w2JrnbCEnkg
Inviato il: 26/5/2013 20:14
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#125
Sono certo di non sapere
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Inviato il: 28/5/2013 21:50
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#126
Sono certo di non sapere
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Inviato il: 2/6/2013 21:24
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  •  Daniele
      Daniele
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#127
Ho qualche dubbio
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Da Trentino
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Non so se questo è il posto giusto per la segnalazione, ma mi ha colpito
questo articolo

Vi riporto il titolo ed il sottotitolo:

Incidente di Ramstein, dossier dei familiari dei piloti: “Nessun errore in volo”

Il fratello del tenente colonnello Ivo Nutarelli, uno degli ufficiali delle Frecce Tricolori morti nel disastro del 1988: "Non avrebbe mai commesso un errore del genere. Il sospetto che quella strage sia legata a Ustica è maturato dopo che l'Aeronautica archiviò tutto in fretta". Ora le indagini difensive saranno trasmesse alla magistratura
Inviato il: 26/6/2013 10:02
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  •  horselover
      horselover
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#128
Dubito ormai di tutto
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il caso dei cinque anarchici calabresi
Inviato il: 2/7/2013 20:46
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#129
Sono certo di non sapere
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Da Bronx
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Da Carmilla, letteratura, immaginario e cultura d'opposizione:


Quasi settant’anni di quasi democrazia. Anzi, per nulla.

di Nico Macce

Il 2 agosto 1980 è la data che viene segnata dalla peggior strage avvenuta in Italia dal secondo dopoguerra. Alla stazione di Bologna morirono 85 persone dilaniate da un ordigno collocato nella sala di seconda classe e furono oltre 200 i feriti. A tutt’oggi è rimasta inascoltata la domanda di verità che i parenti delle vittime e un’intera città chiedono con forza a uno Stato sordo e volutamente reticente. E ogni anno si rinnova questa richiesta, ritorna in piazza una protesta sacrosanta verso le autorità del momento, che tanto parlano ma nulla fanno. Il segreto di Stato rimane la pietra tombale su questa e altre vicende.
Molto è stato detto e scritto su quella maledetta mattina, e non è qui mia intenzione entrare nel merito di questo specifico evento.
Questo mio contributo intende piuttosto delineare un quadro generale e una traiettoria dalla “democrazia” e della politica italiana, condizionata da sempre dall’azione legale e criminale di poteri forti del tutto interni e ai posti di comando nella società italiana e in un contesto internazionale.



PRIMO ATTO: STRAGI FASCISTE?

La storpiatura della verità sta nella definizione stessa che i partiti istituzionali e sindacati concertativi danno da sempre di questo fatto: strage fascista, frutto di una strategia eversiva.

In realtà fu strage di Stato.

Così come lo furono le altre: da piazza Fontana a Brescia, all’Italicus, solo per menzionare le più note.
Pasolini ebbe e a dichiarare “Io so”. Cosa sapeva che non si potesse dire, dimostrare, sin da quando in Sicilia con le truppe alleate nel ’43 sbarcarono anche i servizi statunitensi? Sin da quando un corteo di lavoratori fu preso a bombe e mitragliate a portella della Ginestra, nel 1° maggio del 1947?
Viene da dire che la nostra Costituzione, che molti definiscono la migliore del mondo (salvo poi accettare i suoi stravolgimenti nel nome della governabilità), rappresenti soltanto ciò che il paese sarebbe dovuto essere, nella sovranità del popolo, nell’esercizio democratico dei suoi strumenti di sovranità: elezioni, Parlamento, nel diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione.

In definitiva, si può dire che ai fascisti si sia data anche troppa importanza: non decidevano certo loro. Se parliamo di gruppi come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e così via, sulla scena delle stragi sono stati solo mera manovalanza. Ma sono serviti a una parte della sinistra di allora, quella “storica”, per agire nel contesto di un avvicinamento al regime di classe. Figli di un dio minore nella stretta del rumor di sciabole, e dell’impossibilità di un andare al governo per democratiche elezioni.
Le polemiche del PCI con Camilla Cederna, con Lotta Continua e con tutta la sinistra extra-parlamentare di quegli anni, vertono proprio sulla matrice delle stragi e, conseguentemente sui veri responsabili di quelle bombe.

Per cui, la verità politica (visto che quella giudiziaria sulle stragi è sepolta sotto un cumulo di depistaggi e di sentenze vergognose), è stata bene indicata dalla sinistra rivoluzionaria dell’epoca: si trattava di stragi di Stato, la cui funzione non era eversiva, ma di stabilizzazione di un potere di classe che impedisse ciò che sarebbe stato impedito con ogni mezzo illecito e criminale: l’avanzata delle sinistre e del movimento di classe al governo del paese.

Gladio – Stay Behind, gli apparati dello Stato come il SID, la massoneria della Loggia P2, i collegamenti di queste strutture occulte e reazionarie con i sevizi segreti statunitensi come la CIA, rappresentano nel complesso quel dispositivo del tutto interno allo Stato in funzione anticomunista.
Già da allora ambiti di concentrazione di soggetti di potere sovranazionale, lobbies, potentati finanziari e multinazionali come il Club Bilderberg, erano tra gli ideatori di questa strategia antidemocratica e stragista.
Per quanto riguarda il Club Bilderberg (che vede da sempre nel suo board e tra gli invitati personaggi come lo stesso premier Enrico Letta, Mario Mionti, Mario Draghi e altri) a rivelarlo è il Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato, in occasione della presentazione napoletana del suo libro “La repubblica delle stragi impunite”. Il video è visionabile qui.
Notizie come queste dovrebbero essere raccolte come bombe dai media. Invece tutto finisce come sempre in cavalleria.

La verità che emerge dai fatti tragici della Prima Repubblica, è che il popolo italiano non avrebbe potuto scegliere il suo governo. Nel regime democristiano, dal dopoguerra in poi, c’erano tutti gli elementi del totalitarismo di un blocco reazionario pronto a tutto.
Sul finire degli anni ’60, primi ’70, il messaggio di inibizione criminale di qualsiasi possibilità di governo per elezione, che venne rivolto al PCI fu colto talmente tanto bene da quest’ultimo, che la scelta fu proprio quella di assogettarsi e partecipare a questo contesto di democrazia condizionata e a far nascere con Berlinguer la scelta di campo anche sul piano internazionale con l’Eurocomunismo.

Le bombe fecero il loro effetto nella politica italiana, mentre il più grande partito comunista dell’Occidente andava modificandosi anche per referenti sociali: il PCI si avviava a spostare il suo baricentro referenziale dalla classe operaia ai ceti medi, sino ad essere interno e agente dei nuovi processi capitalistici di ridefinizione della composizione (o meglio: scomposizione) del lavoro. Lo stragismo e la strategia della tensione furono di grande “aiuto” nel far emergere le tendenze neoborghesi che già agivano nelle strutture del partito e tra i quadri dirigenti.

Se guardiamo al piano di rinascita democratica della P2 di Gelli (concentrazione dei media, infiltrazione, stravolgimento di partiti e sindacati, trasformazione del sistema politico e istituzionale italiano in repubblica presidenziale, quindi trasferimento dei poteri legislativi a un esecutivo forte), vediamo che questo collima perfettamente con i desiderata dei principali gruppi multinazionali e finanziari che hanno dato vita alle summenzionate associazioni elitarie transnazionali.

Ecco perché nella Prima Repubblica della DC è del tutto fuorviante pensare allo stragismo come sovversione. Fu esattamente l’opposto!



SECONDO ATTO. IL PIANO PROSEGUE SU NUOVE BASI.

La scena internazionale e quella nazionale si intrecciano e descrivono i contorni della strategia di condizionamento della “democrazia” italiana e di stabilizzazione del potere capitalista. Tra gli anni ’60 e ’70, le élites capitalistiche del mondo Occidentale (anche se sarebbe una forzatura associarle in toto alla strategia della tensione) avevano il problema di contrastare il blocco socialista e le lotte di liberazione nel Terzo e Quarto Mondo, ma anche di contrastare la rigidità operaia in fabbrica i livelli di reddito indiretto, lo stato sociale e il reddito diretto dei salari e delle pensioni.
L’autonomia di classe, l’autunno caldo, erano state la bestia nera per l’accumulazione capitalistica nelle metropoli dell’Occidente. E dal ’73, con l’avvio della crisi di sovrapproduzione e il disequilibrio della crisi petrolifera, nei nuovi contesti di confronto tra le élites stesse, come la Trilateral e il Club Bilderberg, venne pensata la strategia di stabilizzazione del potere di classe mediante lo svuotamento dei sistemi democratici occidentali.

In Occidente, e in Italia in particolare, da un’azione di contenimento delle lotte autonome di classe e delle rivendicazioni che tendevano ad ampliare i diritti sociali, i servizi e l’accesso alla ricchezza sociale, con il neoliberismo si passa a un attacco selvaggio, frontale verso le cittadinanze, i lavoratori e le loro conquiste.

Gli anni ’80 con il reaganismo, segnano il punto di arrivo di un’epoca di welfare e diritti sociali e nel cntempo l’ondata di privatizzazioni, la precarizzazione del lavoro, l’esternalizzazione dei processi produttivi giungono anche in Italia. Il congelamento della scala mobile è un passaggio fondamentale per l’assoggettamento del lavoro alle nuove logiche dominanti dell’accumulazione capitalistica, il quale diviene una variabile totalmente dipendente dai mercati e dai loro must nella competizione globale.

Con il crollo del blocco socialista e il dilagare delle politiche neoliberiste per tutti gli anni ’90, la stabilizzazione del potere capitalista prosegue sulla base di una riorganizzazione sociale del lavoro in Europa, della sua divisione nell’ambito della nascita del soggetto europeo: un euro-imperialismo voluto principalmente dai ceti dominanti del capitalismo europeo. Le lotte tra soggetti del capitale sono forti e nelle tappe che arrivano a comporre l’Europa delle banche e delle tecnocrazie, da Maastricht alla moneta unica, al Trattato di Lisbona, si forma l’asse dominante tedesco-francese: chi ha assunto l’egemonia economica e chi ha le armi nucleari.

Non entrerò nei dettagli dell’economia del debito con l’ipertrofia monetaria che diviene bomba ad orologeria per il sistema finanziario nella competizione globale e al tempo stesso dispositivo di comando su governi e cittadini, o della trasformazione di intere economie del sud Europa come Grecia, Portogallo, Spagna e Italia da aree di consumo composte da ceti sociali dal buon potere d’acquisto a bacini di forza lavoro precarizzato e in concorrenza con quella dell’est europeo e asiatica, nella devastazione e falcidia selvaggia delle piccole e medie imprese per recessione, imposizione fiscale e monopolio.
Mi limito a osservare che la governamentalità neoliberista delle élites sovranazionali deterritorializzate, le dinamiche della turbofinanza, come sostenevo poc’anzi, hanno come denominatore comune il depotenziamento delle democrazie parlamentari. Occorre velocità di decisione e la tecnocrazia finanziaria spacciata per “neutra” assume i contorni di un dogma indiscutibile.

Crisi sistemica strutturale non significa crollo del capitalismo. I ceti dominanti del capitale hanno la capacità di trasformare la crisi in opportunità di attacco alle classi sociali subalterne, ai lavoratori. A usare la finanza come dispositivo di comando sulla forza-lavoro, e su ogni ambito della riproduzione sociale, di predazione con l’economia del debito (quella che David Harvey definisce: “accumulazione capitalistica per spoliazione”). E con la nuova fase neoliberale, gli strumenti volti ad aggredire il welfare, a sottrarre ricchezza sociale, beni comuni, a piegare le condizioni di lavoro fino a ledere i diritti più elementari e il reddito dei lavoratori e dei pensionati fino a salari da sussistenza, non potevano non avere come elemento fondamentale di governance la concentrazione dei poteri e una catena di comando che parte da organismi neppure eletti dal Parlamento europeo: la BCE e la Commissione Europea.

Gli anni della nascita dell’Eurozona e della Seconda Repubblica in Italia, si caratterizzano per un processo politico autoritario che è la copia carbone del piano gellista. La P2 finisce, Gelli va in galera (almeno per un po’), ma restano intatti, persino dalla furia giustizialista di Tangetopoli, i livelli di comando reali, si badi bene: non di un piano occulto di servizi deviati, bensì i centri di potere economico e politico che hanno saputo utilizzare mezzi legali e mezzi criminali per orientare l’intera politica italiana al grande processo di riconversione del sistema capitalista in chiave neoliberale anche in Italia.

Il berlusconismo è stato molto utile per questa involuzione autoritaria. Non solo per la concentrazione dei media nelle mani di poteri forti, per un loro uso che ha saputo imporre i modelli culturali e gli stili di vita propri del pensiero unico, per la morte del proporzionale e per il porcellum. Ma anche per la degenerazione politica e culturale, lobbistica, di partiti e dei sindacati, ormai in balia di comitati d’affari e di consorterie che entrano ed escono dai vari Club Bilderberg, organici al comando neoliberista.
Chi se non l’erede dei dettami della P2, con le forze borghesi paracriminali e della destra reazionaria che l’hanno sostenuto, meglio poteva condurre questo gioco?

Ma quando un soggetto di regime e la sua cricca diventano ingombranti, vince il banco che regge questo gioco. Con la crisi dei subprime e lo scoppio della grande bolla finanziaria, occorrevano risposte europee forti e veloci in grado di contrastare la guerra monetaria in atto tra blocchi ecomomici dell’area atlantica.
E alla luce di questo passaggio politico imposto dalle élites della finanza europea, ciò che sta accadendo in questa nuova fase diviene ben comprensibile. Dal colpo di mano della troika con la lettera a Napolitano di Draghi-Trichet nel 2011, che ha portato alla destituzione del governo Berlusconi, palesemente inadatto ad adottare il piano di “risanamento dei conti” delle tecnocrazie di Bruxelles, sino all’avvento del governo Monti: non eletto da nessuno.
Nel 2011, il colpo di grazia alla nostra democrazia condizionata ha il suo inizio.



TERZO ATTO. IL PRESIDENZIALISMO ALLE PORTE.

Sul finire di luglio, un’armata sgangherata di deputati, senza arte né parte, né di destra né di sinistra, o tutt’e due insieme, ha tenuto testa nell’aula della Camera al peggior attacco che la (pur sempre condizionata) democrazia italiana abbia mai subito.
Perché se cade il bastione dell’art. 138: un capolavoro di ingegneria legislativa dei nostri padri costituenti, quello che resta del castello della Costituzione crolla. E il sistema repubblica italiana diventerà per mano di una non maggioranza del paese (per altro molto occasionale e artefatta) una repubblica presidenziale.
L’armata è quella grillina e gli attaccanti sono quelle consorterie dentro partiti come PdL, PD, Scelta Civica, che hanno già passato il primo ponte levatoio con il Governo Letta, dopo la nomina del Napolitano bis, e che rispondono ai dettami della tecnocrazia europea e dei “mercati finanziari”, leggi: l’oligarchia finanziaria neoliberista che ha preso piede con le sue lobbies nell’Occidente, in tutte le cancellerie e sale ovali.
Grazie all’ostruzionismo del M5S, la partita è stata rinviata a settembre.

Non ho in simpatia il grillismo. E la sacrosanta opposizione che ha bloccato il colpo di mano agostano, palesemente anticostituzionale, portato avanti dal governo Letta con il DDL 813, non mi fa cambiare idea sul fatto che il M5S sia una sciagura per lo sviluppo di un’autentica opposizione politica e di classe. Ma il tour de force che le forze di Grillo hanno portato avanti alla Camera è stato oggettivamente un utile contrasto a questo tentativo di forzatura autoritaria dei dettami costituzionali.
Per il resto nessuna mobilitazione. Solo qualche articolo sui giornali d’opposizione e un appello di alcuni costituzionalisti ed esponenti della sinistra che non si è venduta (andare qui). E il ritardo della sinistra antagonista e di classe nel tenere la scena politica è ancora più inquietante, proprio nella gravità del momento storico e politico italiano e internazionale.

Ma cosa sta accadendo? Succede che il piano procede spedito nel suo terzo atto: le cricche di governo e dei partiti al servizio dell’eurocrazia neoliberista e dell’oligarchia finanziaria, con la complicità dei media e l’indifferenza da ombrellone della pubblica opinione, hanno cercato di ridurre i tempi da tre mesi a 45 giorni che l’art. 138 prevede per approvare modifiche strutturali alla Costituzione. Per evitare che non sia la maggioranza del momento a modificare la fisionomia del sistema costituzionale, ma l’intero Parlamento nella maggioranza di due terzi o, in assenza di questa, i cittadini mediante una consultazione referendaria. Lo scardinamento delle garanzie dell’art. 138 in materia di modifiche costituzionali, conduce dritto a una repubblica presidenziale, che verrà proposta dalla quintessenza del porcellum: i saggi pescati tra i partiti che stanno cercando di svuotare definitivamente quello che resta delle funzioni istutizionali e legislative del sistema costituzionale italiano.

E la debolezza del quadro politico italiano, aumentata ulteriormente con il risultato delle ultime lezioni, non fa che confermare la necessità dei gruppi dominanti di puntare ancora con più urgenza a una concentrazione dei poteri.

E’ di qualche settimana fa l’uscita della Morgan Stanley con un documento che è la perfetta sintesi di questa strategia neoliberista. In buona sostanza la Morgan Stanley ci dice che le democrazie nate dalle Resistenze nel secondo dopoguerra del Novecento sono lente, obsolete perché conferiscono troppo potere ai cittadini, perché non consentono le necessarie, agili e spregiudicate manovre di risposta ai mercati finanziari, le “inevitabili” (perché tecniche amministrative pure”) politiche di compressione salariale, di attacco alle pensioni, al welfare, di accumulazione capitalistica per predazione. Le Costituzioni democratiche pensate dagli antifascisti dell’epoca non consentono una governance libera dai lacci parlamentari, dalle consultazioni popolari, dalle vertenze sindacali sul lavoro e sociali sui diritti, considerati solo degli ostacoli.

A schiocco di dita, il servo risponde. E infatti, se guardiamo la foresta dall’alto, e non il singolo albero di volta in volta, vediamo come gli attori di questo processo autoritario: attori apparentemente “di sinistra”, palesemente collusi con la destra reazionaria berlusconiana, e unitamente a questa, ci stiano portando al totalitarismo delle banche e dei tecnocrati. E se associamo l’accordo sulla rappresentanza siglato dai sindacati concertativi CGIL, CISL e UIL al DDL 813, e se poi ci aggiungiamo l’inerzia soporifera e disinformante della maggioranza dei media, la quadratura del centro è piena: tutto collima con il piano di Licio Gelli.

Lo stesso ruolo di Napolitano, che va ben oltre le normali prerogative e compiti di un Presidente della Repubblica, è di fatto una prova generale verso un premierato forte. La fiducia popolare (ben disposta dai media) verso un presidente che suggerisce, ammonisce e bacchetta i partiti, definisce quali sono gli avversari della “democrazia” (guarda caso NoTav e movimenti antagonisti in genere), orienta il governo sulla linea politica da tenere: sempre rigidamente dentro il solco dei desiderata dell’oligarchia finanaziaria, è il collante necessario per tenere in piedi l’intero carrozzone. Soprattutto ora, in cui con la sentenza di condanna a Berlusconi di ieri, può aprirsi una crisi politica che condanna il governo Letta a finire a breve e il paese a un ulteriore momento di vuoto istituzionale, preludio di ulteriori e più spregiudicate forzature anticostituzionali.

Napolitano è una garanzia per i potentati: è la figura giusta per contenere il populismo delle destre reazionarie e metabolizzarlo in altre coalizioni e procedere col ruolino di marcia delle tecnocrazie europee.

A questo va aggiunta la più completa assenza di un’opposizione politica nel paese e la presenza (per citare Marco Revelli) di due destre gregarie tra loro, che rappresentano i precari equilibri di un sistema politico che è il prodotto delle contraddizioni tra settori di borghesia dominante. Sistema che ha lasciato ad altri poteri più forti le decisioni strategiche in materia di politica economica.
Fuori dalla vergogna del tradimento della maggiore forza politica, il PD, vissuto in questi ultimi mesi dal “popolo di sinistra e delle primarie”, c’è solo un antiberlusconismo giustizialista, che si alimenta di nostalgie berlingueriane per il grande partito, tra conti sugli stipendi dei parlamentari, auto blu, bunga bunga e alcove del cavaliere. Mentre il nemico principale è soprattutto altrove (magari ce l’hai pure in casa…). E la predazione si muove su altri numeri, quelli che incidono sulla nostra vita.

Ai lavoratori, ai cittadini, ai precari, vengono tolti ormai molto velocemente tutti i dispositivi costituzionali, legislativi, referendari, politici e sindacali per incidere sulle scelte strategiche e tattiche in materia economica, salariale, di diritti sul lavoro e sociali, cultura e istruzione, welfare e diritti alla persona. In altre parole per non dare sponde e legittimità a concreti e reali rapporti di rappresentanza parlamentare, istituzionale e sindacale.
L’autoritarismo neoliberista trasforma i cittadini in sudditi di un’oligarchia tecnocratica e finanziaria deterritorializzata, sovranazionale, gli utenti in debitori che comprano servizi, pensioni, i lavoratori e quella che era una larga parte dei ceti produttivi (PMI, piccolo commercio, sottoposti a un processo di proletarizzazione selvaggia) in forza-lavoro eternamente precaria e, per reddito, ai limiti della sopravvivenza.

Il presidenzialismo è alle porte e questi quasi settant’anni di poca o nulla democrazia fatta di morti nelle piazze, nelle stazioni, per squadrismo fascista e poliziesco, di bombe e repressione, non possono avere questo epilogo. Non possiamo lasciarglielo fare.

Così come l’esistenza di milioni di persone sempre più impoverita e degradata da politiche decise altrove e una protesta diffusa e frammentaria che non trova organicità e progetto, non possono non avere risposta alla domanda di uscita dal nuovo grande lager dello sfruttamento e dell’economia del debito.

Le premesse per dare una risposta organizzata e di progetto ci sono tutte. Da Taranto al Sulcis, da Niscemi a Fabriano, da Torino a Roma, la lotta di classe c’è. C’è materia di lavoro politico. C’è la possibilità di fare emergere dalle realtà sociali in lotta un’ipotesi di alternativa politico-sociale che sappia porsi su un piano anticapitalista e di ricostruzione di un tessuto di solidarietà sociale e di identità collettiva. Serve la volontà di ripartire dall’autonomia di classe, da un percorso di unità e di progetto della sinistra antagonista e anticapitalista, che tanto potrebbe fare se solo lo volesse. Se solo non fosse preda di settarismi e lotte intestine.

Ma questa è un’altra storia.




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Inviato il: 22/9/2013 9:16
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#130
Sono certo di non sapere
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Inviato il: 29/9/2013 16:24
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#131
Sono certo di non sapere
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  •  black
      black
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#132
Mi sento vacillare
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non avevo mai sentito questa notizia(parlo di quella riferita al vajont),incredibile,sicuramente da approfondire(probabilmente ci vorrebbe un thread a parte).

grazie
Inviato il: 30/9/2013 12:19
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#133
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Prosegue la storia di Elisa Claps, un altro mistero italiano:

link IElisa Claps, domani a giudizio il medico che eseguì la perizia sui vestiti.
Inviato il: 30/9/2013 21:13
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#134
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#135
Mi sento vacillare
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la storia della frana pilotata del vajont era conosciuta da prima,chiedo scusa per il mio post precedente,non me lo ricordavo come fatto

quella di ivan è comunque un'altra testimonianza
Inviato il: 1/11/2013 18:01
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  •  Davide71
      Davide71
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#136
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Ciao a tutti:

ho letto su Comedonchisciotte uno che diceva che Mussolini sarebbe fuggito in Paraguay con la Petacci e che i due cadaveri sarebbero due sosia. Qualcuno sa dirmi se è una bufala o ha qualche base storica?
Io ho letto il libro di uno storico inglese che afferma che Mussolini sarebbe stato ucciso da un agente inglese perché Churchill era compromesso non poco con lui. I partigiani l'avrebbero "rifucilato" per rabbia di non avergli potuto sparare per primi.
L'idea che Mussolini sia pesantemente compromesso con gli Inglesi (secondo me poteva benissimo essere un agente inglese...) non mi giunge inaspettata. Tuttavia da lì a fuggire in Paraguay...
Inviato il: 2/11/2013 12:09
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  •  Davide71
      Davide71
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#137
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Sul Vajont io ho visto il film, che secondo me ci va pesante a sufficienza. In esso si affermava che svuotando l'invaso si rischiava la frana. Il fatto di voler provocare una piccola frana oppure di "correre il rischio" di provocarla non cambia molto. Dovevano evacuare la popolazione in ogni caso.
Inviato il: 2/11/2013 12:14
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#138
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Davide71 ha scritto:
Ciao a tutti:

ho letto su Comedonchisciotte uno che diceva che Mussolini sarebbe fuggito in Paraguay con la Petacci e che i due cadaveri sarebbero due sosia. Qualcuno sa dirmi se è una bufala o ha qualche base storica?
Io ho letto il libro di uno storico inglese che afferma che Mussolini sarebbe stato ucciso da un agente inglese perché Churchill era compromesso non poco con lui. I partigiani l'avrebbero "rifucilato" per rabbia di non avergli potuto sparare per primi.
L'idea che Mussolini sia pesantemente compromesso con gli Inglesi (secondo me poteva benissimo essere un agente inglese...) non mi giunge inaspettata. Tuttavia da lì a fuggire in Paraguay...


Su questa storia ci sono un sacco di punti oscuri che finora non sono mai stati chiariti a sufficienza.

Anche nella fine che hanno altre "personalità" di quel periodo ci sono molti punti oscuri.
Inviato il: 2/11/2013 14:08
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  •  earlturner
      earlturner
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#139
Mi sento vacillare
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Citazione:

Davide71 ha scritto:
Ciao a tutti:

ho letto su Comedonchisciotte uno che diceva che Mussolini sarebbe fuggito in Paraguay con la Petacci e che i due cadaveri sarebbero due sosia. Qualcuno sa dirmi se è una bufala o ha qualche base storica?
Io ho letto il libro di uno storico inglese che afferma che Mussolini sarebbe stato ucciso da un agente inglese perché Churchill era compromesso non poco con lui. I partigiani l'avrebbero "rifucilato" per rabbia di non avergli potuto sparare per primi.
L'idea che Mussolini sia pesantemente compromesso con gli Inglesi (secondo me poteva benissimo essere un agente inglese...) non mi giunge inaspettata. Tuttavia da lì a fuggire in Paraguay...


mah, un po' come Elvis..
comunque no. Ci sono le testimonianze di chi era li a pisciare sopra il testone del duce o per esempio questo da wiki -
"La mattina del 28 aprile del 1945 Starace, uscito di casa in tuta da ginnastica si apprestava ai quotidiani esercizi quando, credendo di riconoscerlo, alcuni partigiani gli rivolsero la parola mentre si allontanava. "Starace, dove vai?" gli chiesero, per sentirsi rispondere placidamente: "Vado a prendere il caffè". Bloccato, l'ex gerarca venne condotto in un'aula del Politecnico dove venne sommariamente processato e condannato a morte per fucilazione.

Venne trascinato fuori dall'aula e caricato su un autocarro scoperto con il quale girò tutta la città, subendo una gogna pubblica: venne coperto di insulti, sputi e lanci di sassi e materiale organico[12]. Per l'esecuzione fu portato in Piazzale Loreto dove nel frattempo erano stati appesi alla pensilina di una stazione di servizio, i cadaveri di Mussolini, di Petacci e di altri gerarchi. Non intimorito rivolse il saluto romano al Duce prima di cadere fulminato dal plotone di esecuzione.[14][15]

Prima di essere colpito gridò: "Fate presto, invece di picchiare e di insultare un uomo che state per fucilare!"[12]. Il cadavere fu in seguito appeso insieme agli altri corpi.

12^ http://www.liberolibro.it/achille-starace-il-caporale-del-duce/
14^ Pierluigi Baima Bollone. Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, oscar storia, 2005, p.198: "Achille Starace, che è stato arrestato per strada, ha subito un processo sommario ed è stato trasportato a piazzale Loreto per l'esecuzione. Apparentemente senza paura, rivolge al cadavere appeso di Mussolini, il saluto romano, subito dopo viene fucilato.
15^ Antonio Spinosa, L'uomo che inventò lo stile fascista, Mondadori, Milano, 2002

dico personalmente che disinformazione vada presa con le molle.
Inviato il: 2/11/2013 15:33
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  •  Davide71
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#140
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Ciao earlturner:

infatti anch'io trovo l'idea che il Duce sia riuscito a fuggire strana. Però sono abbastanza convinto che invece Hitler ci sia riuscito, e sicuramente aveva segreti più scottanti da rivelare di Mussolini! Oltre tutto non sarebbe una novità. Di recente ho letto un libro in cui si affermava che gli Zar di Russia non fossero affatto stati uccisi, ma fatti fuggire dai Comunisti, con la promessa di non rivelare mai il segreto (pena il finire uccisi sul serio...)
Il libro era scritto da uno che si dichiarava erede dello zar ed era decisamente convincente.
Inviato il: 3/11/2013 10:52
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#141
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#142
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#143
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sinceramente, della fuga di Mussolini in Paraguay non avevo mai sentito parlare.
invece si è parlato moltissimo dell'esecuzione di Mussolini da parte di falsi partigiani in realtà al soldo dei servizi inglesi, per via di un carteggio tra Mussolini e Churchill che doveva restare segreto e che gli esecutori di Mussoli ovviamente trafugarono dalle carte che aveva con sè.
la cosa strana è che il CLN aveva stabilito che Mussolini dovesse essere processato, così che il processo divenisse un atto d'accusa contro il fascismo in sè e dunque chi sparò contravvenne palesemente a quell'ordine.
la scusa ufficiale è che i partigiani sul posto temessero che Mussolini potesse essere graziato o consegnato agli alleati.
uno dei tanti misteri italiani...
Inviato il: 13/11/2013 15:00
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#144
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che poi continuarono, il primo del dopoguerra fu questo:

Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" - Onlus

La strage di Portella della Ginestra

Nel pianoro a metà strada tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in provincia di Palermo, la festa del primo maggio 1947, a cui partecipavano migliaia di persone, fu interrotta da una sparatoria che, secondo le fonti ufficiali, causò 11 morti e 27 feriti. Successivamente, per le ferite riportate, ci furono altri morti e il numero dei feriti varia da 33 a 65.
I contadini dei paesi vicini erano soliti radunarsi a Portella della Ginestra per la festa del lavoro già ai tempi dei Fasci siciliani, per iniziativa del medico e dirigente contadino Nicola Barbato, che era solito parlare alla folla da un podio naturale che fu in seguito denominato "sasso di Barbato". La tradizione venne interrotta durante il fascismo e ripresa dopo la caduta della dittatura. Nel 1947 non si festeggiava solo il primo maggio ma pure la vittoria dei partiti di sinistra raccolti nel Blocco del popolo nelle prime elezioni regionali svoltesi il 20 aprile. Sull'onda della mobilitazione contadina che si era andata sviluppando in quegli anni le sinistre avevano ottenuto un successo significativo, ribaltando il risultato delle elezioni per l'Assemblea costituente. La Democrazia cristiana era scesa dal 33,62% al 20,52%, mentre le sinistre avevano avuto il 29,13% (alle elezioni precedenti il Psi aveva avuto il 12,25% e il Pci il 7,91%).
La campagna elettorale era stata abbastanza animata, non erano mancate le minacce e la violenza mafiosa aveva continuato a mietere vittime. Il 1947 era cominciato con l'assassinio del dirigente comunista e del movimento contadino Accursio Miraglia (4 gennaio) e il 17 gennaio era stato ucciso il militante comunista Pietro Macchiarella; lo stesso giorno i mafiosi avevano sparato all'interno del Cantiere navale di Palermo. Alla fine di un comizio il capomafia di Piana Salvatore Celeste aveva gridato: "Voi mi conoscete! Chi voterà per il Blocco del popolo non avrà né padre né madre" e la stessa mattina del primo maggio a San Giuseppe Jato la moglie di un "qualunquista truffatore" - come si legge in un servizio del quotidiano "La Voce della Sicilia" - aveva avvertito le donne che si recavano a Portella: "Stamattina vi finirà male" e a Piana un mafioso non aveva esitato a minacciare i manifestanti: "Ah sì, festeggiate il 1° maggio, ma vedrete stasera che festa!" (in Santino 1997, p. 150). Eppure nessuno si aspettava che si arrivasse a sparare sulla folla inerme, ormai lontana la memoria dei Fasci siciliani e dei massacri successivi.


Prima i mafiosi e i partiti conservatori poi solo i banditi

La matrice della strage appare subito chiara: la voce popolare parla dei proprietari terrieri, dei mafiosi e degli esponenti dei partiti conservatori e i nomi sono sulla bocca di tutti: i Terrana, gli Zito, i Brusca, i Romano, i Troia, i Riolo-Matranga, i Celeste, l'avvocato Bellavista che durante la campagna elettorale aveva tuonato contro le forze di sinistra e a difesa degli agrari. I carabinieri telegrafano: "Vuolsi trattarsi organizzazione mandanti più centri appoggiati maffia at sfondo politico con assoldamento fuori legge"; "Azione terroristica devesi attribuire elementi reazionari in combutta con mafia" (ivi, p. 153). Vengono fermate 74 persone tra cui figurano mafiosi notori. All'Assemblea costituente il giorno dopo la strage Girolamo Li Causi, segretario regionale comunista, lancia la sua accusa: dopo il 20 aprile c'è stata una campagna di provocazioni politiche e di intimidazioni, durante la strage il maresciallo dei carabinieri si intratteneva con i mafiosi e tra gli sparatori c'erano monarchici e qualunquisti. Viene interrotto da esponenti dei qualunquisti e della destra e il ministro degli interni Mario Scelba dichiara che non c'è un "movente politico", si tratta solo di un "fatto di delinquenza" (ivi, p. 155). Scelba ritorna sull'argomento in un'intervista del 9 maggio: "Trattasi di un episodio fortunatamente circoscritto, maturato in una zona fortunatamente ristretta le cui condizioni sono assolutamente singolari" (ivi, p. 159). Nel frattempo i fermati vengono rilasciati e si afferma la pista che porta alla banda Giuliano, il cui nome viene fatto dall'Ispettore di Pubblica Sicurezza Ettore Messana, lo stesso che l'8 ottobre 1919 aveva ordinato il massacro di Riesi (15 morti e 50 feriti) e che ora Li Causi addita come colui che dirige il "banditismo politico". La banda Giuliano sarà pure indicata come responsabile degli attentati del 22 giugno in vari centri della Sicilia occidentale, con morti e feriti.
L'inchiesta giudiziaria si concentra sui banditi e procede con indagini frettolose e superficiali: non si fanno le autopsie sui corpi delle vittime e le perizie balistiche per accertare il tipo di armi usate per sparare sulla folla. Il 17 ottobre 1948 la sezione istruttoria della Corte d'appello di Palermo rinvia a giudizio Salvatore Giuliano e gli altri componenti della banda. La Corte di Cassazione, per legittima suspicione, decide la competenza della Corte d'assise di Viterbo, dove il dibattimento avrà inizio il 12 giugno 1950 e si concluderà il 3 maggio 1952, con la condanna all'ergastolo di 12 imputati (Giuliano era stato assassinato il 5 luglio del 1950).
Nella sentenza, a proposito della ricerca della causale, si sostiene che Giuliano compiendo la strage e gli attentati successivi ha voluto combattere i comunisti e si richiama la tesi degli avvocati difensori secondo cui la banda Giuliano aveva operato come "un plotone di polizia", supplendo in tal modo alla "carenza dello Stato che in quel momento si notò in Sicilia" (ivi, pp. 191 s). Cioè: la violenza banditesca era stata impiegata come risorsa di una strategia politica volta a colpire le forze che si battevano contro un determinato sistema di potere. Restava tra le righe che le "carenze dello Stato" erano da attribuire all'azione della coalizione antifascista allora al governo del Paese. La sentenza di Viterbo non toccava il problema dei mandanti della strage e dell'offensiva contro il movimento contadino e le forze di sinistra, affermando esplicitamente che la causa doveva essere ricercata altrove.
Contro la sentenza fu proposto appello e il processo di secondo grado si svolse presso la Corte d'assise d'appello di Roma (nel frattempo molti degli imputati, tra cui Gaspare Pisciotta, erano morti). La sentenza del 10 agosto 1956 confermava alcune condanne, riducendo la pena, e assolveva altri imputati per insufficienza di prove. Con sentenza del 14 maggio 1960 la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso del pubblico ministero e così la sentenza d'appello diventava definitiva.


Una strage per il centrismo

Nella storia d'Italia il 1947 è un anno di svolta e la strage di Portella ha avuto un ruolo nello stimolare e accelerare questa svolta, intrecciandosi con dinamiche che maturano a livello locale, nazionale e internazionale. Il 13 maggio si apre la crisi politica con le dimissioni del governo di coalizione antifascista presieduto da De Gasperi. Il 30 maggio a Roma e a Palermo si formano i nuovi governi: De Gasperi presiede un governo centrista con esclusione delle sinistre e alla Regione siciliana il democristiano Giuseppe Alessi presiede un governo minoritario appoggiato dai partiti conservatori, senza la partecipazione del Blocco del popolo, nonostante la vittoria alle elezioni del 20 aprile. Si apre così una nuova fase della storia d'Italia, in cui le forze di sinistra saranno all'opposizione. La svolta si inserisce nella prospettiva aperta dagli accordi di Yalta che hanno codificato la divisione del pianeta in due grandi aree di influenza, con l'Italia dentro lo schieramento atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti e la guerra fredda come strategia di contrasto e di contenimento del potere sovietico.
Nel gennaio del '47 De Gasperi era andato negli Stati Uniti ma è frutto di una visione semplificatrice pensare che abbia ricevuto l'ordine di sbaraccare le sinistre dal governo. In realtà la svolta del '47 è figlia di un matrimonio consensuale in cui interessi locali, nazionali e internazionali coincidono perfettamente. Il messaggio contenuto nella strage è stato pienamente recepito e da ora in poi a governare, accanto alla Democrazia cristiana che nelle elezioni del 18 aprile 1948 si afferma come partito di maggioranza relativa, dopo una campagna elettorale volta a esorcizzare il "pericolo rosso", saranno i partiti conservatori vanamente indicati come mandanti del massacro. In questo quadro la Chiesa cattolica ha un ruolo di primo piano. Il cardinale Ernesto Ruffini, a proposito della strage di Portella e degli attentati del 22 giugno, scrive che era "inevitabile la resistenza e la ribellione di fronte alle prepotenze, alle calunnie, ai sistemi sleali e alle teorie antiitaliane e anticristiane dei comunisti" (in Santino 2000, p. 180), plaude all'estromissione delle sinistre dal governo, ma la sua proposta di mettere i comunisti fuori legge, rivolta a De Gasperi e a Scelba, rimarrà inascoltata. I dirigenti democristiani sanno perfettamente che sarebbe la guerra civile.


Alla ricerca dei mandanti

La verità giudiziaria sulla strage si è limitata agli esecutori individuati nei banditi della banda Giuliano. Nell'ottobre del 1951 Giuseppe Montalbano, ex sottosegretario, deputato regionale e dirigente comunista, presentava al Procuratore generale di Palermo una denuncia contro i monarchici Gianfranco Alliata, Tommaso Leone Marchesano e Giacomo Cusumano Geloso come mandanti della strage e contro l'ispettore Messana come correo. Il Procuratore e la sezione istruttoria del Tribunale di Palermo decidevano l'archiviazione. Successivamente i nomi dei mandanti circoleranno solo sulla stampa e nelle audizioni della Commissione parlamentare antimafia che comincia i suoi lavori nel 1963. Nel novembre del 1969 il figlio dell'appena defunto deputato Antonio Ramirez si presenta nello studio di Giuseppe Montalbano per recapitargli una lettera riservata del padre, datata 9 dicembre 1951. Nella lettera si dice che l'esponente monarchico Leone Marchesano aveva dato mandato a Giuliano di sparare a Portella, ma solo a scopo intimidatorio, che erano costantemente in contratto con Giuliano i monarchici Alliata e Cusumano Geloso, che quanto aveva detto, nel corso degli interrogatori, il bandito Pisciotta su di loro e su Bernardo Mattarella era vero, che Giuliano aveva avuto l'assicurazione che sarebbe stato amnistiato (in Santino 1997, p. 207).
Montalbano presenta il documento alla Commissione antimafia nel marzo del 1970, la Commissione raccoglierà altre testimonianze e nel febbraio del 1972 approverà all'unanimità una relazione sui rapporti tra mafia e banditismo, accompagnata da 25 allegati, ma verranno secretati parecchi documenti raccolti durante il suo lavoro. La relazione a proposito della strage scriveva: "Le ragioni per le quali Giuliano ordinò la strage di Portella della Ginestra rimarranno a lungo, forse per sempre, avvolte nel mistero. Attribuire la responsabilità diretta o morale a questo o a quel partito, a questa o quella personalità politica non è assolutamente possibile allo stato degli atti e dopo un'indagine lunga e approfondita come quella condotta dalla Commissione. Le personalità monarchiche e democristiane chiamate in causa direttamente dai banditi risultano estranee ai fatti". Il relatore, il senatore Marzio Bernardinetti, addebitava i risultati deludenti alla mancata o scarsa collaborazione delle autorità: "Il lavoro, cui il comitato di indagine sui rapporti fra mafia e banditismo si è sobbarcato in così difficili condizioni, avrebbe approdato a ben altri risultati di certezza e di giudizio se tutte le autorità, che assolsero allora a quelli che ritennero essere i propri compiti, avessero fornito documentate informazioni e giustificazioni del proprio comportamento nonché un responsabile contributo all'approfondimento delle cause che resero così lungo e travagliato il fenomeno del banditismo" (in Testo integrale…1973).
Nel 1977, in pieno clima di "compromesso storico" tra Partito comunista e Democrazia cristiana, ben poco propizio alla ricerca della verità, il Centro siciliano di documentazione comincia la sua attività con un convegno nazionale dal titolo "Portella della Ginestra: una strage per il centrismo" in cui si ricostruisce il quadro in cui è maturata la strage, considerata non come il prodotto di un disorientamento e di un vuoto politico (come sosteneva anche la storiografia di sinistra: Francesco Renda considerava l'uso della violenza come "repugnante delinquenza comune" e un "errore grossolano" che avrebbe portato all'isolamento dei proprietari terrieri: Renda 1976, p. 23) ma come "un atto di lucida, e ragionata, violenza volto a condizionare il quadro politico, regionale e nazionale" purtroppo coronato da successo (Centro siciliano di documentazione 1977; Santino 1997, pp. 8, 60).
Successivamente ci sono state varie pubblicazioni, più meno documentate, sulla strage e sulla banda Giuliano (Galluzzo 1985, Magrì 1987, Barrese - D'Agostino 1997, Renda 2002) e l'interpretazione della strage di Portella come "strage di Stato" ha segnato buona parte dei lavori del convegno che si è svolto nel maggio del 1997, nel cinquantesimo anniversario (Manali, a cura di, 1999; Santino ivi). Il convegno si concluse con la richiesta della desecratazione della documentazione raccolta dalla Commissione antimafia, pubblicata negli anni successivi in vari volumi (Commissione antimafia 1998-99). Nel frattempo la costituzione dell'Associazione "Non solo Portella", ad opera di familiari delle vittime, e l'attività di ricerca del suo presidente, lo storico Giuseppe Casarrubea, figlio di una delle vittime dell'attentato di Partinico del 22 giugno, hanno portato a significativi risultati (Casarrubea 1997, 1998, 2001). Anche sulla base di perizie effettuate sui corpi di alcuni superstiti si è documentato che tra le armi utilizzate c'erano bombe-petardo di produzione americana; da testimonianze risulta che tra gli esecutori c'erano mafiosi e le ricerche sui materiali dell'archivio dell'Oss (Office of Strategic Services) e del Sis (Servizio Informazioni e Sicurezza) del ministero dell'Interno hanno prodotto ulteriore documentazione sul ruolo degli Stati Uniti (già documentato precedentemente: sugli incontri del bandito Giuliano con l'agente americano Michael Stern: Sansone - Ingrascì 1950, pp.143-150; sulla politica estera degli Stati Uniti, ricostruita attraverso documenti d'archivio: Faenza - Fini 1976) e rivelato i rapporti tra banditismo e formazioni neofasciste (Vasile 2004, 2005).
Ricostruzioni recenti (La Bella - Mecarolo 2003) hanno contribuito ad arricchire il quadro della documentazione sul contesto, sono stati pubblicati significativi documenti degli archivi italiani e americani sui primi anni della Repubblica (Tranfaglia 2004) e un film (Segreti di Stato del regista Paolo Benvenuti, accompagnato da un volume: Baroni-Benvenuti 2003) ha riproposto il tema delle complicità chiamando in causa vari soggetti, dai dirigenti della Democrazia cristiana alla X MAS di Junio Valerio Borghese, ai servizi segreti americani, al Vaticano, in un "gioco delle carte" non sempre convincente.
Sulla base di nuove acquisizioni documentali nel dicembre 2004 i familiari delle vittime hanno chiesto la riapertura dell'inchiesta. Per Portella, come del resto per le altre stragi che hanno insanguinato l'Italia, la verità è ancora lontana.


Riferimenti bibliografici

Baroni Paola - Benvenuti Paolo, Segreti di Stato. Dai documenti al film, Fandango, Roma 2003.
Barrese Orazio - D'Agostino Giacinta, La guerra dei sette anni. Dossier sul bandito Giuliano, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997.
Casarrubea Giuseppe, Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato, F. Angeli, Milano 1997; Fra' Diavolo e il Governo nero. "Doppio Stato" e stragi nella Sicilia del dopoguerra, F. Angeli, Milano 1998; Salvatore Giuliano. Morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, F. Angeli, Milano 2001.
Centro siciliano di documentazione, 1947-1977. Portella della Ginestra: una strage per il centrismo, Cooperativa editoriale Cento fiori, Palermo 1977. Una parte degli Atti del convegno fu pubblicata nel fascicolo Ricomposizione del blocco dominante, lotte contadine e politica delle sinistre in Sicilia (1943-1947), Cento fiori, Palermo 1977.
Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, Pubblicazione degli atti riferibili alla strage di Portella della Ginestra, Roma 1998-99, Doc. XXIII, nn. 6, 22, 24.
Faenza Roberto - Fini Marco, Gli americani in Italia, Feltrinelli, Milano 1976.
Galluzzo Lucio, Meglio morto. Storia di Salvatore Giuliano, Flaccovio, Palermo 1985
La Bella Angelo - Mecarolo Rosa, Portella della Ginestra. La strage che ha insanguinato la storia d'Italia, Teti Editore, Milano 2003.
Magrì Enzo, Salvatore Giuliano, Mondadori, Milano 1987.
Manali Pietro (a cura di), Portella della Ginestra 50 anni dopo (1947-1997), S. Sciascia editore, Caltanissetta-Roma 1999, con 2 volumi di Documenti, a cura di G. Casarrubea.
Renda Francesco, Il movimento contadino in Sicilia e la fine del blocco agrario nel Mezzogiorno, De Donato, Bari 1976; Salvatore Giuliano. Una biografia storica, Sellerio, Palermo 2002.
Sansone Vincenzo - Ingrascì Giuseppe, 6 anni di banditismo in Sicilia, Le edizioni sociali, Milano 1950.
Santino Umberto, La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997; La strage di Portella, la democrazia bloccata e il doppio Stato, in P. Manali (a cura di), op. cit., pp. 347-375; Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all'impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000.
Testo integrale della relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, vol. II, Cooperativa Scrittori, Roma 1973, Relazione sui rapporti tra mafia e banditismo in Sicilia, pp. 983-1031.
Tranfaglia Nicola, Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani. 1943-1947, Bompiani, Milano 2004.
Vasile Vincenzo, Salvatore Giuliano, bandito a stelle e a strisce, Baldini Castoldi Delai, Milano 2004; Turiddu Giuliano, il bandito che sapeva troppo, con un saggio di Aldo Giannuli, l'Unità, Roma 2005.

Pubblicato su "Narcomafie", n. 6, giugno 2005
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      toussaint
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#145
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Il ruolo di Junio Valerio Borghese e dei suoi fascisti della X MAS nella strage di Portella:

L'ombra neo fascista su Portella della Ginestra

PALERMO – La strage di Portella della Ginestra non fu solo un affare di mafia, di fronde anti-comuniste e lobby terriere che contrastavano le lotte contadine, a muovere la mano del bandito Salvatore Giuliano, ritenuto l'autore dell'eccidio, furono anche reduci fascisti, in particolare i militanti della Decima Mas del principe Junio Valerio Borghese, spalleggiati da servizi neo-nazisti in un estremo tentativo di riaffermare il blocco "nero". A delineare il nuovo scenario, in cui sarebbe maturata quella che viene definita la prima strage di Stato, sono alcuni documenti inediti che escono fuori dagli archivi Usa di College Park, nel Maryland, e raccolti dallo storico Giuseppe Casarrubea che da anni si batte per la ricerca della verità sulla strage del Primo maggio del 1947, protagonista in passato di alcune querelle storiche sulla vicenda.
Casarrubea è venuto in possesso di questi documenti lo scorso gennaio e li consegnerà alla Procura di Palermo, dove nel dicembre del 2004 ha già depositato un memoriale chiedendo la riapertura delle indagini. «Queste carte – sostiene lo storico – ci consegnano uno scenario nuovo e convincente. Gli archivi Usa confermano il coinvolgimento dei fascisti che fu denunciato, senza che nessuno però ne desse troppa importanza, dalla famiglia mafiosa di Monreale al processo di Viterbo». Tra il marzo e il maggio del 1945, il Servizio informazioni militari (Sim) e il controspionaggio angloamericano scoprono una pericolosa rete di «commandos» di Salò che, fin dall'estate del 1944, opera tra Napoli, Reggio Calabria e la provincia di Palermo. E in Sicilia, a ricevere armi, denaro e addestramento alla guerriglia, secondo i documenti inediti fu la banda di Salvatore Giuliano che agiva a Montelepre.
Le indagini partono per caso. Alla fine di febbraio del 1945 una pattuglia americana cattura sull'Appennino pistoiese due militi degli NP (Nuotatori-Paracadutisti) della Decima Mas di Junio Valerio Borghese: Pasquale Sidari e Giovanni Tarroni. I due confessano di aver trascorso vari mesi nell'Italia liberata per organizzare l'eversione armata del fascismo della RSI nelle regioni meridionali. Fanno nomi e cognomi, che permettono agli Alleati di identificare nel giro di poche settimane una complessa rete di spionaggio e di sabotaggio nazifascista. Sono decine gli arresti a Napoli e provincia. Qui operano Gino Locatelli e Bartolo Gallitto (Decima Mas) ed i fascisti del principe calabrese Pignatelli. Ma ben presto le indagini si estendono a Calabria e Sicilia. A Partinico, in provincia di Palermo, dal luglio 1944 è attiva la «filiale» siciliana di Borghese, composta da tre militi della Decima Mas al comando di Dante Magistrelli.
Oltre ad addestrare e ad equipaggiare la banda di Giuliano, Magistrelli si reca regolarmente a Napoli e a Roma per ricevere ordini e denaro dai neofascisti romani, a loro volta in contatto con i servizi segreti nazifascisti a Verona e a Milano. In un rapporto del '45 del maggiore dei carabinieri Camillo Pecorella si legge che «Dante Magistrelli ha ricevuto istruzioni per una missione da svolgere nell'Italia liberata ed è da considerare un agente sabotatore al servizio del nemico. Non vi è il minimo dubbio che il soggetto appartiene ad una organizzazione di spionaggio e sabotaggio e che è stato reclutato tra i militi della Decima Flottiglia Mas. In Sicilia, la banda Giuliano costituisce un fattore di grave disturbo dell'ordine pubblico, nell'interesse dei servizi segreti nazifascisti».
«Ho deciso di rivelare solo ora la scoperta – afferma Casarrubea – perchè siamo alla vigilia del 58° anniversario della strage di Portella della Ginestra. Le decine di nuove carte dei servizi segreti statunitensi, provenienti in gran parte dagli scaffali desecretati dell'Office of Strategic Services, hanno un eccezionale valore storico: ci permettono, ad esempio, di retrodatare all'estate del 1944 i criminali contatti terroristici tra Salvatore Giuliano, i suoi emissari e la Decima Mas di Borghese, con importanti implicazioni storico-politiche che esporrò ampiamente in un nuovo libro».

(La Sicilia, 29 aprile 2005)
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#146
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quando poi la guerra finisce, quelli che prima erano nemici, diverranno preziosi strumenti nelle mani degli USA per stabilire un NUOVO ORDINE in Sicilia.
Banditi e neofascisti saranno gli strumenti operativi, mentre il Movimento Separatista Siciliano e la mafia costituiranno la rete di potere per respingere il pericolo comunista e la minaccia dei braccianti al latifondo, per realizzare in Sicilia una zona franca per tutti i traffici più nefandi.
e la strage di braccianti a Portella sarà il test generale di questa alleanza "nera".
Inviato il: 13/11/2013 15:18
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#147
Mi sento vacillare
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Citazione:
la cosa strana è che il CLN aveva stabilito che Mussolini dovesse essere processato, così che il processo divenisse un atto d'accusa contro il fascismo in sè e dunque chi sparò contravvenne palesemente a quell'ordine


io sapevo un'altra versione che è quella dichiarata da longo e pertini,nessun processo omicidio immediato:

Citazione:
Altrettanto noti sono i particolari della fucilazione del Duce e della Petacci in località Giulino di Mezzegra (Como) su ordine del CLNAI (Comitato Nazionale per la Liberazione dell’Alta Italia, ndr). La decisione era già stata presa dal Comando generale del CVL in uno scambio di opinioni avvenuto all’inizio dell’insurrezione, sulla sorte da riservare a Mussolini nel caso fosse stato catturato dai partigiani. <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche> fu la proposta di Luigi Longo che aggiunse: <E’ da tempo che il popolo italiano ha pronunciato la sentenza, non si tratta che di eseguirla>. Gli altri membri del comando furono tutti concordi”.



vi lascio qui la citazione completa:

Citazione:
Ma veniamo ai drammatici giorni dell’aprile 1945 (25-30) che hanno caratterizzato la fine della guerra di librazione combattuta per liberare l’Italia dalla tirannide nazifascista. Sul Web (www.resistenze.org. I siti Internet citati sono reperibili per via telematica) si legge: “Alle ore 20,30 del 27 al Comando generale del CVL (Corpo Volontari della Libertà, ndr) perviene dalla 52a Brigata Garibaldi (Luigi Clerici) il messaggio: <Mussolini, Pavolini, Bombacci sono stati arrestati. Seguiranno altre notizie>. Queste arrivano due ore dopo con i nominativi dei catturati. Sono noti i particolari dell’arresto di Mussolini e della sua banda. Un distaccamento di garibaldini in missione per andare a cercare qualche pacco di sigari trova invece... Mussolini. Le vie del tabacco, come quelle del Signore, sono veramente infinite. Altrettanto noti sono i particolari della fucilazione del Duce e della Petacci in località Giulino di Mezzegra (Como) su ordine del CLNAI (Comitato Nazionale per la Liberazione dell’Alta Italia, ndr). La decisione era già stata presa dal Comando generale del CVL in uno scambio di opinioni avvenuto all’inizio dell’insurrezione, sulla sorte da riservare a Mussolini nel caso fosse stato catturato dai partigiani. <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche> fu la proposta di Luigi Longo che aggiunse: <E’ da tempo che il popolo italiano ha pronunciato la sentenza, non si tratta che di eseguirla>. Gli altri membri del comando furono tutti concordi”.

“Tuttavia l’esecuzione della sentenza non fu facile perché ci fu chi cercò di mettere il proverbiale bastone tra le ruote. Appena giunta al comando del CVL la notizia della cattura di Mussolini vengono immediatamente inviati il colonnello Valerio (Walter Audisio) e Aldo Lampredi (Guido) con un plotone di garibaldini dell’Oltrepò pavese appena giunti a Milano; il plotone ha l’ordine di fare giustizia. All’indomani mattina racconta Luigi Longo, <mentre mi trovavo al comando fui chiamato al telefono da Como. Era Valerio che voleva informarmi della situazione. Un vociare, un intrecciarsi di strida, risuonavano nella stanza da cui Valerio telefonava. Ad un tratto sento Valerio gridare come un ossesso: <Fuori di qui altrimenti vi faccio fuori io>. La situazione era questa: quelli del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale, ndr) di Como erano più terrorizzati che onorati della cattura di Mussolini. Sollevavano ogni possibile eccezione per non guidare Lampredi e Valerio dove si trovava Mussolini. Si capiva che era giunto qualche agente americano per fare valere particolari diritti sulla persona di Mussolini. Valerio chiedeva istruzioni. La risposta che diedi fu semplice: <O fate fuori lui o sarete fatti fuori voi>. Non ci fu, conclude Longo, bisogno di altro. <Sentii sbattere il ricevitore sull’apparecchio telefonico e mi immaginai il colonnello Valerio filare dritto, dritto, senza più esitazione alcuna per la missione cui era stato comandato>”.



“Il quartier generale alleato immediatamente informato della cattura di Mussolini, al mattino del 28 fa pervenire al CLNAI due pressanti messaggi; il primo dice: <Per CLNAI stop Comando alleato desidera immediatamente informazioni su presunta locazione Mussolini dico Mussolini stop Se est stato catturato si ordina egli venga trattenuto per immediata consegna at comando alleato stop Si richiede che voi portiate queste informazioni subito et notifichiate formazioni partigiane che avrebbero effettuato cattura del suddetto ordine che riceve assoluta precedenza>. Due ore dopo arriva il secondo messaggio: <Per CLNAI dico CLNAI stop XV gruppo d’armate desidera portare Mussolini et Graziani dico Mussolini et Graziani at sede comando alleato stop Se voi siete disposti a rilasciarli est possibile inviare quadrimotore per prelievo>. Gli alleati non avevano mai avuto così grande fretta nelle loro operazioni, ma gli italiani avevano più fretta di loro. Nel momento in cui incalzano con i loro messaggi, giustizia è già stata fatta. Ed è importante sia stata fatta dagli italiani in nome del popolo italiano” (a quei due radiomessaggi, provenienti dal comando interalleato di Siena, il CVL rispose che Mussolini era già stato fucilato a Milano nello stesso luogo dov’erano stati massacrati, l’anno prima, quindici patrioti antifascisti, ndr).


c'è poi la versione del partigiano bill

Citazione:
La lettura delle righe soprascritte ci permettono di affermare che Luigi Longo, la mattina del 28 aprile del 1945, era a Milano nella sede del comando del CVL. Molti Autori, invece, dicono che quella telefonata è stata una bufala inventata da Longo per mascherare una ben altra verità. Per loro Longo sarebbe partito di volata dopo l’Audisio e si sarebbe recato a Bonzanigo dove avrebbe fucilato di persona sia il Duce che Claretta Petacci (F. Bandini. Vita e morte segreta di Mussolini. Mondadori, 1978; U. Lazzaro. Dongo. Mezzo secolo di Vergogne. Mondadori, 1997; L. Garibaldi. La pista inglese. Ares, 2002; P. Tompkins. Dalle carte segrete del Duce. Il Saggiatore, 2004; G. Pisanò. Gli ultimi cinque secondi di Mussolini. Il Saggiatore, 2004; P. Maccarini. Claretta e Ben. La fine. Edizioni Guardamagna, 2005). Riportiamo, ad esempio, la seguente notizia telematica (it.altermedia.info): “E’ morto ieri sera, nell’ospedale di Vercelli dove era da qualche giorno ricoverato, Urbano Lazzaro (Bill), il partigiano della 52° Brigata Garibaldi che il 28 aprile 1945, a Dongo, arrestò Benito Mussolini. Il Duce, indossato un cappotto tedesco, si era nascosto su un camion della colonna e stava tentando l’espatrio in Svizzera (affermazione ormai seza significato perché provatamente non vera, ndr). Il Lazzaro scrisse anche un libro su Mussolini, a quattro mani con Pier Bellini delle Stelle (Pedro, ndr), comandante della brigata garibaldina in cui militava. Nel saggio sosteneva che a fucilare Mussolini non sarebbe stato il colonnello Valerio, bensì Luigi Longo, smentendo così una fotografia pubblicata sul Corriere della sera dell’epoca che avrebbe immortalato Longo, in quelle stesse ore, durante un comizio a Milano”. Urbano Lazzaro non ha mai deflettuto. Anche nel 2004 ha confermato in Televisione che ad uccidere il Duce è stato Luigi Longo (M. L., Forenza, P. Tompkins. Mussolini: L’ultima verità. RAI TRE, 30 Agosto, 2004. Idem. Il carteggio Churchill-Mussolini: L’ultima verità. RAI TRE, 7 Settebre, 2004).


mussolini se non fosse stato ucciso si sarebbe salvato come il boia graziani
Inviato il: 13/11/2013 17:01
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#148
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black, guarda che c'è scritto in quello che hai postato.
il CLN voleva Mussolini vivo e i partigiani sul posto temevano fosse poi liberato.
ma questa storia potrebbe avere una diversa lettura, perchè 'sta storia del carteggio Mussolini/Churchil è reale.
e allora, qualcuno potrebbe aver fatto il doppio, triplo gioco.
e dunque che gli Alleati volessero Mussolini può voler dire che volevano assicurarsi non parlasse del suo rapporto con Churchill e in questo senso la cosa più pericolosa per loro sarebbe stato un processo al fascismo, processo al fascismo che invece avrebbe significato il rafforzamento dell'odio popolare verso i gerarchi e probabilmente l'eliminazione definitiva di questi personaggi dalla vita del paese.
Invece l'oblio ne favorì l'infame amnistia da parte di Togliatti e il riciclaggio come agenti della CIA nella strategia dellla tensione.
tornando all'esecuzione, gli Alleati rendendosi conto successivamente di non poter comunque arrivare a farsi consegnare Mussolini, potrebbero aver deciso di metterlo a tacere comunque con un'esecuzione sul posto per tramite di uno dei numerosi infiltrati che avevano tra i partigiani.
Inviato il: 13/11/2013 17:23
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#149
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Carteggio Churchill-Mussolini Da Wikipedia

25 aprile 1945: Mussolini abbandona la prefettura di Milano, portando con sé due borse contenenti i documenti del CarteggioCon l'espressione carteggio Churchill-Mussolini ci si riferisce comunemente ad una serie di documenti, concernenti la corrispondenza intrattenuta dal Primo Ministro italiano Benito Mussolini con il Primo Ministro britannico Sir Winston Churchill, con particolare riferimento al periodo della seconda guerra mondiale, che il capo del fascismo aveva avuto cura di portare con sé all'atto di lasciare Milano il 25 aprile 1945, e che custodiva personalmente al momento della cattura.

Nell’immediato dopoguerra, Churchill e i servizi segreti britannici, si mossero con successo per recuperare gli originali e gran parte delle copie del carteggio[1]. Pertanto, poiché tale documentazione è ancora inaccessibile agli storici o è andata distrutta, è azzardato definirne il contenuto, pur essendone state formulate numerose ipotesi e ricostruzioni.

All'interesse dei servizi segreti britannici per tali documenti si ricollega la versione sull'uccisione del capo del fascismo di cui al memoriale dell’ex comandante della divisione partigiana formata dalla 111ª, 112ª e 113ª Brigata Garibaldi, Bruno Giovanni Lonati “Giacomo”[2] e comunemente definita come la "pista inglese".

Indice
1 La vicenda
2 Il carteggio in mani britanniche
3 Fotoriproduzioni precedenti alla cattura di Mussolini
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci correlate
7 Collegamenti esterni

La vicenda
In una delle borse contenenti i documenti del Carteggio vi era anche un dossier sulla vita sessuale del principe Umberto di Savoia

Il 27 aprile 1945, al momento della sua cattura, Benito Mussolini aveva con sé due borse piene di documenti contenenti, tra l'altro - secondo le testimonianze di coloro che hanno dichiarato di averle ispezionate in quei giorni (partigiani, funzionari etc.) - parte della sua corrispondenza con Churchill[3][4], ma di cui - al momento - non fu accertata né la datazione, né l'esatto contenuto. Le due borse, di cui una temporaneamente affidata dall'ex-duce al colonnello Vito Casalinuovo, proprio al momento dell'arresto, furono subito requisite dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" e ne fu fatta una sommaria ispezione.

In particolare, la borsa ancora nelle mani di Mussolini era a quattro scomparti, e conteneva cartelle con trecentocinquanta documenti riservatissimi; un milione e settecentomila lire in assegni e centossessanta sterline d'oro[5]. Le cartelle erano marcate: “Mussolini. Segreto”; una di esse conteneva – appunto – il carteggio riguardante Churchill e un’altra i rapporti dei servizi segreti sulla vita sessuale dell’erede al trono Umberto[3]. Anche l’altra borsa conteneva parte del carteggio con Churchill; entrambe pesavano – piene – 4,8 chilogrammi, l’una, e 5,4, l’altra[6].

Quella stessa sera le borse furono messe in due sacchi di tela e depositate presso la filiale della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde di Domaso dal partigiano Urbano Lazzaro "Bill", accompagnato dal collaboratore ed interprete svizzero Alois Hofman, e dal partigiano Stefano Tunesi[5]. Successivamente i due sacchi furono affidati al parroco di Gera Lario, don Franco Gusmeroli, che li nascose nella cripta della chiesa. Infine, i due sacchi pervennero al comando del CVL di Como[6], privi, peraltro, del fascicolo relativo al principe Umberto, che ”Pedro” Bellini delle Stelle, il comandante della 52ª Brigata, aveva curato di far pervenire all’interessato[7].

Il 4 maggio 1945 tutto il materiale, a cui erano stati uniti altri documenti di Mussolini provenienti da una terza borsa sequestrata a Marcello Petacci[8] e consegnati da Aldo Lampredi al comando comasco, furono esaminati da una commissione formata, tra l’altro, dal segretario della Federazione comunista locale, Dante Gorreri e dal nuovo prefetto di Como, Virginio Bertinelli[9]. Il carteggio constava di 62 lettere, di cui 31 a firma Churchill e 31 a firma Mussolini[10].

Dopo la visione degli stessi, fu commissionata la fotoriproduzione di tutti i documenti alla Fototecnica Ballarate di Como, che ne effettuò alcune copie, di cui l’originale rimase in possesso di Dante Gorreri, una copia fu consegnata a Bertinelli – che la nascose all’interno di un "cavallo con maniglie" di una palestra di Como[9] - e un’altra fu riposta nella cassaforte della federazione comunista[11].

Il carteggio in mani britanniche
Dante Gorreri, segretario della Federazione comunista di Como: consegnò gli originali del carteggio ai Servizi segreti britannici

Il 2 settembre 1945, a nemmeno due mesi dalla conclusione della guerra in Europa, dopo aver perso le elezioni nazionali e non più primo ministro, Winston Churchill si reco' sul lago di Como, a trascorrere una breve vacanza nella Villa Apraxin di Moltrasio, dietro il falso nome di colonnello Waltham[10]. L'ex premier britannico si recò nella sede del comando della 52ª Brigata Garibaldi e poi incontrò il direttore della filiale CARIPLO di Domaso, che per alcune ore aveva custodito le borse contenenti il carteggio; infine, fece contattare Dante Gorreri dal capitano dei servizi segreti britannici Malcolm Smith.

Il 15 settembre 1945, nella trattoria "La pergola" di Como, Dante Gorreri consegnò gli originali delle 62 lettere del carteggio Churchill-Mussolini al capitano Smith, in cambio della somma di due milioni e mezzo di lire in contanti[10]. Le copie del carteggio in possesso del prefetto Virginio Bertinelli erano già state recuperate dal capitano inglese, il precedente 22 maggio[9].

La copia del carteggio riposta nella cassaforte della federazione comunista fu trafugata nel 1946 da Luigi Carissimi Priori, ex capo dell’ufficio politico della questura di Como. In un’intervista rilasciata nel 1998 al giornalista Roberto Festorazzi[12], Carissimi Priori dichiarò di aver consegnato il plico contenente le 62 lettere al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, resistendo ad un'offerta di 100.000 sterline di alcuni agenti segreti inglesi. De Gasperi avrebbe trasferito l’intero carteggio in una cassetta di sicurezza in Svizzera; alla scadenza del contratto, l’intero contenuto del deposito, in accordo con la legislazione svizzera in materia di desecretazione dei documenti storici, sarà riversato nell'Archivio storico confederale[11]. Carissimi Priori ha comunque dichiarato di aver preso sommariamente visione del carteggio, prima di consegnarlo allo statista trentino, e lo ha riferito al periodo anteriore all’ingresso in guerra dell’Italia (giugno 1940); la documentazione avrebbe riguardato le offerte fatte da Churchill per il mantenimento della non belligeranza: Tunisia, Dalmazia, nizzardo, e la conferma di tutte le colonie in contestazione (Etiopia, Dodecaneso)[13].

In contrasto con quanto sostenuto da Carissimi Priori, Pietro Carradori, ex autista del duce, ha testimoniato che almeno due contatti segreti tra Mussolini ed emissari britannici erano avvenuti a Porto Ceresio (CO), presso il confine svizzero, il 21 settembre 1944 e il 21 gennaio 1945[14][15].

29 aprile 1945. Sebbene i documenti siano stati dichiarati recuperati, due aerei "picchiatelli" (Stukas italiani) bombardarono la zona 24 ore dopo la morte di Mussolini. Le trasmissioni radiofoniche italiane, britanniche e statunitensi trasmisero per mesi una canzone contenente la chiave per sconosciute informazioni. Le testimonianze di questa Sciarada sono contenute nel volume "BISABOSA" di Alvaro Picchi - Feltrinelli.

Fotoriproduzioni precedenti alla cattura di Mussolini
Carlo Alberto Biggini, affidatario di una copia dei documenti segreti di Mussolini comprendente, presumibilmente, anche il Carteggio

I documenti contenuti nelle borse sequestrate a Mussolini e a Petacci dai partigiani della 52ª Brigata, erano originariamente conservati nell’archivio personale del duce a Gargnano, da cui il 18 aprile 1945, Mussolini medesimo ne aveva selezionati i più importanti, prima di trasferirsi a Milano. In precedenza, il capo del fascismo aveva già curato la fotoriproduzione in più copie di alcuni atti e missive particolarmente importanti, da distribuire ad elementi di cui riponeva la massima fiducia.

Tali copie risultano essere state consegnate:

1) Al Ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana Carlo Alberto Biggini; concernenti, in particolare, dei documenti contenuti in una cartella di marocchino rosso e la copia di un’agenda (diario) con appunti di Mussolini stesso[16]. Alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, Biggini fu costretto a rifugiarsi in convento, lasciando la cartellina rossa sulla sua scrivania, ma portando con sé l’agenda del duce. Della cartellina non si è avuto più notizia, mentre l’agenda fu lasciata da Biggini in convento, al momento del suo urgente ricovero nella casa di cura dove morrà sotto falso nome, il 19 novembre 1945[16].

2) All’ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka, che se li portò con sé al momento di riparare in Svizzera. Tali documenti – a detta di Hidaka – furono distrutti al momento della resa del Giappone, secondo il regolamento diplomatico giapponese [17][18][19].

3) Alla moglie Rachele, che tenterà invano di espatriare in Svizzera, con i due figli minori e due casse di documenti, nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1945[16]. Respinta alla frontiera di Cernobbio, Rachele Guidi e i suoi figli furono alloggiati nella Villa Mantero di Como, nel cui giardino fece seppellire la borsa consegnatale dal marito; alcuni giorni dopo, i partigiani disseppelliranno tale borsa e la riporranno nella cassaforte della caserma dei Vigili del Fuoco di Como. All’indomani della liberazione, il citato agente britannico Malcolm Smith aveva requisito la Villa Apraxin di Moltrasio (ove successivamente alloggerà Winston Churchill), il cui proprietario, Guido Donegani, era stato incarcerato per i suoi stretti rapporti con l’ex duce. Donegani si impegnò con l’agente britannico a fargli recuperare la borsa in cambio della sua scarcerazione e, il 31 agosto 1945, riuscì nell'intento[10].

4) A un personaggio tuttora non identificato. La borsa contenente copia dell’epistolario e del fascicolo sulla vita sessuale del principe Umberto, fu rinvenuta dall’agente segreto italiano Aristide Tabasso nel marzo del 1946. Tabasso ne fece un’ulteriore copia per il Counter Intelligence Corps, con il quale collaborava, e consegnò la copia originale al luogotenente del regno, da cui fu nominato Commendatore della Corona d’Italia[20][21].

Winston Churchill5) A un presunto ebreo svizzero di Lugano, tramite il sottotenente della Guardia nazionale repubblicana Enrico De Toma ed a seguito di ordini impartiti da Mussolini in persona. Si tratterebbe di centosessanta lettere in parte a firma Churchill e in parte, in “brutta copia”, a firma Mussolini; documenti politici e militari; accordi segreti con il Regno Unito, per il riconoscimento della R.S.I. e la cessione all’Italia di parte delle colonie francesi. È il caso più dubbio e contestato.

De Toma, infatti, asserirà che nessuno si sia presentato all’appuntamento di Lugano e che i suoi contatti con i nuovi governi democratici per la riconsegna del carteggio si sarebbero rivelati infruttuosi. Una parte dei documenti furono così ceduti da De Toma al Corriere Lombardo e poi al Candido di Giovanni Guareschi per essere pubblicati: tra di essi anche una falsa nota (secondo l'avv. Giuliani Balestrino era genuina, questo spiegherebbe perché, contrariamente alle sue abitudini, De Gasperi lo querelò) datata 1944 di Alcide De Gasperi, all'epoca rifugiato in Vaticano, che avrebbe chiesto agli Alleati anglo-americani di bombardare la periferia della città di Roma, allo scopo di demoralizzare i collaborazionisti dei tedeschi. Querelato dal Presidente del Consiglio, Guareschi sarà condannato nel 1954 e, rifiutando di firmare una richiesta di grazia, incarcerato per diffamazione a mezzo stampa. Tutto il "carteggio De Toma" sarà poi distrutto per ordine della magistratura[22][23].

Tuttavia, il testo delle intercettazioni telefoniche effettuate dai servizi segreti tedeschi a Salò, sulle conversazioni di Mussolini[24], confermano l'esistenza di tentativi segreti di accordo e lo scambio di lettere tra il dittatore italiano e il Primo ministro inglese Winston Churchill, anche nel periodo successivo all’entrata in guerra dell’Italia.

Note[modifica | modifica sorgente]^ Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Tropea, Milano, 2001, pagg. 351 e succ.ve
^ Bruno Giovanni Lonati, Quel 28 aprile, Mussolini e Claretta: la verità, Mursia, Milano, 1994
^ a b Peter Tompkins, cit., pag. 352
^ Luciano Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci? , Ares, 2002, pagg. 89 e succ.ve
^ a b Alessandro Zanella,L'ora di Dongo, Rusconi, Milano, 1993, pag 378.
^ a b Peter Tompkins, cit., pagg. 353
^ L’Unità ammette l’esistenza dei dossier
^ Marcello Petacci, fratello dell'amante di Mussolini, Claretta, seguiva il convoglio dei fuggitivi con la propria vettura e fu anch'egli catturato dai partigiani il 27 aprile 1945.
^ a b c Peter Tompkins, cit., pagg. 354
^ a b c d Peter Tompkins, cit., pagg. 356-57
^ a b In Svizzera il carteggio
^ Cfr. Roberto Festorazzi, Churchill-Mussolini, le carte segrete. La straordinaria vicenda dell'uomo che ha salvato l'epistolario più scottante del ventesimo secolo, Datanews, Milano, 1998
^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 74-77
^ Peter Tompkins, cit., pag. 317
^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 84 e succ.ve
^ a b c Pierluigi Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, Milano, 2009, pag. 175
^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 176
^ Peter Tompkins, cit., pag. 359
^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 89-91
^ Peter Tompkins, cit., pagg. 364-65
^ Corriere della Sera del 28 gennaio 1996
^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pagg. 171-74
^ Peter Tompkins, cit., pagg. 359-64
^ Documenti pubblicati in: Ricciotti Lazzero, Il sacco d'Italia. Razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, Mondadori, Milano, 1994, e in parte in: Luciano Garibaldi, cit., pagg. 68 e succ.ve
Bibliografia[modifica | modifica sorgente]Fabio Andriola, Appuntamento sul lago. L’ultimo piano di Benito Mussolini, Milano, SugarCo, 1990.
Fabio Andriola, Carteggio segreto Churchill-Mussolini, Milano, SugarCo, 2007. ISBN 978-88-7198-528-2.
Franco Bandini, Le ultime 95 ore di Mussolini, Milano, Mondadori, 1971.
Dino Campini, Mussolini, Churchill: i carteggi, Milano, Italpress, 1952.
Roberto Festorazzi, Churchill-Mussolini, le carte segrete. La straordinaria vicenda dell'uomo che ha salvato l'epistolario più scottante del ventesimo secolo, Milano, Datanews, 1998. ISBN 88-7981-119-3.
Luciano Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, Ares, 2002. ISBN 88-8155-238-8.
Ricciotti Lazzero, Il sacco d'Italia. Razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, Mondadori, 1994. ISBN 88-04-35973-0.
Bruno Giovanni Lonati, Quel 28 aprile, Mussolini e Claretta: la verità, Milano, Mursia, 1994. ISBN 88-425-1761-5.
Arrigo Petacco, Dear Benito, caro Winston. Verità e misteri del carteggio Churchill-Mussolini, Milano, Mondadori, 1985.
Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Milano, Tropea, 2001. ISBN 88-04-45696-5.
Alessandro Zanella, L'ora di Dongo, Milano, Rusconi, 1993. ISBN 88-18-12113-8.
Angelo Paratico, BEN, Milano, Mursia, 2010.
Ubaldo Giuliani Balestrino, Il Carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi, Settimo Sigillo, 2010.
Alvaro Picchi, "BISABOSA" - CAPITOLO TESTIMONIANZE DELLA "SCIARADA - LA SCOMPARSA DEI CARTEGGI DI MUSSOLINI", FELTRINELLI.
Inviato il: 13/11/2013 17:28
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#150
Sono certo di non sapere
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ricapitolando, abbiamo partigiani comunisti che si vendono per quattro soldi, che fanno favori alla famiglia reale e che collaborano con i servizi inglesi e americani, ossia del nemico capitalista (del resto, Ferrara era un agente CIA, come suo padre e tutti i miglioristi, del resto).
e De Gasperi che ordina il bombardamento di San Lorenzo.
direi, una perfetta fotografia del compromesso storico ante litteram che è arrivato fino ai giorni nostri, quel compromesso storico di cui fu cantore proprio quel Guareschi querelato da De Gasperi, con la saga di Peppone e Don Camillo, dove il rivoluzionario anticonformista era il prete e il bigotto conservatore e baciapile era in realtà il baffone stalinista...



edit: quel compromesso storico che ha distrutto l'afflato rivoluzionario della mia generazione...
Inviato il: 13/11/2013 17:42
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