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  L'angolo della letteratura

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  •  FrancescaR
      FrancescaR
Re: L'angolo della letteratura
#31
Mi sento vacillare
Iscritto il: 15/10/2014
Da Colonia usa
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"... Così, essendo nato e vissuto nei ceppi, essendo l'erede di una lunga progenie di schiavi, l'uomo,
quando ha incominciato a pensare, ha creduto che la schiavitù fosse condizione essenziale della vita,
e la libertà gli è sembrata cosa impossibile.

In pari modo, il lavoratore, costretto per secoli e quindi abituato ad attendere il lavoro, cioè il pane,
dal buon volere del padrone, ed a vedere la sua vita continuamente alla mercé di chi possiede la terra
ed il capitale, ha finito col credere che sia il padrone che dà da mangiare a lui, e vi domanda ingenuamente come si potrebbe fare a vivere se non vi fossero i signori.

Così uno, il quale fin dalla nascita avesse avuto le gambe legate e pure avesse trovato modo di camminare alla men peggio, potrebbe attribuire la sua facoltà di muoversi precisamente a quei legami,
che invece non fanno che diminuire e paralizzare l'energia muscolare delle sue gambe.

Se poi agli effetti naturali dell'abitudine s'aggiunga l'educazione data dal padrone, dal prete, dal professore, ecc., i quali sono interessati a predicare che i signori ed il governo sono necessari; se si
aggiunga il giudice ed il birro, che si forzano di ridurre al silenzio chi pensasse diversamente e fosse
tentato a propagare il suo pensiero, si comprenderà come abbia messo radice, nel cervello poco coltivato
della massa laboriosa, il pregiudizio della utilità, della necessità del padrone e del governo.

Figuratevi che all'uomo dalle gambe legate, che abbiamo supposto, il medico esponesse tutta una teoria
e mille esempi abilmente inventati per persuaderlo che colle gambe sciolte egli non potrebbe né camminare, né vivere; quell'uomo difenderebbe rabbiosamente i suoi legami e considererebbe nemico
chi volesse spezzarglieli."



Errico Malatesta
_________________
Vai più veloce, Janine, ad aprire la porta - e nascondi i patín -
La nostalgia del Mocambo.
Inviato il: 2/1/2015 15:59
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  •  doktorenko
      doktorenko
Re: L'angolo della letteratura
#32
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 7/8/2009
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Socrate – Ho sentito narrare che a Naucrati d’Egitto dimorava uno dei vecchi dèi del paese, il dio a cui è sacro l’uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l’inventore dei numeri, del calcolo, della geometria e dell’astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell’alfabeto.

Re dell’intiero paese era a quel tempo Thamus, che abitava nella grande città dell’Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe egiziana e il cui dio è Ammone. Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani. Il re di ciascuna gli chiedeva quale utilità comportasse, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava negativo, lodava ciò che gli pareva dicesse bene.

Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth sia contro che a favore, ma sarebbe troppo lungo esporli. Quando giunsero all’alfabeto: “Questa scienza, o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani piú sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria”.

E il re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E cosí ora tu, per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto.

Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non piú dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente.

Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”.

Platone, Fedro
Inviato il: 6/1/2015 10:40
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#33
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 18/3/2011
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Seneca, estratto dal "De brevitate vitae"

"Soli tra tutti sono liberi da impegni coloro che si dedicano alla sapienza, loro soli vivono; né infatti gestiscono bene soltanto la loro età: ogni epoca aggiungono alla propria; tutti gli anni che sono trascorsi prima di loro, da loro sono acquisiti.
Se noi non siamo del tutto ingrati, quegli illustrissimi iniziatori di sacre opinioni sono nati per noi, a noi hanno preparato la vita. A cose bellissime estratte dalle tenebre alla luce siamo condotti da fatica altrui; da nessun'epoca c'è per noi interdizione, a tutte le epoche siamo ammessi e, se con la grandezza d'animo ci piace uscire dalle angustie dell'umana debolezza, c'è molto tempo attraverso il quale possiamo spaziare.
Si può discutere con Socrate, dubitare con Carneade, con Epicuro riposare, vincere con gli Stoici la natura dell'uomo, con i Cinici oltrepassarla.
Visto che la natura ci permette di inoltrarci nella coesistenza con ogni epoca, perché da questo esiguo e caduco passare del tempo non dovremmo concederci con tutto l'animo verso quelle cose che sono immense, che sono eterne, che sono comuni con persone migliori?
[...]
Non ci sarà nessuno di costoro che non avrà tempo, nessuno che non lascerà andare più felice, più affezionato a se stesso chi va da lui, nessuno permetterà che qualcuno si allontani da lui a mani vuote; di notte, di giorno possono essere incontrati da tutti i mortali.
Di costoro a morire nessuno ti costringerà, tutti ti insegneranno; di costoro nessuno calpesta i tuoi anni, (ma ciascuno) ti regala i suoi; di nessuno tra questi la conversazione sarà pericolosa, di nessuno l'amicizia (sarà) letale, di nessuno costosa l'attenzione.
Riceverai da loro qualsiasi cosa vorrai; da loro non dipenderà (il fatto) che tu non attinga quanto più desidererai.
Quale felicità, che bella vecchiaia attende colui che si è rifugiato nella clientela di costoro! Avrà coloro con i quali decidere su questioni minime e importantissime, chi consultare ogni giorno su se stesso, persone dalle quali ascoltare la verità senza offesa, essere lodato senza adulazione, alla cui similitudine plasmarsi."

(Seneca, De brevitate vitae, 9, XIV-XV)

Valete.
Inviato il: 16/1/2015 19:53
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  •  doktorenko
      doktorenko
Re: L'angolo della letteratura
#34
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 7/8/2009
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È da notare che accanto alla più superficiale infatuazione per le scienze, esiste in realtà la più grande ignoranza dei fatti e dei metodi scientifici, cose molto difficili e che sempre più diventano difficili per il progressivo specializzarsi di nuovi rami di ricerca. La superstizione scientifica porta con sé illusioni così ridicole e concezioni così infantili che la stessa superstizione religiosa ne viene nobilitata. Il progresso scientifico ha fatto nascere la credenza e l’aspettazione di un nuovo tipo di Messia, che realizzerà in questa terra il paese di Cuccagna; le forze della natura, senza nessun intervento della fatica umana, ma per opera di meccanismi sempre più perfezionati, daranno alla società in abbondanza tutto il necessario per soddisfare i suoi bisogni e vivere agiatamente. Contro questa infatuazione, i cui pericoli sono evidenti (la superstiziosa fede astratta nella forza taumaturgica dell’uomo, paradossalmente porta ad isterilire le basi stesse di questa stessa forza e a distruggere ogni amore al lavoro concreto e necessario, per fantasticare, come se si fosse fumato una nuova specie di oppio) bisogna combattere con vari mezzi, dei quali il più importante dovrebbe essere una migliore conoscenza delle nozioni scientifiche essenziali, divulgando la scienza per opera di scienziati e di studiosi seri e non più di giornalisti onnisapienti e di autodidatti presuntuosi. In realtà, poiché si aspetta troppo dalla scienza, la si concepisce come una superiore stregoneria, e perciò non si riesce a valutare realisticamente ciò che di concreto la scienza offre.

Antonio Gramsci
Inviato il: 18/1/2015 8:43
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  •  ohmygod
      ohmygod
Re: L'angolo della letteratura
#35
Sono certo di non sapere
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Fuck You.

Ehi
Inviato il: 18/1/2015 12:53
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  •  doktorenko
      doktorenko
Re: L'angolo della letteratura
#36
Dubito ormai di tutto
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Tutte aveano la vocca ammafarata,
E coll`uocchie ad Anea stevano attiente;
Isso dall`auta chelleta 'nnaurata
Acommenzaje la storia, e li lamiente;
Vuoje, che mme se renova la stoccata,
O Regina, a sto core, e li tormiente,
Contannote lo ccomme assassenaro
Troja li Griece, e la sparafonnaro.

Veddero st`uocchie ssi gran fracassune;
E la parte cchiù grossa a mme toccaje
Li Dolope, e li stisse Mermedune
Chiagnarriano a la storia de sti guaje.
Lo stisso Aulisse capo de`mbrogliune,
Che maje piatate lo tetellecaje,
Sentenno tale, e tanta accesione,
De lagreme farria no lavarone.

Otra, che già la notte è meza juta,
E stà ll uocchio de suonno appapagnato;
Ma già che ll arma ve sta `ncannaruta
De sentire sto cunto accossì `ngrato,
E li malanne nuoste, e la caduta
De Troja nosta, e d`Ilio sfortonato,
Mo te le cconto tutte sti fracasse,
Si bè, ca pe la doglia io nne crepasse.

Conzumate dall`anne, e da lo sdigno
De li Fate li Griece a chella guerra,
No gran cavallo fecero de ligno,
Fravecato co ll`ascia, e co la serra.
Pallade tenne mano a lo designo,
E no monte parea `n coppa a la terra:
E sparzero po voce, ch`era vuto:
Vuto, che fu de Troja lo tavuto.

De la cchiù brava gente se cacciaje
Da la vusciola a sciorte no squatrone:
E ll`uno appriesso all`autro se `nforchiaje
De lo Cavallo dinto a lo panzone.
`Ntra chella grotta ogn`uno s`agguattaje,
Pe aspettare accossì l`accasione.
Oh Dio, che a tutte chella panza ascura
Le fosse addeventata sebetura!

Faccefronte de Troja se trovava
N`Isola assaje famosa pe lo munno,
Quanno Priamo a lo Regno dommenava;
Tenedo è chessa, ed era ricca a ffunno.
Tutta la grolia, che la `ncoronava,
Jeze co Troja nosta a sparafunno:
Tanno avea puorto p`ogne granne armata:
Va`mò, ca nc`è na cufece salata!

Li Griece, che credeamo sbagottute,
Co l`armata da nuje se l`affuffaro,
Ma, fatta notte, li guitte cornute
Annascuse a chell`Isola restaro:
Nuje piezze de cetrule `nsemmentute
Già le credeamo `nGrecia; e a ghiuorno chiara
P`ogne chiazza, ogne casa a l`allegrezza
Troja allentaje la vriglia, e la capezza,

Eccote a pporte aperte a miliune
Tutta la gente fora la muraglia;
E a bedere correa li pavegliune,
Che abbannonate avea chella canaglia.
Ccà stea Aulisse capo de `mbrogliune;
Da llà traseva Achille a la vattaglia,
Lià stea l`armata, e ccà sera, e matina
Se commatteva, e se facea tonnina.

A lo vuto `mmarditto, e a la tremenna
Machena de Menerva s`affollaro,
Dicenno, potta d`oje, che cosa orrenna!
Bello vuto! appennimmolo a n`autaro;
E Tremerzio volea, che la facenna
Trasesse a Troja, e ll`avea fuorze a ccaro,
Pe n`ce tradire chillo cane boja,
O la sciorte accossì bolea de Troja.

Marramau`, disse Capio, e cchiù de ciento
Sapie comm`isso; affe` non me nce cuoglie.
Derrupatelo a mmare sto presiento
Vrusciatelo: si nò piezze de nnoglie!
Spertosammo ssa panza, e ghiuramiento
Ve faccio mò, ca scoprarrimmo `mbroglie.
Chi disse sì, chi nò lo popolazzo;
E chi disse de nò fuje no gran pazzo.

Corre Leconte da lo gran castiello
Da catervia de ggente accompagnato;
E, rutto a sbottorune lo rotiello,
Auzaje la voce comme speretato:
Eilà che avite perzo lo cerviello?
Che Diaschece `n capo v`è saotato?
Sò frabutte li Griece, sò `mbrogliune,
Mostano coppe e danno po vastune.

Site `mpazzute nè? che ve credite?
Che li Griece se siano allontanate?
Duono de Griece? gnaffe! e non sapite
Quanta trappole Aulisse ha congegnate?
O ccà dinto nce sò (lo bedarrite)
Cchiù de treciento Griece ammasonate;
O pe accoppare Troja a quacche assauto
Hanno fatto sto chilleto tant`auto.

Besogna che nce sia ccà quacche `mbroglia:
Credere, che sia vuto, io mme ne rido.
Ma, bene mio, sia chello che se voglia,
E duono de li Griece? io no mme fido.
Lo trademiento che ccà s`arravoglia,
Scoprirlo co sta lanza mme confido:
E, cossi` ditto, ttaffete a la panza
Co tutta forza, sbalanzaje la lanza.

Tutta l`orrenna machena a la botta,
(Tanto tremenna fo) se freccecaje,
Comme truono se `ntese into a la grotta
De lo panzone che nne rebbommaje:
sta trappola affe` se sarria rotta
Ma lo jodizio a tutte nce levaje
La mala sciorte, ca si nò starrisse;
Troja mia bella, `npede, e regnarrisse.

L'Eneide di Virgilio Marone trasportato in ottava rima napoletana, Canto II.
Inviato il: 19/1/2015 14:12
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  •  doktorenko
      doktorenko
Re: L'angolo della letteratura
#37
Dubito ormai di tutto
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SUL MONTE DEGLI OLIVI

L'inverno, tristo ospite, abita nella mia casa, le mie mani sono livide a causa delle sue amichevoli strette di mano. Io lo onoro, questo triste ospite, ma ben volentieri lo lascio solo. Volentieri io gli sfuggo: e, se si corre bene, gli si sfugge! Con caldi piedi e caldi pensieri io fuggo là, dove non giunge il vento, verso l'angolo solatìo del mio oliveto. Là rido del mio rigido ospite e gli sono anche grato, perché a casa mi distrugge le mosche e fa tacere tanti piccoli rumori. Non sopporta che una mosca ronzi, peggio se due; fa solitarie le strade, tanto che persino il chiaro di luna ha paura di entrarvi.

È un duro ospite, ma io lo onoro, e non prego, come gli effeminati, il panciuto idolo del fuoco. Preferisco battere ancora un po' i denti, piuttosto che pregare un idolo! Così vuole il mio carattere. E in particolar modo io sono contrario a tutti gli ardenti, fumanti, tetri idoli del fuoco.

Colui che amo; io lo amo più d'inverno che d'estate; più beffardamente e più coraggiosamente io derido i miei nemici, ora che l'inverno sta in casa mia. Proprio con coraggio, persino quando io vado quatto quatto a letto: anche allora la mia felicità nascosta ride e fa baldoria, e ride anche il mio sogno bugiardo. Io un basso adulatore? Mai in vita mia ho strisciato davanti ai potenti; e se ho mentito, ho mentito per amore. Perciò sono allegro anche nel mio letto invernale. Un simile letto mi riscalda meglio di uno ricco, poiché io sono geloso della mia povertà. E nell'inverno questa mi è più fedele che mai.

Inizio ogni giorno con una malignità; beffeggio l'inverno con un bagno freddo: e il mio rigido amico di casa brontola. Mi piace anche solleticarlo con un candelotto di cera: perché infine lasci uscire il cielo fuori dal grigio crepuscolo. Io sono particolarmente maligno proprio al mattino: nell'ora mattutina, quando il secchio stride nel pozzo e i cavalli nitriscono con calore per le grigie strade. Impaziente attendo che il luminoso cielo infine si discopra, il cielo invernale dalla candida barba, il vecchio dalla testa bianca... il cielo invernale, il taciturno, che spesso tiene segreto anche il suo sole! Ho forse imparato da lui i lunghi luminosi silenzi? O lui, li ha imparati da me? O ognuno di noi se li è inventati da sé?

L'origine di tutte le cose buone è molteplice; tutte le cose buone e coraggiose balzano per gioia alla ribalta della vita: come potrebbero farlo una volta sola! Anche un lungo silenzio è una cosa buona e coraggiosa, e come il cielo invernale guardare da volti luminosi e chiari occhi tondi: come lui nascondere il proprio sole e la propria inflessibile volontà solare. In realtà, io ho bene appreso quest'arte e questo coraggio invernale! La mia più cara malizia e arte è questa, che il mio silenzio ha imparato a non tradirsi con il silenzio. Con un tintinnio di parole e di dadi io vinco d'astuzia quelli che mi attendono al varco solennemente: a tutte queste rigide spie sono costretti a sfuggire la mia volontà e il mio fine. Perché nessuno possa vedere nel fondo della mia anima e nella mia suprema volontà, ho inventato il mio lungo luminoso silenzio.

Ho incontrato più di un prudente: che velava il suo volto e intorbidiva la sua acqua, perché nessuno lo vedesse dentro. Ma proprio a lui si attaccarono i più scaltri e diffidenti e gli schiacciatori di noci: proprio da lui cavarono fuori il suo più falso pesce! Ma i limpidi, i coraggiosi, i trasparenti, sono per me i più scaltri taciturni: così profondo è il loro fondo che anche l'acqua più limpida non lo tradisce.

O tu, silenzioso cielo invernale dalla barba bianca, tu, testa bianca dagli occhi tondi che mi stai guardando! O celeste immagine della mia anima e della sua temerarietà! Non dovrò nascondermi, come uno che ha inghiottito l'oro, affinché non mi si squarci l'anima? Non dovrò camminare sui trampoli, perché non si accorgano delle mie lunghe gambe, tutti questi invidiosi e piagnucoloni che mi stanno intorno? Queste anime affumicate, calducce, logore, ammuffite, inasprite; come potrebbe la loro invidia sopportare la mia felicità! Così io mostro loro soltanto il ghiaccio e l'inverno delle mie vette; e non come il mio monte si cinge ancora di tanto sole! Essi odono fischiare soltanto le mie bufere invernali: e non si accorgono che io navigo anche su caldi mari, come i nostalgici, grevi, caldi venti del sud.

Hanno pietà delle mie disgrazie e del mio destino: ma la mia parola suona: 'Lasciate il destino venire a me: esso è innocente come un bambino!' Come potrebbero sopportare la mia felicità, se io non circondassi la mia felicità di disgrazie e di travagli invernali e di cappucci di pelle d'orso e di veli di nevosi cieli? ...se io stesso non avessi pietà della loro compassione: della compassione di questi invidiosi e piagnucoloni! se davanti a loro non gemessi e battessi i denti per il freddo, e non mi lasciassi pazientemente avvolgere nella loro compassione! In ciò sta il saggio coraggio e la benevolenza della mia anima, che essa non nasconde il suo inverno e le sue bufere di gelo; e neppure i suoi geloni.

Per uno la solitudine è fuga di malato; per l'altro è fuga dagli ammalati. Mi ascoltino pure gemere e battere i denti per il freddo dell'inverno, tutti questi miseri invidiosi furfanti che stanno intorno a me! Con questi gemiti e brividi sfuggo alle loro stanze riscaldate. Mi compatiscano e sospirino pure per i miei geloni: 'Nel ghiaccio della conoscenza morrà assiderato!' dicono.

Intanto io cammino in lungo e in largo, con i piedi caldi, sul mio monte degli olivi: nell'angolo solatìo del mio oliveto, io canto e mi beffo di ogni compassione.

Così cantò Zarathustra.

Friedrich Nietzsche
Inviato il: 21/1/2015 17:12
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  •  ivan
      ivan
Re: L'angolo della letteratura
#38
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 22/7/2004
Da Bronx
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Giornata della Memoria, i cinque libri per non dimenticare
di Amleto de Silva

Il bello di scrivere di libri è che hai a che fare, se sai scegliere, ovviamente, con le cose belle. E la cosa bella delle cose belle è che sono incontrovertibili: hai voglia a dire e hai voglia a fare, una cosa bella non la puoi spiattellare là urlando in un qualche talk show becero, non la puoi usare per argomentare qualsiasi fesseria ti venga in mente; non la puoi piegare a uso e consumo di una parte politica, perché contiene in sé qualcosa che non ha appartenenza se non umana. Per questo, in occasione del Giorno della Memoria, scrivo queste due righe e poi lascio parlare chi ha titolo e bravura per farlo. Cinque libri imprescindibili, punto e basta.

1) Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini. "Guardavo in giro ad uno ad uno zii e cugini, gran parte dei quali di lì a qualche anno sarebbero stati inghiottiti dai forni crematori tedeschi, e certo non lo immaginavano che sarebbero finiti così, né io stesso lo immaginavo, ma ciò nondimeno già allora, quella sera, anche se li vedevo tanto insignificanti nei loro poveri visi sormontati dai cappellucci borghesi o incorniciati dalle borghesi permanenti, anche se li sapevo tanto ottusi di mente, tanto disadatti a valutare la reale portata dell'oggi e a leggere nel domani, già allora mi apparivano avvolti della stessa aura di misteriosa fatalità statuaria che li avvolge adesso, nella memoria".

2) Fred Uhlman, L'amico ritrovato. "Mio padre detestava il sionismo, che giudicava pura follia. La pretesa di riprendersi la Palestina dopo duemila anni gli sembrava altrettanto insensata che se gli italiani avessero accampato dei diritti sulla Germania perché un tempo era stata occupata dai romani. Era un proposito che avrebbe provocato solo immani spargimenti di sangue, perché gli ebrei si sarebbero scontrati con tutto il mondo arabo. E comunque cosa c'entrava lui, che era nato e vissuto a Stoccarda, con Gerusalemme?
Quando il sionista accennò ad Hitler, chiedendogli se il nazismo non gli facesse paura, mio padre rispose: «Per niente. Conosco la mia Germania. Non è che una malattia passeggera, qualcosa di simile al morbillo, che passerà non appena la situazione economica accennerà a migliorare. Lei crede sul serio che i compatrioti di Goethe e di Schiller, di Kant e di Beethoven si lasceranno abbindolare da queste sciocchezze? Come osa offendere la memoria dei dodicimila ebrei che hanno dato la vita per questo paese? Für unsere Heimat?".

3) Hannah Arendt, La banalità del male. "Eichmann era convintissimo di non essere un "innerer Schweinchund", cioè di non essere nel fondo dell'anima un individuo sordido e indegno; e quanto alla consapevolezza, disse che sicuramente non si sarebbe sentito la coscienza a posto se non avesse fatto ciò che gli veniva ordinato - trasportare milioni di uomini, donne e bambini verso la morte - con grande zelo e cronometrica precisione. Queste affermazioni lasciavano certo sbigottiti. Ma una mezza dozzina di psichiatri lo aveva dichiarato«normale,» e uno di questi, si dice, aveva esclamato addirittura: «Più normale di quello che sono io dopo che l'ho visitato,» mentre un altro aveva trovato che tutta la sua psicologia, tutto il suo atteggiamento verso la moglie e i figli, verso la madre, il padre, i fratelli, le sorelle e gli amici era «non solo normale, ma ideale»".

4) Primo Levi, Se questo è un uomo. "La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è una proprietà della sostanza umana. Gli uomini liberi dànno a questo scopo molti nomi, e sulla sua natura molto pensano e discutono: ma per noi la questione è piú semplice. Oggi e qui, il nostro scopo è di arrivare a primavera".

5) Anna Frank, Diario. "Una voce singhiozza entro di me: "Vedi a che ti sei ridotta: cattive opinioni, visi beffardi e costernati, gente che ti trova antipatica, e tutto perché non hai dato ascolto ai buoni consigli della tua buona metà". Ahimè, vorrei ben ascoltarla, ma non va; se sto tranquilla e seria, tutti pensano che è una nuova commedia, e allora bisogna pur che mi salvi con uno scherzetto; per tacere della mia famiglia che subito pensa che io sia ammalata, mi fa ingoiare pillole per il mal di testa e tavolette per i nervi, mi tasta il collo e la fronte per sentire se ho febbre, si informa delle mie evacuazioni e critica il mio cattivo umore. Non lo sopporto; quando si occupano di me in questo modo, divento prima impertinente, poi triste e infine rovescio un'altra volta il mio cuore, volgendo in fuori il lato cattivo, in dentro il lato buono, e cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se... se non ci fossero altri uomini al mondo.
La tua Anna".

Ecco, mentre Anna Frank si preoccupava delle meravigliose quanto drammatiche inezie dell'adolescenza, gli altri uomini al mondo, in uniformi naziste, rastrellavano il quartiere. La troveranno tre giorni dopo.

Anna scompare a Bergen Belsen pochi giorni prima della liberazione dell'Olanda.

_________________
The undeserving maintain power by promoting hysteria F. Herbert

You don't need to take drugs to hallucinate: improper language can fill your world with phantoms and spooks of many kinds R. A. Wilson

La verità raramente è pura e non è mai semplice
Inviato il: 27/1/2015 8:19
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  •  doktorenko
      doktorenko
Re: L'angolo della letteratura
#39
Dubito ormai di tutto
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Premessa:
Ho chiamato i tre mondi semplicemente col nome di Mondo 1, Mondo 2 e Mondo 3, proprio per evitare che si attribuisse loro una misteriosa profondità. Questo libro, ad esempio, in quanto oggetto fisico appartiene al Mondo 1. Il libro è stato scritto da me ed io so quanto pensiero vi è condensato. Il pensiero è qualcosa che accade senza essere necessariamente accompagnato da un movimento esterno. Posso pensare mentre giaccio immobile nel letto, mentre passeggio lungo una strada o faccio ginnastica. Basta sapere che in generale si chiama "pensiero" anche ciò che ci passa tristemente per la testa quando abbiamo mal di denti oppure la paura. Queste cose le chiameremo Mondo 2, senza per ora porre la questione dell'esistenza degli "oggetti" che lo compongono. Alcuni, infatti, la negano, sostenendo che esistono solamente oggetti fisici - libri, denti, cervelli ecc.-, ma non i sentimenti. Tuttavia vi sono altri che parlano liberamente di sentimenti, pensieri e cose del genere; in verità, ciascuno di noi ha un'idea abbastanza chiara di tutto ciò. Potremmo dunque dire che il Mondo 2 è il mondo dell'esperienza soggettiva, ammesso che esista.

A questi primi due mondi si aggiunge il Mondo 3; che cosa sia però è più difficile spiegarlo. Questo libro contiene delle pagine stampate, che rappresentano il Mondo 1. Ma in queste pagine vengono espresse certe idee, che le pagine comunicano in forma comprensibile. È una strana situazione: da una parte ci sono i libri, oggetti stampati e dall'altra il linguaggio, parlato e stampato. Queste cose hanno in comune le idee che esprimono: c'è dunque qualcosa che può essere tradotto in un'altra lingua e dovrà trattarsi di qualcosa di "invariante". Questa stranissima cosa è ciò che io chiamo il Mondo 3.

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Che aspetto ha il mondo 3 da un punto di vista materialistico? Ovviamente, la semplice esistenza di aereoplani, aereoporti, biciclette, libri, edifici, automobili, calcolatori, grammofoni, conferenze, manoscritti, pitture, sculture e telefoni non presenta alcun problema per qualsiasi forma di fisicalismo o di materialismo. Mentre per il pluralista queste sono le esemplificazioni materiali, le incarnazioni degli oggetti del mondo 3, per il materialista sono semplicemente parti del mondo 1.

Ma che dite delle relazioni logiche oggettive che si stabiliscono tra le teorie (siano esse scritte o meno), quali l'incompatibilità, la deducibilità reciproca, la sovrapposizione parziale, ecc.? Il materialista radicale sostituisce gli oggetti del mondo 2 (esperienze soggettive) con i processi cerebrali. Tra questi una particolare importanza hanno le disposizioni al comportamento verbale: le disposizioni ad assentire o a respingere, a convalidare o a confutare, o semplicemente a prendere in considerazione – a calcolare i pro e i contro. Come la maggior parte di coloro che accettano gli oggetti del mondo 2 (i “mentalisti”), di solito i materialisti interpretano i contenuti del mondo 3 come se fossero “idee nelle nostre menti”: i materialisti radicali però cercano di fare un passo avanti e di interpretare “le idee nelle nostre menti” – e quindi anche gli oggetti del mondo 3 – come disposizioni al comportamento verbale aventi una base nel funzionamento del cervello.

Eppure né il mentalista né il materialista riescono in questo modo a rende giustizia agli oggetti del mondo 3, specialmente ai contenuti delle teorie e alle loro relazioni logiche oggettive.

Gli oggetti del mondo 3 non sono soltanto “idee nelle nostre menti” né sono disposizioni dei nostri cervelli al comportamento verbale. Né ci è di qualche aiuto l'aggiungere a queste disposizioni le incarnazioni del mondo 3, come accennavamo nel primo capoverso di questo paragrafo, perché nulla di tutto ciò sa far fronte adeguatamente al carattere astratto degli oggetti del mondo 3 e specialmente alle relazioni logiche esistenti tra loro.

Per fare un esempio, l’opera di Frege Grundgesetze era già scritta, e in parte stampata, quando in base ad una lettera scrittagli da Bertrand Russell egli dedusse che nei suoi fondamenti era implicita un'autocontraddizione. Questa autocontraddizione era esistita, oggettivamente, per anni e Frege non l'aveva notata: non era stata “nella sua mente”. Soltanto Russell rilevò il problema (a proposito di un manoscritto completamente diverso) in un momento in cui Frege aveva già finito di redigere il suo manoscritto. Per anni quindi è esistita una teoria di Frege (ed una analoga, piú recente, di Russell) che era oggettivamente incoerente senza che nessuno avesse sentore di questo fatto, ovvero senza che un dato stato cerebrale disponesse nessuno a convenire con il suggerimento “Questo manoscritto contiene una teoria incoerente”.

Riepilogando, gli oggetti del mondo 3 nonché le loro proprietà e le loro relazioni non si possono ridurre ad oggetti del mondo 2. Né si possono ridurre a stati o a disposizioni cerebrali, neanche se dovessimo ammettere che tutti gli stati e i processi mentali possono essere ridotti a stati e processi cerebrali. È cosí nonostante il fatto che possiamo considerare il mondo 3 come il prodotto delle menti umane.

Russell non inventò né produsse l'incoerenza, ma la scoprí. (Egli inventò o produsse un modo di dimostrare o di provare che c'era l'incoerenza). Qualora la sua teoria non fosse stata oggettivamente incoerente, Frege non vi avrebbe potuto applicare la dimostrazione russelliana dell'incoerenza, per cui non si sarebbe convinto della sua insostenibilità. Pertanto, uno stato della mente di Frege (e senza dubbio anche uno stato del cervello di Frege) fu, in parte, il risultato del fatto oggettivo che questa teoria era incoerente: la scoperta di questo fatto lo turbò e lo sconvolse profondamente. Ciò, a sua volta, lo spinse a scrivere (un evento del mondo 1 fisico) le parole “Die Arithmetik ist ins Schwanken geraten” (L'aritmetica incomincia a vacillare). C'è quindi un'interazione tra: a) l'evento fisico, o parzialmente fisico, del ricevere Frege la lettera di Russell; b) il fatto oggettivo, fino ad allora non evidenziato e appartenente al mondo 3, che nella teoria di Frege c'era un'incoerenza; c) l'evento fisico, o parzialmente fisico, dello scrivere Frege il suo commento sullo status (mondo 3) dell'aritmetica.

Queste sono alcune delle ragioni per cui sostengo che il Mondo 1 non è chiuso sul piano causale ed asserisco che c'è un'interazione (seppure indiretta) tra mondo 1 e mondo 3. Mi sembra chiaro che questa interazione sia mediata da eventi mentali, e in parte anche coscienti, del mondo 2.

Naturalmente il fisicalista non può ammettere nulla di tutto ciò.

K. R. Popper, L’io e il suo cervello
Inviato il: 7/2/2015 14:30
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  •  polaris
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Re: L'angolo della letteratura
#40
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L'uccello in chiesa di Trilussa

Era d'Agosto e il povero uccelletto
Ferito dallo sparo di un moschetto
Andò per riparare l'ala offesa,
a finire all'interno di una chiesa.

Dalla tendina del confessionale
Il parroco intravvide l'animale
Mentre i fedeli stavano a sedere
Recitando sommessi le preghiere.

Una donna che vide l'uccelletto
Lo prese e se lo mise dentro il petto.
Ad un tratto si sentì un pigolio
Pio pio, pio pio, pio pio.

Qualcuno rise a sto cantar d'uccelli
E il parroco, seccato urlò: "Fratelli!
Chi ha l'uccello mi faccia il favore
Di lasciare la casa del Signore!"

I maschi un po' sorpresi a tal parole
Lenti e perplessi alzarono le suole,
ma il parroco lasciò il confessionale
e: "Fermi - disse - mi sono espresso male!

Tornate indietro e statemi a sentire,
solo chi ha preso l'uccello deve uscire!"
a testa bassa e la corona in mano,
le donne tutte usciron pian piano.

Ma mentre andavan fuori gridò il prete:
"Ma dove andate, stolte che voi siete!
Restate qui, che ognuno ascolti e sieda,
io mi rivolgo a chi l'ha preso in chiesa!"

Ubbidienti in quello stesso istante
le monache si alzarono tutte quante
e con il volto invaso dal rossore
lasciarono la casa del Signore.

"Per tutti i santi - gridò il prete -
sorelle rientrate e state quiete.
Convien finire, fratelli peccatori,
l'equivoco e la serie degli errori:
esca solo chi è così villano
da stare in chiesa con l'uccello in mano.

Ben celata in un angolo appartato
Una ragazza col suo fidanzato,
in una cappelletta laterale,
ci mancò poco si sentisse male

e con il volto di un pallore smorto
disse: "Che ti dicevo? Se n'è accorto!"



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Che epoca terribile quella in cui degli idioti governano dei ciechi.. - Shakespeare
Inviato il: 8/2/2015 2:01
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  •  Merio
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Re: L'angolo della letteratura
#41
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è bellissima.

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Ezra Pound
Inviato il: 8/2/2015 12:19
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  •  ohmygod
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Re: L'angolo della letteratura
#42
Sono certo di non sapere
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ma c'osè c'osà c'osò cos'ì.
inserisci il testo nella casella di testa
apodittico fu, Fuck You.

Ehi
Inviato il: 8/2/2015 12:55
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  •  doktorenko
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Re: L'angolo della letteratura
#43
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ABIURA DALLA TRILOGIA DELLA VITA
Pier Paolo Pasolini

-I-

Io penso che, prima, non si debba mai, in nessun caso, temere la strumentalizzazione da parte del potere e della sua cultura. Bisogna comportarsi come se questa eventualità pericolosa non esistesse. Ciò che conta è anzitutto la sincerità e la necessità di ciò che si deve dire. Non bisogna tradirla in nessun modo, e tanto meno tacendo diplomaticamente, per partito preso.

Ma penso anche che, dopo, bisogna saper rendersi conto di quanto si è stati strumentalizzati, eventualmente, dal potere integrante. E allora se la propria sincerità o necessità sono state asservite e manipolate, io penso che si debba avere addirittura il coraggio di abiurarvi.

Io abiuro dalla Trilogia della vita, benché non mi penta di averla fatta. Non posso infatti negare la sincerità e la necessità che mi hanno spinto alla rappresentazione dei corpi e del loro simbolo culminante, il sesso. Tale sincerità e necessità hanno diverse giustificazioni storiche e ideologiche.

Prima di tutto esse si inseriscono in quella lotta per la democratizzazione del "diritto a esprimersi" e per la liberalizzazione sessuale, che erano due momenti fondamentali della tensione progressista degli anni cinquanta e sessanta.

In secondo luogo, nella prima fase della crisi culturale e antropologica cominciata verso la fine degli Anni Sessanta - in cui cominciava a trionfare l' irrealtà della sottocultura dei "mass media" e quindi della comunicazione di massa - l' ultimo baluardo della realtà parevano essere gli "innocenti" corpi con l' arcaica, fosca, vitale violenza dei loro organi sessuali.

Infine, la rappresentazione dell' eros, visto in un ambito umano appena superato dalla storia, ma ancora fisicamente presente (a Napoli, nel Medio Oriente) era qualcosa che affascinava me personalmente, in quanto singolo autore e uomo.

Ora tutto si è rovesciato.

Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza.

Secondo: anche la "realtà" dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana.

Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida delusione, informe accidia.

-II-

Però, a coloro che criticavano, dispiaciuti o sprezzanti, la Trilogia della vita, non venga in mente di pensare che la mia abiura conduca ai loro "doveri".

La mia abiura conduce a qualcos' altro. Ho il terrore di dirlo: e cerco, prima di dirlo, com' è mio reale "dovere", degli elementi ritardanti. Che sono:

a) L' intrasgredibile dato di fatto che, se anche volessi continuare a fare film come quelli della Trilogia della vita, non lo potrei: perché ormai odio i corpi e gli organi sessuali. Naturalmente parlo di questi corpi, di questi organi sessuali. Cioè dei corpi dei nuovi giovani e ragazzi italiani, degli organi sessuali dei nuovi giovani e ragazzi italiani. Mi si obietterà: "Tu per la verità non rappresentavi nella Trilogia corpi e organi sessuali contemporanei, bensì quelli del passato". È vero: ma per qualche anno mi è stato possibile illudermi. Il presente degenerante era compensato sia dalla oggettiva sopravvivenza del passato che, di conseguenza, dalla possibilità di rievocarlo. Ma oggi la degenerazione dei corpi e dei sessi ha assunto valore retroattivo. Se coloro che allora erano così e così, hanno potuto diventare ora così e così, vuol dire che lo erano già potenzialmente: quindi anche il loro modo di essere di allora è, dal presente, svalutato. I giovani e i ragazzi del sottoproletariato romano - che son poi quelli che io ho proiettato nella vecchia e resistente Napoli, e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo - se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano: erano quindi degli imbecilli costretti a essere adorabili, degli squallidi criminali costretti a essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti, ecc. ecc. Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La vita è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine.

b) I miei critici, addolorati o sprezzanti, mentre tutto questo succedeva, avevano dei cretini "doveri", come dicevo, da continuare a imporre: erano "doveri" vertenti la lotta per il progresso, il miglioramento, la liberalizzazione, la tolleranza, il collettivismo, ecc. ecc. Non si sono accorti che la degenerazione è avvenuta proprio attraverso una falsificazione dei loro valori. Ed ora essi hanno l' aria di essere soddisfatti! Di trovare che la società italiana è indubbiamente migliorata, cioè è divenuta più democratica, più tollerante, più moderna ecc. Non si accorgono della valanga di delitti che sommerge l' Italia: relegano questo fenomeno nella cronaca e ne rimuovono ogni valore. Non si accorgono che non c' è alcuna soluzione di continuità tra coloro che sono tecnicamente criminali e coloro che non lo sono: e che il modello di insolenza, disumanità, spietatezza è identico per l' intera massa dei giovani. Non si accorgono che in Italia c' è addirittura il coprifuoco, che la notte è deserta e sinistra come nei più neri secoli del passato: ma questo non lo sperimentano, se ne stanno in casa (magari a gratificare di modernità la propria coscienza con l' aiuto della televisione). Non si accorgono che la televisione, e forse ancora peggio la scuola d' obbligo, hanno degradato tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie: ma considerano ciò una spiacevole congiuntura, che certamente si risolverà - quasi che un mutamento antropologico fosse reversibile. Non si accorgono che la liberalizzazione sessuale anziché dare leggerezza e felicità ai giovani e ai ragazzi, li ha resi infelici, chiusi, e di conseguenza stupidamente presuntuosi e aggressivi: ma di ciò addirittura non vogliono occuparsene, perché non gliene importa niente dei giovani e dei ragazzi.

c) Fuori dall' Italia, nei paesi "sviluppati" - specialmente in Francia - ormai i giochi sono fatti da un pezzo. È un pezzo che il popolo antropologicamente non esiste più. Per i borghesi francesi, il popolo è costituito dai marocchini o dai greci, dai portoghesi o dai tunisini. I quali, poveretti, non hanno altro da fare che assumere al più presto il comportamento dei borghesi francesi. E questo lo pensano sia gli intellettuali di destra che gli intellettuali di sinistra, allo stesso identico modo.

-III-

Insomma, è ora di affrontare il problema: a cosa mi conduce l' abiura alla "Trilogia"?

Mi conduce all' adattamento.

Sto scrivendo queste pagine il 15 Giugno 1975, giorno di elezioni. So che se anche, com' e molto probabile - si avrà una vittoria delle sinistre, altro sarà il valore nominale del voto, altro il suo valore reale. Il primo dimostrerà una unificazione dell' Italia modernizzata in senso positivo; il secondo dimostrerà che l' Italia - al di fuori naturalmente dei tradizionali comunisti - e nel suo insieme ormai un paese spoliticizzato, un corpo morto i cui riflessi non sono che meccanici. L' Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione, da cui cerca di liberarsi solo nominalmente. Tout va bien: non ci sono nel paese masse di giovani criminaloidi, o nevrotici, o conformisti fino alla follia e alla più totale intolleranza, le notti sono sicure e serene, meravigliosamente mediterranee, i rapimenti, le rapine, le esecuzioni capitali, i milioni di scippi e di furti riguardano la pagina di cronaca dei giornali, ecc. ecc. Tutti si sono adattati o attraverso il non voler accorgersi di niente o attraverso la più inerte sdrammatizzazione.

Ma devo ammettere che anche l' essersi accorti o l' aver drammatizzato non preserva affatto dall' adattamento o dall' accettazione. Dunque io mi sto adattando alla degradazione e sto accettando l' inaccettabile. Manovro per risistemare la mia vita. Sto dimenticando com' erano prima le cose. Le amate facce di ieri cominciano a ingiallire. Mi è davanti - pian piano senza più alternative - il presente. Riadatto il mio impegno ad una maggiore leggibilità (Salò?).
Inviato il: 11/2/2015 22:30
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  •  ohmygod
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Re: L'angolo della letteratura
#44
Sono certo di non sapere
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è imperfetto
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  •  TheNecrons
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Re: L'angolo della letteratura
#45
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"La differenza" di Guido Gozzano

Penso e ripenso:-Che mai pensa l'oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.

Salta starnazza si rituffa gioca:
né certo sogna d'essere mortale
né certo sogna il prossimo Natale
né l'armi corruscanti della cuoca.

-O pàpera, mia candida sorella,
tu insegni che la Morte non esiste:
solo si muore da che s'è pensato.

Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Ché l'esser cucinato non è triste,
triste è il pensare d'esser cucinato.
Inviato il: 19/2/2015 22:06
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  •  Calvero
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Re: L'angolo della letteratura
#46
Sono certo di non sapere
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_______

Approfitto della cultura e del Sapere che aleggia soave all'interno di questo Topic per chieder lumi, a chi se ne intende, a riguardo della lingua italiana:

Il problema è questo:

Premessa:

In un racconto scritto in prima persona, usando il tempo verbale al passato, io so che se voglio, posso a sua volta raccontare di un qualcosa che da lì in poi - comunque avvenne e che, rispetto al punto di vista dell'autore (e anche del lettore) riguarda ugualmente il passato ...

... ci siamo? (spero di sì)

Or dunque:

Se io scrivo e racconto di una passeggiata che feci e - in quel posto - nei giorni che verranno scriverò una poesia, come la risolvo con i tempi verbali?

Ad esempio - ipotesi di frase incriminata, questa (facendo finta la stiate leggendo da un libro):

"Io passeggiavo in quel bosco, lì dove un giorno avrei scritto la poesia più bella per mio nonno"


1) Quindi, usando il verbo - "avrei" - sto usando un tempo corretto?

2) Oppure sono costretto a formulare così: ".... lì dove scriverò?
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Inviato il: 20/2/2015 13:13
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  •  abbidubbi
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Re: L'angolo della letteratura
#47
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condizionale passato di scrivere ("avrei" è l'ausiliare, il verbo che vuoi usare è scrivere)

guarda qui
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  •  Merio
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Re: L'angolo della letteratura
#48
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Direi che "avrei" va bene.
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Inviato il: 20/2/2015 14:02
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  •  ohmygod
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Re: L'angolo della letteratura
#49
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Calvero
"Io passeggiavo in quel bosco, lì dove un giorno avrei scritto la poesia più bella per mio nonno"
1) Quindi, usando il verbo - "avrei" - sto usando un tempo corretto?
2) Oppure sono costretto a formulare così: ".... lì dove scriverò?

LOL

scrittura coniugo il verbo a modo mio.

ritengo che, in qualche modo, bisognerebbe scindere le due passeggiate.
il primo passeggia in compagnia di passi in divenire
il secondo fa lo stesso in compagnia di passi che diverranno.

in entrambi la stessa certezza, la stessa risoluzione proiettata nel mantenimento del divenire, del diverranno.
Inviato il: 20/2/2015 14:26
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  •  Calvero
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Re: L'angolo della letteratura
#50
Sono certo di non sapere
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Citazione:

abbidubbi ha scritto:
condizionale passato di scrivere ("avrei" è l'ausiliare, il verbo che vuoi usare è scrivere)

guarda qui


Grazie Abbidubbi, a questo avevo e ho pensato per bene. Il problema è insito nella difficoltà (per me) di dare un senso di "possedere" all'atto specifico, cioè ---> nell'averlo compiuto.

Tu che ne sai certo più di me, puoi aiutarmi.

Quindi ricapitolando.

La situazione è questa:

Il protagonista del racconto è presente in un luogo ove successivamente vi tornerà per scrivere qualcosa (poiché ispirato da quel luogo), nello specifico, una poesia al nonno;

- NEL racconto, il protagonista non lo sa ancora che lo farà; l'autore che lo racconta invece lo sa. Quindi cosa succede? Succede che l'autore ricorda/menziona sia l'avvenimento di quella prima passeggiata, sia il fatto che il protagonista - in quel luogo - vi tornerà in epoca successiva per scrivere una poesia, in una seconda passeggiata - in un secondo tempo (poiché ispirato da quel luogo).

Quindi, se non ho capito male, tu mi dici che il tempo verbale è corretto però a condizione che il verbo "scrivere" sostituisca il verbo "avere", dico bene?
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  •  Calvero
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Re: L'angolo della letteratura
#51
Sono certo di non sapere
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Da Fleed / Umon
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Citazione:



LOL

scrittura coniugo il verbo a modo mio.

ritengo che, in qualche modo, bisognerebbe scindere le due passeggiate.
il primo passeggia in compagnia di passi in divenire
il secondo fa lo stesso in compagnia di passi che diverranno.

in entrambi la stessa certezza, la stessa risoluzione proiettata nel mantenimento del divenire, del diverranno.


bella
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Inviato il: 20/2/2015 15:11
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  •  Giano
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Re: L'angolo della letteratura
#52
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@Calvero
E' corretto se la poesia è già stata scritta, se chi parla sa che è stata scritta e gli eventi hanno la successione:
-passeggiata
-poesia
-racconto in cui vuoi dire che prima che quel luogo ti ispirasse ci avevi già passeggiato senza sapere che ti sarebbe stato d' ispirazione..

Se il senso è quello che ho capito, è giusto come lo stai facendo, salvo non voler precisare ancora meglio: "Io passeggiavo in quel bosco, non sapevo ancora che proprio in quei luoghi (a sostituzione di -lì dove un giorno) avrei scritto la poesia più bella per mio nonno".

Oppure se chi parla nello scritto non sa ancora della poesia puoi mettere la frase come un inciso, in modo che non sia lui a parlare ma una terza persona che già conosce i fatti. Ma non può essere l' unico caso isolato in cui dai voce a questo terzo incomodo, il lettore deve capire chi parla, bisogna che "la voce del narratore" abbia già fatto la comparsa nel racconto.
Infatti se parli con la voce del protagonista, ancora ignaro che quei posti (...), non va bene, non può sapere della poesia e non lo può raccontare.

Prendi questa roba con le molle, mi sono incartato!
Inviato il: 20/2/2015 15:47
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  •  Calvero
      Calvero
Re: L'angolo della letteratura
#53
Sono certo di non sapere
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Da Fleed / Umon
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Citazione:

Giano ha scritto:
@Calvero
E' corretto se la poesia è già stata scritta, se chi parla sa che è stata scritta e gli eventi hanno la successione:
-passeggiata
-poesia
-racconto in cui vuoi dire che prima che quel luogo ti ispirasse ci avevi già passeggiato senza sapere che ti sarebbe stato d' ispirazione..

[...]

Prendi questa roba con le molle, mi sono incartato!


Non sei l'unico che s'incarta Bada che non è così semplice. Per il discorso dell'inciso - NO, il racconto l'ho già scritto, devo trovare solo il modo di dare un senso che io ritengo efficace e non mi è facile, comunque provo a fare uno schema, prima asciutto, stile giornalistico, seguendo la cronologia ovviamente:

1) Il giorno primo gennaio 2015, io, Calvero, vado nel bosco dove con mio nonno facevo bellissime passeggiate;

2) il giorno 15 Gennaio 2015, io, Calvero, torno nel bosco e, ispirato dal luogo, scrivo e dedico una poesia a mio nonno;

3) Un anno dopo decido di raccontare questi due eventi. Ovviamente io sono sia l'autore che il protagonista del racconto.

... e il passaggio che formulo è questo:

"Il primo di gennaio ero lì in quel magnifico bosco, lì dove un giorno avrei scritto la poesia più bella per mio nonno".


__________

Adesso, al di là che una simile formula può essere raccontata più o meno bene, quello che mi serve sapere è quale grammatica dovrà essere rispettata in questo senso.

Quindi, richiedo, è corretta? oppure sarebbe meglio scrivere:

"Lì dove un giorno scriverò la poesia più bella per mio nonno" (?)
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Inviato il: 20/2/2015 15:59
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  •  Giano
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Re: L'angolo della letteratura
#54
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Ok, ora è più chiaro. Tu nel presente racconti due eventi passati. Sembra corretta la prima formulazione:
"Il primo di gennaio ero lì in quel magnifico bosco, lì dove un giorno avrei scritto la poesia più bella per mio nonno".

Se proprio vuoi eliminare ogni dubbio dai una indicazione precisa del tempo:
"Li dove qualche giorno dopo avrei scritto..."
"Li dove qualche tempo dopo..."
"...magnifico bosco, il luogo che successivamente ispirò la poesia..."

Se la lasci così com' è potrebbe sembrare che durante la prima passeggiata sapessi già che avresti scritto...
Inviato il: 20/2/2015 16:16
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  •  ohmygod
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Re: L'angolo della letteratura
#55
Sono certo di non sapere
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quando il ciclo è continuo la spirale va a farsi benedire, avrà pure un significato si disse lo scrittore nel mentre pigiava tasti su lettori posti all'uopo nel Rack 'N' Roll.

LOL
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  •  Calvero
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Re: L'angolo della letteratura
#56
Sono certo di non sapere
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Da Fleed / Umon
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Citazione:

Giano ha scritto:
Ok, ora è più chiaro. Tu nel presente racconti due eventi passati. Sembra corretta la prima formulazione:
"Il primo di gennaio ero lì in quel magnifico bosco, lì dove un giorno avrei scritto la poesia più bella per mio nonno".

Se proprio vuoi eliminare ogni dubbio dai una indicazione precisa del tempo:
"Li dove qualche giorno dopo avrei scritto..."
"Li dove qualche tempo dopo..."
"...magnifico bosco, il luogo che successivamente ispirò la poesia..."

Se la lasci così com' è potrebbe sembrare che durante la prima passeggiata sapessi già che avresti scritto...


Perfetto, grazie Giano, e anche gli altri; ti darò una percentuale sugl'incassi, anche perché mio nonno non c'entra nulla
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Misti mi morr Z - 283 - Una volta creato il manicomio, la ragione l'ha sempre il direttore; che l'abbia o meno
Inviato il: 20/2/2015 16:37
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  •  Giano
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Re: L'angolo della letteratura
#57
Dubito ormai di tutto
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Esagerato! Mi accontento di una copia omaggio. Col grano che risparmi dalla mia mancata percentuale fai un bel biglietto e vieni a trovare gli amici in Sardegna! Checcazz!
Inviato il: 20/2/2015 16:42
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  •  Giano
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Re: L'angolo della letteratura
#58
Dubito ormai di tutto
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Qualche mese fa mi imbattei in una serie di "immagini d' epoca" che immortalavano un pugile stravolto e coperto di sangue. Vi presento ciò che uscì dalle mie dita dopo che la curiosità mi portò ad interessarmi alla vicenda raccontata in quelle fotografie.





"1963, Wembley stadium, il campione inglese Henry Cooper incrocia i guantoni col giovane Cassius Clay in un incontro senza titolo in palio.

Clay affronta Cooper in preparazione del match successivo valevole per il titolo mondiale e questo gli deve sembrare un allenamento, non sa che sta per incontrare quello che sarà ricordato come uno dei mancini più potenti di sempre.

Il giorno della verifica del peso, davanti alla stampa, Clay, al solito, fa lo showman:
"Cooper non è nessuno! Inglesi, avete una regina ma avete bisogno di un re, eccomi, sono io il re!"
E si inventa profeta: "Vai giù alla quinta, alla quinta al tappeto!" dice al rivale esibendo le cinque dita della mano aperta a favore dei flash.
Il match diventa una questione d' onore, gli Inglesi non tollerano la spavalderia del ragazzino nero.

Si narra che il britannico facesse footing prima dell' alba nelle strade semideserte e che le uniche persone che incontrasse fossero le vecchine in giro a quell' ora, tutte con la stessa richiesta per "Hammer Henry": chiudere la bocca a quel chiacchierone!

Arriva il giorno dell' incontro, quarantamila persone affollano lo stadio.

Gong!
Clay attende, fa la farfalla che danza più che l' ape che punge, forse aspetta la quinta ripresa, o forse sente le bordate di Cooper e muove più le gambe che le braccia.
I primi due round vanno via con qualche buon colpo di Cooper che va a segno, niente di memorabile.

Gong per la terza, Clay abbandona l' angolo e un primo piano stretto lo ritrae con una faccia semi stralunata (min 2:10 del video), ma a dispetto delle impressioni la ripresa si chiude con l' inglese che raggiunge l' angolo con una brutta ferita vicino all' occhio sinistro che sanguina copiosamente.

Inizia la quarta, Cooper sembra avere fretta, sa che il profondo taglio sopra l' occhio unito alla fragilità della sua pelle può creare problemi al legale proseguimento dell' incontro.
Il mancino con guardia ortodossa colpisce più forte col destro che col sinistro ma, mentre attende il momento giusto per piazzare il colpo migliore, Clay non sta a guardare: destro, sinistro, da dovunque partano i colpi sono tutti indirizzati sulla ferita del britannico.

Ad ogni colpo di Cooper il pubblico esulta e lo stadio trema, il match è apertissimo.
Siamo sul finire della quarta, vicini al momento che renderà immortale Hammer Henry.

Il britannico tiene il centro del ring, Clay gli gira attorno.
Mancano pochi secondi.
Lo sbruffone statunitense si avvicina, carica il mancino ma va a vuoto, tentenna, in una frazione di secondo il bianco carica e fa partire una bordata clamorosa che si schianta sul muso di Clay.
Sembra la fine ma la sfortuna dice che non lo è; i due pugili sono troppo vicini alle corde e il colpo è troppo potente: ora Clay sembra veramente una farfalla, la martellata di Cooper lo solleva da terra e sembra farlo volare ma, purtroppo per Cooper, Clay atterra sulle corde che ne attutiscono la rovinosa caduta al tappeto.
Delirio sugli spalti, l' arbitro comincia a contare ma...arriva provvidenziale il gong che salva Cassius, la ripresa è terminata.

I secondi entrano sul ring, portano Clay barcollante all' angolo: acqua, spugne, massaggi, niente sembra ridestare il pugile favorito. Solo più avanti si scoprirà che in barba alle regole inglesi l' angolo di Clay ha usato anche una sostanza eccitante, i sali al naso, per cercare di riavere il pugile in ordine.
Ma anche questo tentativo scorretto andrà a vuoto, Clay è ancora suonato.
Serve ancora tempo, la quinta sta per cominciare e allora bando totale al fair-play, l' allenatore ne escogita una nuova: pratica un foro su un guantone del proprio pugile e lo allarga vistosamente; viene richiamato l' arbitro, l' incontro non può riprendere con un guantone così malridotto, serve tempo per andare a prenderne uno nuovo, ma non si trova; si saprà solo più tardi che non esisteva nessun guantone di riserva, Cassius userà il vecchio guantone rabberciato.

Ma la trovata ha funzionato, cinque minuti di recitazione hanno permesso a Clay di prendere fiato e di vedere nuovamente un avversario anzichè due.

Quinta, gong!
Cooper tenta il colpo decisivo ma Clay si fa sotto quasi in un corpo a corpo, non vuole più rischiare di prendere "cartoni", gli interessa solo toccare l' avversario sulla ferita. Lo tocca, lo ritocca, destro sinistro, sempre li, la ferita di Cooper è una voragine, il viso una maschera di sangue che gli cola sul petto. C'è più rosso che bianco, l' arbitro si fa sotto, il match è finito, Hammer Henry non può più combattere, ha vinto Cassius Clay alla quinta, come da profezia.

Non importa più, sul finire della quarta è nata una leggenda, un martello ha abbattuto il mito di Clay, Herny Cooper è nella storia, è immortale."

Scritto da Giano, Novembre 2014 (scritto per gli amici di FB i quali non apprezzarono, lo do in pasto a voialtri amici di LC, certo che saprete apprezzare, criticare, insultare -per la presunzione di averlo pubblicato qui, in letteratura-.)
Piano con le offese, è solo un gioco!

Il match in dieci minuti: http://m.youtube.com/watch?v=Frn3rTj5DOY
Inviato il: 6/3/2015 12:19
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  •  Esule
      Esule
Re: Langolo della letteratura
#59
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 19/4/2012
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Messaggi: 64
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Grazie Giano, bella storia.
Inviato il: 6/3/2015 15:42
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  •  ohmygod
      ohmygod
Re: Langolo della letteratura
#60
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 16/10/2007
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Messaggi: 3652
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!



[Altro...] nullaltro.
Inviato il: 6/3/2015 15:58
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