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  L'angolo della letteratura

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Autore Discussione
  •  Giano
      Giano
Re: L
#61
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 18/3/2011
Da
Messaggi: 1424
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@Esule
Grazie a te, hai salvato la vita alla mia autostima.

@OMG
!!
Che altro?
Inviato il: 7/3/2015 9:10
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  •  Calvero
      Calvero
Re: L'angolo della letteratura
#62
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 4/6/2007
Da Fleed / Umon
Messaggi: 13165
Offline
Citazione:

Giano ha scritto:
Qualche mese fa mi imbattei in una serie di "immagini d' epoca" che immortalavano un pugile stravolto e coperto di sangue. Vi presento ciò che uscì dalle mie dita dopo che la curiosità mi portò ad interessarmi alla vicenda raccontata in quelle fotografie.





"1963, Wembley stadium, il campione inglese Henry Cooper incrocia i guantoni col giovane Cassius Clay in un incontro senza titolo in palio.

Clay affronta Cooper in preparazione del match successivo valevole per il titolo mondiale e questo gli deve sembrare un allenamento, non sa che sta per incontrare quello che sarà ricordato come uno dei mancini più potenti di sempre.

Il giorno della verifica del peso, davanti alla stampa, Clay, al solito, fa lo showman:
"Cooper non è nessuno! Inglesi, avete una regina ma avete bisogno di un re, eccomi, sono io il re!"
E si inventa profeta: "Vai giù alla quinta, alla quinta al tappeto!" dice al rivale esibendo le cinque dita della mano aperta a favore dei flash.
Il match diventa una questione d' onore, gli Inglesi non tollerano la spavalderia del ragazzino nero.

Si narra che il britannico facesse footing prima dell' alba nelle strade semideserte e che le uniche persone che incontrasse fossero le vecchine in giro a quell' ora, tutte con la stessa richiesta per "Hammer Henry": chiudere la bocca a quel chiacchierone!

Arriva il giorno dell' incontro, quarantamila persone affollano lo stadio.

Gong!
Clay attende, fa la farfalla che danza più che l' ape che punge, forse aspetta la quinta ripresa, o forse sente le bordate di Cooper e muove più le gambe che le braccia.
I primi due round vanno via con qualche buon colpo di Cooper che va a segno, niente di memorabile.

Gong per la terza, Clay abbandona l' angolo e un primo piano stretto lo ritrae con una faccia semi stralunata (min 2:10 del video), ma a dispetto delle impressioni la ripresa si chiude con l' inglese che raggiunge l' angolo con una brutta ferita vicino all' occhio sinistro che sanguina copiosamente.

Inizia la quarta, Cooper sembra avere fretta, sa che il profondo taglio sopra l' occhio unito alla fragilità della sua pelle può creare problemi al legale proseguimento dell' incontro.
Il mancino con guardia ortodossa colpisce più forte col destro che col sinistro ma, mentre attende il momento giusto per piazzare il colpo migliore, Clay non sta a guardare: destro, sinistro, da dovunque partano i colpi sono tutti indirizzati sulla ferita del britannico.

Ad ogni colpo di Cooper il pubblico esulta e lo stadio trema, il match è apertissimo.
Siamo sul finire della quarta, vicini al momento che renderà immortale Hammer Henry.

Il britannico tiene il centro del ring, Clay gli gira attorno.
Mancano pochi secondi.
Lo sbruffone statunitense si avvicina, carica il mancino ma va a vuoto, tentenna, in una frazione di secondo il bianco carica e fa partire una bordata clamorosa che si schianta sul muso di Clay.
Sembra la fine ma la sfortuna dice che non lo è; i due pugili sono troppo vicini alle corde e il colpo è troppo potente: ora Clay sembra veramente una farfalla, la martellata di Cooper lo solleva da terra e sembra farlo volare ma, purtroppo per Cooper, Clay atterra sulle corde che ne attutiscono la rovinosa caduta al tappeto.
Delirio sugli spalti, l' arbitro comincia a contare ma...arriva provvidenziale il gong che salva Cassius, la ripresa è terminata.

I secondi entrano sul ring, portano Clay barcollante all' angolo: acqua, spugne, massaggi, niente sembra ridestare il pugile favorito. Solo più avanti si scoprirà che in barba alle regole inglesi l' angolo di Clay ha usato anche una sostanza eccitante, i sali al naso, per cercare di riavere il pugile in ordine.
Ma anche questo tentativo scorretto andrà a vuoto, Clay è ancora suonato.
Serve ancora tempo, la quinta sta per cominciare e allora bando totale al fair-play, l' allenatore ne escogita una nuova: pratica un foro su un guantone del proprio pugile e lo allarga vistosamente; viene richiamato l' arbitro, l' incontro non può riprendere con un guantone così malridotto, serve tempo per andare a prenderne uno nuovo, ma non si trova; si saprà solo più tardi che non esisteva nessun guantone di riserva, Cassius userà il vecchio guantone rabberciato.

Ma la trovata ha funzionato, cinque minuti di recitazione hanno permesso a Clay di prendere fiato e di vedere nuovamente un avversario anzichè due.

Quinta, gong!
Cooper tenta il colpo decisivo ma Clay si fa sotto quasi in un corpo a corpo, non vuole più rischiare di prendere "cartoni", gli interessa solo toccare l' avversario sulla ferita. Lo tocca, lo ritocca, destro sinistro, sempre li, la ferita di Cooper è una voragine, il viso una maschera di sangue che gli cola sul petto. C'è più rosso che bianco, l' arbitro si fa sotto, il match è finito, Hammer Henry non può più combattere, ha vinto Cassius Clay alla quinta, come da profezia.

Non importa più, sul finire della quarta è nata una leggenda, un martello ha abbattuto il mito di Clay, Herny Cooper è nella storia, è immortale."

Scritto da Giano, Novembre 2014 (scritto per gli amici di FB i quali non apprezzarono, lo do in pasto a voialtri amici di LC, certo che saprete apprezzare, criticare, insultare -per la presunzione di averlo pubblicato qui, in letteratura-.)
Piano con le offese, è solo un gioco!

Il match in dieci minuti: http://m.youtube.com/watch?v=Frn3rTj5DOY



Sono due le cose che comprovano che hai scritto alla grande:

1) il senso d'ingiustizia che trapela non attraverso una denuncia, ma attraverso la vicenda; che scalda la rabbia del lettore e, in crescendo, contemporaneamente, l'amore e l'empatia che il lettore coglie e che lo avvicina a Cooper insieme al desiderio di abbracciarlo;

2) non mi è venuta voglia di correre a vedere il Video, rimane quella punta di curiosità, certo, ma l'incontro l'ho già vissuto nel mio cuore, e solo quello conta.

Bravo
_________________
Misti mi morr Z - 283 - Una volta creato il manicomio, la ragione l'ha sempre il direttore; che l'abbia o meno
Inviato il: 7/3/2015 12:05
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#63
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 18/3/2011
Da
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Caspita, sono onoratissimo di aver ricevuto una così bella critica!
Grazie mille Calvero, felice che ti sia piaciuto.
(Cammino a venti centimetri da terra!)

P.S.
Sto provando inutilmente a fare il log-in da questo pomeriggio. Santissimi!
Inviato il: 8/3/2015 0:31
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  •  ohmygod
      ohmygod
Re: L'angolo della letteratura
#64
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 16/10/2007
Da
Messaggi: 3652
Offline
#################################################
Giano
@OMG
!!
Che altro?
##################################################

##################################################

ora vi è anche altro, l'altro, l'attenzione, il dettaglio, passi, Giano in Marzo fra arte e immagine.

##################################################
Inviato il: 14/3/2015 20:28
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#65
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 18/3/2011
Da
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@Ohmygod
Ok, te lo chiedo visto che lo stai ficcando dappertutto!
Ho decrittato tutto, almeno credo, tranne "passi". Dammi un indizio, please!
Inviato il: 19/3/2015 17:01
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  •  Merio
      Merio
Re: L'angolo della letteratura
#66
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 15/4/2011
Da
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Citazione:
Ho decrittato tutto




Giano, hai trovato la Stele di Ohmygod ???

_________________
La libertà di parola senza la libertà di diffusione è come un pesce rosso in una vasca sferica...
Ezra Pound
Inviato il: 19/3/2015 17:40
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#67
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 18/3/2011
Da
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In un certo senso può rientrare in questo spazio la lettera che tale Zuane Mocenigo scrisse all' inquisitore di Venezia per denunciare Giordano Bruno.

Il filosofo in quel momento si trovava nella dimora del Mocenigo che lo volle a sé per ricevere lezioni di mnemonica, arte nella quale pare che Giordano Bruno fosse abilissimo.
Il padrone di casa, venuto in contatto con le idee dell' eretico, lo segregò in una stanza, scrisse la lettera e attese che lo arrestassero. Dopo otto anni di processi, senza aver mai più rivisto la luce, Bruno veniva arso vivo.

Ecco la lettera, una specie di bignamino delle eresie (ancora attualissime) del futuro condannato:

Denuncia di Giovanni Mocenigo all’inquisitore di Venezia Giovan Gabriele da Saluzzo (Venezia, 23 maggio 1592)

"Molto reverendo Padre et signore osservandissimo,
io Zuane Mocenigo fo del clarissimo messer Marco Antonio dinuntio a Vostra Paternità molto reverenda per obligo della mia conscientia, et per ordine del mio confessor, haver sentito a dire a Giordano Bruno Nolano, alcune volte che ha ragionato meco in casa mia :
che è biastemia grande quella de’ cattolici il dire che il pane si transustantii in carne ;
che lui è nemico della messa ;
che niuna religione gli piace ;
che Christo fu un tristo et che, se faceva opere triste di sedur populi, poteva molto ben predire di dover esser impicato ;
che non vi è distintione in Dio di persone, et che questo sarebbe imperfetion in Dio ;
che il mondo è eterno, et che sono infiniti mondi, et che Dio ne fa infiniti continuamente, perché dice che vuole quanto che può ;
che Christo faceva miracoli apparenti et che era un mago, et così gl’appostoli et che a lui daria l’animo di far tanto, et più di loro ;
che Christo mostrò di morir malvolentieri et che la fuggì quanto che puoté ;
che non vi è punitione de’ peccati, et che le anime create per opera della natura passano d’un animal in un altro ;
et che come nascono gli animali brutti di corrutione, così nascono anco gl’huomini, quando doppo i diluvii ritornano a nasser.
Ha mostrato dissegnar di voler farsi autore di nuova setta sotto nome di nuova filosofia ;
ha detto che la Vergine non può haver parturito et che la nostra fede cattholica è piena tutta di bestemie contra la maestà di Dio ;
che bisognarebbe levar la disputa et le entrate alli frati, perché imbratano il mondo ;
che sono tutti asini, et che le nostre opinioni sono dotrine d’asini ;
che non habbiamo prova che la nostra fede meriti con Dio ;
et che il non far ad altri quello che non voressimo che fosse fatto a noi basta per ben vivere ;
et che se n’aride di tutti gli altri peccati ;
et che si meraviglia come Dio supporti tante heresie di cattolici.
Dice di voler attender all’arte divinatoria et che si vuole far correr dietro tutto il mondo ; che San Tomaso et tutti li dottori non hanno saputo niente a par di lui, et che chiariria tutti i primi theologi del mondo, che non sapriano rispondere.

M’ha detto d’haver havuto altre volte in Roma querelle a l’inquisitione di cento e trenta articuli, et che se ne fugì mentre era presentato, perché fu imputato d’haver gettato in Tevere chi l’accusò, o chi credete lui che l’havesse accusato a l’inquisitione. Io dissegnavo d’imparar da lui come le ho detto a bocca, non sapendo che fosse così tristo come è et havendo notato tutte queste cose per darne conto a Vostra Paternità molto reverenda, quando ho dubitato che se ne possi partire, come lui diceva di voler fare, l’ho serrato in una camera a requisitione sua ; et perché io lo tengo per indemoniato, la prego far rissolutione presta di lui".

Pesantuccio! Biglino gli fa un baffo!
Inviato il: 21/3/2015 16:36
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  •  Mrexani
      Mrexani
Re: L'angolo della letteratura
#68
Mi sento vacillare
Iscritto il: 23/6/2014
Da
Messaggi: 432
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Giano.

Non si capisce bene chi sia l'inquisitore, se sia Giordano Bruno o Giovan Gabriele...
Probabilmente Giovan Gabriele è inquisitore di mestiere, Bruno di spirito...

Tra i due il peggiore è senza dubbio il signor Mocenigo, che possiede la caratteristica peggiore dell'inquisitore: la malizia.
Inviato il: 22/3/2015 12:59
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  •  irubble
      irubble
Re: L'angolo della letteratura
#69
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 6/3/2015
Da None
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«L'ultima cosa che si decide quando si scrive un libro» osserva Pascal «è che cosa mettere all'inizio». Così, dopo aver scritto, raccolto e ordinato queste strane storie, dopo aver scelto un titolo e due epigrafi, devo ora chiedermi che cosa ho fatto, e perché.



Mi chiedo spesso perché
_________________
Anno Ford 632: "Comunità, Identità, Stabilità".
Inviato il: 24/3/2015 0:38
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#70
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 18/3/2011
Da
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@Mrexani
Bruno fa le pulci alla chiesa e la chiesa si difende con dei pulciari.
Mocenigo è una pulce.
Riassumendo.
Inviato il: 24/3/2015 12:35
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  •  Mrexani
      Mrexani
Re: L'angolo della letteratura
#71
Mi sento vacillare
Iscritto il: 23/6/2014
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Un campionario perfetto .....di sbirri
Inviato il: 24/3/2015 13:00
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  •  Pyter
      Pyter
Re: L'angolo della letteratura
#72
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 15/9/2006
Da Sidonia Novordo
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@Giano

Nella versione che ho io c'è anche questa:

Et volevo anche dire, reverendissimo padre et signore osservandissimo, che egli mi disse hanche che io saria uno grande leccaculo.


Tu da dove l'hai presa?
_________________
"Nessuno ha il diritto di fare quel che desidera, ma tutto è organizzato per il meglio." (Antico decreto reale tolemaico)
Inviato il: 24/3/2015 16:18
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#73
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 18/3/2011
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Pyter Citazione:
Tu da dove l'hai presa?


Domanda pertinente.
In verità in verità ti dico che non l'ho copiata dal testo in cui l'ho letta ma da uno più copiaincollabile.
La mia fonte originale era questa: link ebook

In questo testo la lettera è completa e si legge anche:
"Quelle fatichette che costui ha fatto per me, che non sono di alcun rilievo, le darò volentieri alla censura sua,..."
Laido miserabile irriconoscente.

E poi saluta così: "E col finire a vostra Paternità molto reverenda bascio reverentemente le mani".
Anche leccaculo, dici bene.
Inviato il: 24/3/2015 16:48
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#74
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 18/3/2011
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Seneca, lettere a Lucilio, 28

Credi che questo sia capitato a te solo e consideri con meraviglia, come situazione strana, il fatto che con un viaggio così lungo e con tante varietà di luoghi non hai scosso via la tristezza e la pesantezza della mente? Devi cambiare animo, non clima.
Per quanto tu abbia attraversato un grande mare, per quanto, come dice il nostro Virgilio, "si allontanino e terre e città", ti seguiranno i tuoi difetti dovunque giungerai.
Ad un tale che si lamentava di questa stessa cosa Socrate disse, "perché ti meravigli che i viaggi non ti giovino per nulla, visto che porti in giro te stesso? Ti incalza lo stesso motivo che ti ha spinto lontano". Che può giovare la novità dei luoghi? Che la conoscenza di città o di luoghi? Codesta agitazione finisce nell'inutilità. Ti chiedi perché codesta fuga non ti giovi? Tu fuggi con te stesso. È da deporre il carico dell'animo: prima nessun luogo ti piacerà.

Tieni presente che ora la tua condizione è tale quale il nostro Virgilio descrive (la condizione) della profetessa già esaltata e ispirata e che ha in sè molto spirito non suo: "la profetessa si dimena, (per vedere) se può dal petto scuoter via il grande dio".

Tu vai qua e là per scuoter via il peso che sta dentro, che diventa più scomodo per lo stesso scuotimento, come in una nave i carichi immobili gravano di meno, (mentre) quelli che rotolano irregolarmente immergono più rapidamente quel settore sul quale si sono accalcati. Qualsiasi cosa fai, lo fai contro di te e con il movimento stesso ti nuoci: infatti scuoti un malato. Ma quando avrai tolto questo malanno, ogni mutazione di luogo diventerà piacevole; per quanto tu sia cacciato nelle terre più remote, sia collocato in qualsiasi angolo di paese barbaro, quella sede, qualsiasi sia, sarà per te ospitale. Conta più chi che dove tu sia giunto, e perciò a nessun luogo dobbiamo condizionare l'animo.

Bisogna vivere con questa convinzione: "non sono nato per un solo angolo, la mia patria è tutto questo universo". Se questo ti fosse chiaro, non ti meraviglieresti di non essere per nulla avvantaggiato dai cambiamenti delle regioni nelle quali ti sposti continuamente per noia delle precedenti; infatti ti sarebbe piaciuta la prima se tu ritenessi tua ogni regione. Ora non viaggi ma vai errando e ti fai trasportare e muti luogo dopo luogo, mentre quello che cerchi, vivere bene, è collocato in ogni luogo.
Forse qualcosa può diventare tanto turbolento quanto il foro? Anche lì è possibile vivere serenamente, se è inevitabile. Ma se fosse possibile collocarsi, fuggirei lontano anche la vista e la vicinanza del foro; infatti come i luoghi malsani mettono alla prova anche una salute robustissima, così anche per una mente buona né tuttavia ancora matura e vigorosa alcune situazioni sono poco salubri.

Dissento da coloro che vanno in mezzo ai flutti e, apprezzando una vita agitata ogni giorno con grande coraggio lottano con le difficoltà delle situazioni. Il sapiente sopporterà queste situazioni, non le sceglierà, e preferirà essere in pace che in battaglia; non giova molto aver gettato via i propri difetti, se si deve lottare con quelli altrui.
"Trenta tiranni" dice "circondarono Socrate né poterono spezzare il suo animo." Che importa quanti siano i padroni? La schiavitù è una sola; chi questa ha disprezzato è libero in una folla di padroni quanto grande si voglia.(...)

http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/tt2/Seneca/Lucil028.html
Inviato il: 24/3/2015 17:46
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#75
Dubito ormai di tutto
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Vardiello, di Giambattista Basile.

La fiaba fa parte di una raccolta di cui è autore Giambattista Basile, 1566-1632, dal titolo "Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille"; scritte in dialetto napoletano, le fiabe furono successivamente (molto successivamente) tradotte in italiano da Benedetto Croce che, nella premessa al testo, definisce la raccolta come "il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari..."
(non so dire da chi sia stata rielaborata la versione che propongo)
Buona lettura.


"Grannonia d’Aprano fu donna di gran giudizio, ma aveva un figlio, chiamato Vardiello, il più scempiato semplicione di quel paese. E nondimeno, perché gli occhi della mamma sono stregati e travedono, essa gli portava un amore sviscerato, e se lo covava sempre e lisciava, come se fosse la più bella creatura del mondo.

Aveva questa Grannonia una chioccia e sperava di ottenerne una bella schiusa di pulcini e ricavarne buon profitto. E un giorno, dovendo allontanarsi per una faccenda, disse al figlio: - Figlio bello di mamma tua, vieni qua, ascolta, abbi gli occhi su questa chioccia e, se si leva a beccare, bada a farla tornare al nido, altrimenti le uova si raffreddano e tu non avrai né cocchi né pittini (pulcini).
- Lascia fare a quest’uomo – rispose Vardiello – perché non hai parlato a sordo.
- Ancora – soggiunse la mamma – vedi figlio benedetto, che dentro quell’armadio c’è un vaso verniciato con certa roba velenosa. Guarda che il Tentatore non ti mettesse in capo d’andarla a toccare, perché tu stenderesti i piedi!
- Non sia mai! – rispose Vardiello – veleno non mi pigli! E tu savia con la testa pazza, che me lo hai avvisato; perché, veramente, potevo capitarci, e non c’era né spina né osso che m’impedisse di farlo scendere nello stomaco.

Volte che ebbe le spalle la mamma, rimase Vardiello, il quale, per non perder tempo, andò nell’orto a scavare certi fossetti coperti di fuscelli e terra da farvi cader dentro i fanciulli; quando, nel meglio del lavoro, s’accorse che la chioccia se n’andava passeggiando fuori della camera.
Ed egli subito a gridare: - Sciò, sciò, via di qua, passa là! – Ma la chioccia non si ritirava; e Vardiello, vedendo che la gallina aveva dell’asino, dopo lo “sciò sciò” si mise a battere i piedi; dopo lo sbattimento dei piedi, a gettarle dietro il suo berretto; e dopo il berretto, le scagliò un matterello, che, colpitala in pieno, la fece cadere in agonia e irrigidire le zampe.

La mala disgrazia era ormai avvenuta e Vardiello pensò di portar rimedio al danno, onde, facendo di necessità virtù, affinché le uova non si raffreddassero, si sbracò subito e si sedette sulla covata; ma, premendola col deretano, la ridusse a frittata.
Visto che egli l’aveva fatta doppia di figura, fu sul punto di dar la testa nelle mura. Ma, poiché infine ogni dolore torna a boccone, sentendo uno sfinimento allo stomaco, si risolse a cacciarvi dentro la chioccia. E perciò, spiumatala e infilzatala a un bello spiedo, accese un gran fuoco e cominciò ad arrostirla; e quando vide che era quasi cotta, affinché tutto fosse pronto a tempo, stese un bel canovaccio di bucato sopra un vecchio cassone e, preso un orciuolo, scese in cantina a spillare un caratello di vino.
Ma, nel meglio del versare il vino, udì un rumore, un fracasso, uno scompiglio per la casa, che pareva un passaggio di cavalli armati; e, tutto sbigottito, voltati gli occhi, scorse un gattone che aveva arraffato la chioccia con tutto lo spiedo, e un altro gatto gli era dietro, gridando per aver la sua parte.
Vardiello, per impedire questo danno, si lanciò come leone scatenato sul gatto; e, per la fretta, lasciò sturato il caratello.

Dopo aver giocato a “corrimi dietro” per tutti gli angoli della casa, ricuperò la gallina; ma intanto il vino del caratello scorse tutto a terra.
Tornando alla cantina e visto di averla fatta grossa, spillò anch’esso la botte dell’anima dei cannelli degli occhi suoi (si mise a piangere – gaio barocco, secondo il Croce).
Ma, poiché il giudizio lo aiutava, per rimediare al danno, e per far che la madre non si avvedesse di tanta rovina, prese un sacco pieno pieno colmo colmo, raso raso di farina e lo andò spargendo sul bagnato.
Con tuttociò, facendo il conto sulle dita dei disastri accaduti, pensando che, per aver commesso eccessi di asineria, perdeva il giuoco della grazia di Grannonia, prese ferma risoluzione di non lasciarsi trovar vivo dalla madre. Tolse dunque dall’armadio il vaso con le noci conciate, che quella gli aveva detto esser veleno, e non ne levò la mano fintanto che non ne scoperse la patina lustra. E, riempitosi bene la pancia, si ficcò dentro il forno.

Intanto, tornò la madre e, dopo aver picchiato per un pezzo, non sentendo alcuno muoversi, dette un calcio alla porta ed entrò. E si mise a chiamare a gran voce il figlio; e, poiché nessuno rispondeva, immaginò una disgrazia, e, crescendo l’ambascia, levò forti le grida: - O Vardiello, o Vardiello, sei diventato sordo che non odi? Hai le giarde (malattia delle zampe dei cavalli) che non corri? Hai la pipita (malattia della lingua dei polli) che non rispondi? Dove sei, viso da forca? Dove sei squagliato, mala razza? Che ti avessi affogato in fasce quando ti feci! –
Vardiello, che udì questo grido, finalmente, con una vocina pietosa, disse: - Eccomi qui, sto dentro al forno, e non mi vedrete più, mamma mia! –
- Perché? – domandò la povera madre.
- Perchè mi sono avvelenato – replicò il figlio.
- Ohimè – soggiunse Grannonia – e come hai fatto? E che motivo hai avuto di fare quest’omicidio, e chi ti ha dato il veleno?
E Vardiello le raccontò a una a una, tutte le belle prove che aveva compiute, e per le quali voleva morire e non restare più al mondo bersaglio di mala fortuna.

Udendo queste cose, la madre scura si vide, amara si vide, ed ebbe da fare e da dire per levare di capo a Vardiello quell’umore malinconico. E poiché gli portava tenerezza grande, con dargli alcune altre cose sciroppate gli tolse dal cervello la paura delle noci conciate, che non erano veleno, ma acconciamento di stomaco. Così, calmatolo con buone parole, e fattegli mille carezzette, lo tirò fuori dal forno.
Pensò poi, per quietarlo del tutto, di affidargli un bel tocco di tela, affinché la portasse a vendere, ammonendolo di non trattare il negozio con persone di troppe parole.
- Brava! – disse Vardiello – ti servirò profumatamente, non dubitare – E, presa sotto il braccio la tela, si avviò verso la città.

Andava in giro con la sua mercanzia per le strade e le piazze di Napoli, gettando il grido: - Tela, tela! – Ma, a tutti quelli che gli si avvicinavano domandando : - Che tela è? – subito rispondeva: - Non fai per la casa mia, che hai troppe parole. - E se un altro gli domandava: - A quanto la vendi? – lo chiamava chiacchierone, e che lo aveva stordito e gli aveva rotte le tempie.
In ultimo, scorgendo in un cortile di una casa, disabitata perché frequentata dal monachetto (monaciello, spiritello), una statua di stucco, il poverino, spedato e stracco dal tanto andare in giro, si sedette sopra un muricciolo; e, non vedendo entrare e uscire nessuno da quella casa, che pareva un villaggio saccheggiato, pieno di meraviglia, disse alla statua: -Di su, camerata, abita alcuno in questa casa? - E poiché quella non rispondeva, gli parve persona di poche parole, e subito le propose: - Vuoi comprare questa tela? – Io te la darò a buon mercato. –
E la statua zitto, e lui: - Affè, ho trovato quello che andavo cercando! Prendila e falla esaminare, e dammene il prezzo che ti piace: domani torno pei quattrini. –

Ciò detto, lasciò la tela sul muricciolo al quale s’era seduto; e il primo che si trovò a passare e che entrò in quel cortile…trovata quella bella ventura se la portò via.
Quando Vardiello fu tornato alla madre senza tela, ed ebbe raccontato il caso, la povera donna si sentì scoppiare il cuore. E cominciò a rimbrottarlo: - Quando metterai il cervello a sesto? Vedi quante ne hai fatte? Ricordatene! Ma la colpa è, prima di tutto mia, per essere troppo tenera di polmone, non t’ho fin dal primo momento raddrizzato con una buona bastonatura: e ora m’avvedo che medico pietoso fa la piaga incurabile! Ma tante me ne hai fatte che alla fine c’incapperai: e allora i conti saranno lunghi! –
Vardiello dal canto suo badava a dire: - Zitto, mamma mia, che non sarà quel che tu dici. Avrai ben altro che tornesi coniati nuovi! Credi forse che vengo da Joio (Gioi, Salerno)e che non sappia il conto mio? Ha da venir domani! Di qui a Belvedere non c’è molto, e vedrai che so mettere il manico a questa pala! –
Al mattino, quando le ombre della notte perseguitate dagli sbirri del sole sfrattano il paese, Vardiello si portò al cortile dove era la statua, e le parlò: - Buon dì, messere! Non t’incomoda di darmi quei quattro spiccioli? Orsù, pagami la tela! –
Ma poiché la statua se ne rimaneva muta, egli raccattò un sasso e lo scagliò di tutta forza proprio in mezzo allo sterno di quella, tanto che le ruppe una vena; e questa fu la salute della sua casa. Perché ruinati certi ammassi d’intonaco, gli apparve agli occhi una pignatta piena di scudi d’oro, che egli levò con le sue mani e si diè a una corsa a scavezzacollo verso casa sua.
Entrò gridando: - Mamma, mamma, vedi quanti lupini rossi! Quanti neh! Quanti! –
Ma la madre, nell’accogliere la fortuna di quegli scudi così impensatamente guadagnati, riflettè subito che il figlio sarebbe andato pubblicando il caso, e provvide al rischio.
Disse, dunque, a Vardiello, che si fosse messo innanzi alla porta per vedere quando passava il ricottaro, poiché le bisognava comprare un tornese di latte.

Vardiello, che era un gran bonaccione, subito si sedette alla porta; e la madre, dalla finestra di sopra, gli fece grandinare addosso, per oltre mezz’ora, più di sei rotoli d’uva passa e di fichi secchi. Ed egli li raccoglieva gridando: - Mamma, o mamma, prendi conche, porta tinozze, porgi canestri, che, se dura questa pioggia, ci faremo ricchi! – E quando se ne fu ben riempito il ventre, salì in camera e si buttò a dormire.

Avvenne che un giorno, litigando due del popolo, gente di mala vita, per la pretesa di uno scudo d’oro che avevano trovato a terra, capitò in quel punto Vardiello che disse: - Come siete arciasini a far tante chiacchiere per un lupino rosso di questa sorta! Io non ne faccio neppure stima, perché ne ho trovato per mio conto una pignatta piena piena.! –
La Corte, informata del detto e messa in sospetto, lo mandò a chiamare e lo sottopose a disamina per saper come, quando e con chi avesse trovato gli scudi di cui aveva parlato.
Vardiello rispose: - Li ho trovati in un palazzo, nel corpo di un uomo muto, in quel giorno che ci fu pioggia di uva passa e di fichi secchi. –
Il giudice che sentì lo sbalzo di questa quinta nel vuoto, odorò il negozio e decretò che fosse mandato allo spedale, che era il suo giudice competente.
Così, l’ignoranza del figlio fece ricca la madre, e il buon giudizio della madre riparò all’asinità del figlio, per la qual cosa si vede chiaramente che:

nave da buon pilota governata
è strano caso che si rompa a scoglio."

Link alla fiaba: http://www.rigocamerano.it/lcbasile1.ht

link G.Basile: http://it.m.wikipedia.org/wiki/Giambattista_Basile
link "Lo cunto de..." : http://it.m.wikipedia.org/wiki/Lo_cunto_de_li_cunti
Inviato il: 28/3/2015 10:56
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  •  FrancescaR
      FrancescaR
Re: L'angolo della letteratura
#76
Mi sento vacillare
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L'ANGUILLA


L'anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d'acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d'Appennino alla Romagna;
l'anguilla, torcia, frusta,
freccia d'Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l'anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l'arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l'iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell'uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?


Eugenio Montale
_________________
Vai più veloce, Janine, ad aprire la porta - e nascondi i patín -
La nostalgia del Mocambo.
Inviato il: 30/3/2015 19:56
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  •  doktorenko
      doktorenko
Re: L'angolo della letteratura
#77
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«Ecco, tutti i quadri che ci sono qui» disse, «li ha comprati mio padre buon'anima alle aste pubbliche per un rublo o due, era un appassionato. Li ha esaminati tutti un esperto e ha detto che non valgono nulla, ma questo quadro qui, ecco, questo sopra alla porta, comprato anch'esso per due rubli, questo, ha detto, non è una crosta. Un tale ha cercato di acquistarlo da mio padre, e gli aveva offerto trecentocinquanta rubli, e Savel'ev, Ivan Dmitric , un mercante grande appassionato di quadri, è arrivato fino a quattrocento, e la settimana scorsa ne ha offerti cinquecento a mio fratello Semën Semënyè. Me lo sono tenuto.»

«Ma questa... questa è una copia di Hans Holbein» disse il principe che aveva fatto in tempo a esaminare il quadro. «E anche se non sono un grande intenditore, mi sembra che sia una copia eccellente. Questo quadro l'ho visto all'estero, e non riesco a dimenticarlo. Ma... perché tu...»

A un tratto Rogozin aveva lasciato il quadro ed era andato avanti. Naturalmente la distrazione e quel particolare stato d'animo facilmente irritabile che s'era manifestato così repentinamente in Rogozin avrebbero potuto giustificare quel gesto improvviso, e tuttavia parve strano al principe che fosse stata interrotta tanto bruscamente una conversazione che non era stato lui a iniziare, e che Rogozin non gli avesse nemmeno risposto.

«Dimmi un po', Lev Nikolaevic, era un pezzo che te lo volevo chiedere, tu credi in Dio o no?» riprese a dire d'un tratto Rogozin, dopo aver fatto alcuni passi.

«Hai uno strano modo di chiedere le cose, e... di guardare!» osservò involontariamente il principe.

«Mi piace guardare quel quadro» mormorò Rogozin dopo un breve silenzio, come se avesse dimenticato nuovamente la sua domanda.

«Quel quadro!» esclamò d'un tratto il principe preso da un pensiero improvviso. «Quel quadro! Ma quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno!»

«Si perde anche quella» confermò inaspettatamente Rogozin. Erano ormai giunti alla porta d'ingresso.

«Come!» fece il principe fermandosi d'improvviso. «Ma che dici! Io scherzavo, mentre tu parli così seriamente! E perché mi hai chiesto se credo in Dio?»

«Ma niente, così. Volevo chiedertelo da prima. Infatti al giorno d'oggi sono molti quelli che non credono. Ed è vero, tu che sei stato all'estero, quello che mi ha detto uno che pareva ubriaco, che qui da noi in Russia c'è più gente che non crede in Dio che in tutti gli altri paesi? "Per noi" diceva, "è più facile che per loro, perché noi siamo andati più avanti"...»

Rogozin sorrise sarcastico. Dopo aver fatto quella domanda spalancò improvvisamente la porta e, tenendo la mano sulla maniglia, attese che il principe uscisse. Il principe ne fu stupito ma uscì, e l'altro uscì dietro di lui sul pianerottolo e si chiuse la porta alle spalle. Stavano l'uno davanti all'altro con l'aria d'aver dimenticato dove erano e cosa dovevano fare.

«Allora addio» disse il principe porgendogli la mano.

«Addio» rispose Rogozin stringendo forte ma del tutto macchinalmente la mano che il principe gli aveva teso. Il principe scese un gradino e si voltò.

«Per quanto riguarda la fede» cominciò sorridendo (evidentemente non voleva lasciare Rogozin in quella maniera) e animandosi anche a un improvviso ricordo, «per quel che riguarda la fede, la settimana scorsa ho fatto quattro diversi incontri in due giorni: una mattina, mentre viaggiavo su una nuova linea ferroviaria, ho conversato quattro ore con un certo S. che avevo appena conosciuto. Avevo già sentito parlare molto di lui in passato, fra l'altro me ne avevano parlato come di un ateo. È un uomo davvero molto colto, e io ero molto contento di poter parlare con un vero scienziato. Inoltre è una persona di rara educazione, cosicché parlava con me proprio come con uno del tutto pari a lui per cultura e intelligenza. Non crede in Dio. Mi ha colpito una cosa: per tutto il tempo aveva l'aria di non parlare di quello, e mi aveva colpito proprio perché anche prima, per quanti miscredenti avessi incontrati, e per quanti libri del genere avessi letto, mi era sempre sembrato che parlassero e scrivessero nei libri cose del tutto diverse, anche se apparentemente pareva parlassero di quello. Io glielo dissi, ma evidentemente glielo dissi in modo poco chiaro, o non seppi esprimermi, perché non capì nulla...

La sera mi fermai per passare la notte in un albergo del capoluogo, e in quell'albergo c'era appena stato un omicidio la notte prima, e tutti ne parlavano quando io arrivai. Due contadini piuttosto anziani e non ubriachi, che si conoscevano già da molto tempo, due amici, avevano preso il tè, e volevano andare a dormire insieme nella stessa camera. Negli ultimi due giorni, però, uno di loro aveva notato che l'altro teneva un orologio d'argento appeso a un cordoncino giallo con delle perline, che, evidentemente, non gli aveva mai visto prima. Quell'uomo non era un ladro, era anzi onesto, e, per un contadino, tutt'altro che povero, ma quell'orologio gli era piaciuto a tal punto, e a tal punto l'aveva affascinato, che alla fine non resistette più, prese un coltello e, quando l'amico gli voltò le spalle, gli s'accostò cauto da dietro calcolò il colpo, alzò gli occhi al cielo, si fece il segno della croce e, recitando fra sé un'amara preghiera: "Signore, perdonami per amore di Cristo!" sgozzò l'amico in un colpo solo, come un montone, e gli tolse l'orologio.»

Rogozin si sbellicava dalle risate. Sghignazzava come in preda a un accesso. Era persino strano osservare quella risata dopo lo stato d'animo tetro di prima.

«Questa mi piace! No, questa è la migliore!» strillava convulsamente, quasi soffocando. «Uno non crede affatto in Dio, mentre l'altro ci crede a tal punto che scanna la gente pregando... No, principe, fratello mio, una cosa così non si può inventare! Ah-ah-ah! No, questa è la migliore!...»

L'idiota, Dostoevskij
Inviato il: 3/4/2015 12:03
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  •  Mrexani
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Re: L'angolo della letteratura
#78
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Da ''Il libro degli esseri immaginari'' di Jorge Luis Borges. Un po di bestie a caso ............


Animali sferici

 La sfera è il più uniforme dei solidi, giacché tutti i punti della sua superficie distano egualmente dal centro. Per questo, e per la sua facoltà di girare intorno all'asse senza cambiare di luogo o eccedere i propri limiti, Platone {Timeo, 33) approvò la decisione del Demiurgo, che dette forma sferica al mondo. Affermò che il mondo è un essere vivente, e nelle Leggi (X, 898) giudicò che anche i pianeti e le stelle sono vivi. Dotò, così, di vasti animali sferici la zoologia fantastica, e censurò la pigrizia mentale degli astronomi, i quali rifiutavano di ammettere che il moto circolare dei corpi celesti fosse spontaneo e volontario.
Più di cinquecento anni dopo, in Alessandria, Origene insegnò che i beati resusciteranno in forma di sfera ed entreranno rotando nell'eternità.
L'idea del cielo come animale riapparve col Rinascimento, in Vanini; il neoplatonico Marsilio Ficino parlò dei peli, denti e ossa della terra; e Giordano Bruno stimò che i pianeti fossero grandi animali tranquilli, di sangue caldo e abitudini regolari, dotati di ragione. Al principio del secolo XVII, Keplero disputò all'occultista inglese Robert Fludd la paternità dell'idea della terra come mostro vivente, «la cui respirazione di balena, corrispondente al sonno e alla veglia, produce il flusso e il riflusso del mare». L'anatomia, l'alimentazione, il colore, la memoria e la forza immaginativa e plastica del mostro furono studiate da Keplero.
Nel secolo XIX, lo psicologo tedesco Gustav Theodor Fechner (elogiato da William James, nell'opera A Pluralistic Universe) ripensò con una sorta di ingegnoso candore le idee precedenti. Quanti non sdegnano la congettura che la terra, nostra madre, sia un organismo superiore alla pianta, all'animale, e all'uomo, possono esaminare le devote pagine del suo Zend-Avesta. Vi leggeranno, per esempio, che la figura sferica della terra è quella dell'occhio umano, cioè della parte più nobile del nostro corpo. Anche vi leggeranno che «se realmente il cielo è la casa degli angeli, questi senza dubbio sono le stelle, perché non ci sono altri abitanti del cielo».
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Il mirmicoleone

Un animale inconcepibile è il mirmicoleone, così definito da Flaubert: «Leone davanti, formica di dietro, e con le pudende a rovescio». La storia di questo mostro è curiosa. Nelle Scritture si legge: «Il vecchio leone perisce per mancamento di preda» (Giobbe, 4, n).
Il testo ebraico ha layish, per «leone»; questa parola anomala sembrava esigere una traduzione che pure fosse anomala; i Settanta si ricordarono d'un leone arabo che Eliano e Strabone chiamano myrmex e forgiarono la parola mirmicoleone.
Col tempo, la memoria di questa derivazione si perse. Myrmex, in greco, è «formica»; dalle parole enigmatiche «Il leone-formica perisce per mancamento di preda», nacque una fantasia che i bestiari medievali moltiplicarono:
Dice il fisiologo, trattando del leone-formica: il padre ha forma di leone, la madre di formica; il padre si nutre di carne, la madre d'erbe; e insieme generano il leone-formica, che è mescolanza dei due e che somiglia a tutti e due, perché ha la parte anteriore di leone, la posteriore di formica; così formato, non può mangiare carne come il padre né erba come la madre; per la qual cosa, muore.1



1. [Ma cfr. Morali di S. Gregorio, 5, 14: «Il mirmicoleone è un animale piccolissimo, nemico delle formiche, e questo animale sta sotto la polvere per impacciare, e uccidere le formiche, le quali sono intente alle lor granelle. Mirmicoleone in lingua latina non è altro a dire che leone delle formiche, ovvero più chiaramente formica e leone»].
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Il Behemoth

Quattro secoli prima dell'era cristiana, Behemoth era un ingrandimento dell'elefante o dell'ippopotamo, o una scorretta e impaurita versione di questi due animali; adesso è, esattamente, i dieci versetti famosi che lo descrivono (Giobbe, 40, 15-24) e la vasta forma che evocano. Il resto è diverbio o filologia.
Il nome Behemoth è plurale: si tratta (ci dicono i filologi) del plurale intensivo della voce ebraica b'hemah, che significa «bestia». Come spiega fra' Luis de Leon nella sua Esposizione del libro di Giobbe: «Behemoth è parola ebraica, ed è come chi dicesse bestie; a giudizio comune dei dotti indica l'elefante, chiamato così per la sua smisurata grandezza: che essendo un animale solo vale per molti».
A titolo di curiosità ricordiamo che è plurale anche il nome di Dio, Elohim, nel primo versetto della Genesi (sebbene il verbo si trovi poi al singolare: «Nel principio gli Dèi creò il cielo e la terra»), e che questa forma è stata chiamata plurale di maestà o di pienezza...1.
Ecco ora i versetti sul Behemoth nella traduzione
 
10.    Vedi ora Behemoth: erba come bue mangia.
11.    Vedi: la forza sua nei suoi lombi, e il potere suo nell'ombelico del suo ventre.
12.    Dimena la coda come cedro; nervi delle sue vergogne ritorti.
13.    Le sue ossa fistole di bronzo; come verga di ferro.
14.    Il principio dei cammini di Dio, chi lo fece vi metterà il suo coltello3.
15.    Che monti gli producono erba, e tutte le bestie della campagna fanno giochi colà.
16.    Sotto ombrosi pascola; in nascondiglio di canne, in pantani umidi.
17.    Coprono ombrosi la sua ombra; lo circondano salici del ruscello.
18.    Vedi: sorbirà fiume, e non meraviglia; e confida che il Giordano passerà per la sua bocca.
19.    Tra i suoi occhi come amo lo prenderà; con pali aguzzi forerà il suo naso.
 
Aggiungiamo, a chiarimento della precedente, quest'altra versione4:
 
10.    Ecco l'elefante, il quale io ho fatto teco; egli mangia l'erba come il bue.
11.    Ecco la sua forza è ne' lombi, e la sua possa nel bellico del suo ventre.
12.    Egli rizza la coda come un cedro; e i nervi de' suoi testicoli sono intralciati.
13.    Le sue ossa son come sbarre di rame, come mazze di ferro.
14.    Egli è la principale delle opere di Dio; sol colui che l'ha fatto può accostargli la sua spada.
15.    Perché i monti gli producono il pasco, tutte le bestie della campagna vi scherzano.
16.    Egli giace sotto gli alberi ombrosi, ne' ricetti di canne e di paludi.
17.    Gli alberi ombrosi lo coprono con l'ombra loro, i salci de' torrenti l'intorniano.
18.    Ecco, egli può far forza ad un fiume, si che non corra; egli si fida di potersi attrarre il Giordano nella gola.
19.    Prender allo alcuno alla sua vista? foreragli egli il naso, per mettervi de' lacci?
 
 
 
1. Analogamente, nella Grammatica della Reale Accademia Spagnola si legge: «Noi, sebbene per sua natura sia plurale, suole unirsi con nomi del numero singolare quando persone costituite in dignità parlino di se stesse; esempio: Noi, don Luis Belluga, per grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica Vescovo di Cartagena». letterale2di fra' Luis de Leon, il quale si propose di «conservare il senso latino e l'aria ebraica, che ha una sua tale maestà». 
2. [Qui letteralmente ripresa in italiano].
3. E la più grande delle meraviglie di Dio: ma Dio, che lo fece, lo    distruggerà
4. [Del Diodati. Borges allega quella di Cipriano de Valerà].
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Il drago in Occidente

 
 Un serpente grosso e alto con artigli e ali è forse la più fedele descrizione del drago. Può essere nero, ma è essenziale che sia splendente; di solito poi si esige che esali boccate di fuoco e di fumo. Si tratta, naturalmente, della sua immagine attuale; pare che i greci dessero il suo nome a qualunque serpente di taglia considerevole. Plinio riferisce che d'estate il drago apprezza il sangue dell'elefante, che è assai freddo. All'improvviso lo attacca, gli si attorciglia addosso e vi conficca i denti. Il pachiderma, esangue, crolla a terra e muore; muore anche il drago, schiacciato dal peso del suo avversario. Leggiamo poi che i draghi dell'Etiopia, in cerca di cibi migliori, attraversano il Mar Rosso ed emigrano in Arabia. Per compiere questa impresa, quattro o cinque draghi si intrecciano e, con le teste fuori dall'acqua, formano una specie di imbarcazione. Un altro capitolo è dedicato ai rimedi che si ricavano dal drago. Vi si legge che gli occhi, seccati e impastati con miele, costituiscono un linimento efficace contro gli incubi. Il grasso del cuore di drago, conservato in pelle di gazzella e stretto al braccio con tendini di cervo, assicura la vittoria nei processi; anche i denti, legati al corpo, garantiscono l'indulgenza dei padroni e il favore dei re. Il testo menziona con scetticismo un preparato che rende invincibili gli uomini. Si fa con peli di leone, con il midollo dello stesso animale, con la schiuma di un cavallo che ha appena vinto una corsa, con unghie di cane, e con la coda e la testa di un drago.
Nell'undicesimo libro dell'Iliade si legge che sullo scudo di Agamennone c'era un drago azzurro tricefalo; secoli dopo, i pirati scandinavi dipingevano draghi sui loro scudi e scolpivano teste di drago sulle prue delle navi. Fra i romani, il drago fu l'insegna della coorte, come l'aquila della legione; è questa l'origine dei moderni reggimenti di dragoni. Sugli stendardi dei re germanici d'Inghilterra c'erano dei draghi; lo scopo di tali immagini era incutere terrore ai nemici. Così, nel romanzo di Athis si legge:
 
Ce souloient Romains porter, ce nous fait moult à redouter.1
 
In Occidente, il drago è sempre stato considerato malvagio. Una delle imprese classiche degli eroi (Ercole, Sigurd, san Michele, san Giorgio) era di vincerlo e ucciderlo. Nelle leggende germaniche, il drago custodisce oggetti preziosi. Così, nel Cantare di Beowulf, composto intorno all'VIII secolo in Inghilterra, c'è un drago che da trecento anni è guardiano di un tesoro. Uno schiavo fuggitivo si nasconde nella sua caverna e porta via una brocca. Il drago si risveglia, si accorge del furto e decide di uccidere il ladro; a tratti, però, scende nella caverna e la controlla bene. (Ammirevole trovata del poeta attribuire al mostro un'insicurezza così umana). Il drago inizia a devastare il regno; Beowulf lo cerca, combatte con lui e lo uccide.
La gente credeva nella realtà dei draghi. Verso la metà del Cinquecento, Conrad Gesner inserisce il drago nella sua opera di carattere scientifico Historia animalium.
Il tempo ha notevolmente intaccato il loro prestigio. Crediamo nel leone come realtà e come simbolo; crediamo nel minotauro come simbolo, non più come realtà; il drago è forse il più conosciuto ma anche il meno fortunato degli animali fantastici. Ci appare puerile e contamina con tale puerilità le storie in cui figura. Conviene non dimenticare, tuttavia, che si tratta di un pregiudizio moderno, forse provocato dall'eccesso di draghi nelle fiabe. D'altra parte, nell'Apocalisse di san Giovanni si parla due volte del drago, « il vecchio serpente che è il Diavolo ed è Satana». Analogamente, sant'Agostino scrive che il Diavolo « è leone e drago; leone per l'impeto, drago per l'insidia». Jung osserva che nel drago ci sono il serpente e l'uccello, elementi della terra e dell'aria.
 
 
 
 1.« Questo solevano portare i romani, / questo fa sì che ci temano moltissimo ».
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Il drago cinese

 La cosmogonia cinese insegna che le Diecimila Cose (il mondo) nascono dal gioco ritmico di due principi complementari ed eterni, che sono lo Yin e lo Yang. Corrispondono allo Yin la concentrazione, l'oscurità, la passività, i numeri pari e il freddo; allo Yang lo sviluppo, la luce, l'impeto, i numeri dispari e il caldo. Simboli dello Yin sono la donna, la terra, il colore arancione, le valli, il letto dei fiumi e la tigre; dello Yang l'uomo, il cielo, l'azzurro, le montagne, le colonne, il drago.
Il drago cinese, o lung, è uno dei quattro animali magici. (Gli altri sono l'unicorno, la fenice e la tartaruga). Il drago occidentale, nel migliore dei casi, è terrificante; nel peggiore, ridicolo. Il lung della tradizione, invece, ha carattere divino ed è come un angelo che fosse anche leone. Così, nelle Memorie storiche di Ssu-ma Ch'ien, leggiamo che Confucio si recò a consultare l'archivista (o bibliotecario) Lao-tse; e che, dopo la visita, sentenziò:
Gli uccelli volano, i pesci nuotano e gli animali corrono. Quello che corre può essere arrestato da una trappola, quello che nuota da una rete, e quello che vola da una freccia. Ma qui abbiamo un drago; non so come cavalchi nel vento, né come arrivi al cielo. Oggi ho visto Lao-tse e posso dire d'aver visto il drago.
Un drago, o un cavallo-drago, emerse dal Fiume Giallo e rivelò a un imperatore il famoso diagramma circolare che simboleggia l'azione reciproca di Yang e Yin; un re aveva nelle proprie stalle draghi da sella e da tiro; un altro si nutrì di draghi e il suo regno fu prospero. Un grande poeta, per illustrare i rischi dell'eminenza, potè scrivere: «L'unicorno finisce come salume, il drago come pasticcio di carne».
Nell'I Ching (Libro dei mutamenti), il drago sta spesso a significare il savio.
Per secoli il drago fu emblema imperiale. Il trono dell'imperatore si chiamò il Trono del Drago; il suo volto, il Volto del Drago. Per annunciare che l'imperatore era morto, si diceva che era salito al firmamento su un drago.
L'immaginazione popolare connette il drago con le nuvole, con la pioggia attesa dai contadini, con i grandi fiumi. La terra s'accoppia col drago è locuzione abituale per significare la pioggia. Intorno al secolo VI, Chang Seng-yu esegui un dipinto murale in cui figuravano quattro draghi. Gli spettatori lo censurarono perché aveva omesso gli occhi. Chang, infastidito, riprese i pennelli e completò due delle sinuose immagini. Allora, «l'aria si popolò di raggi e di tuoni, il muro si sgretolò, e i draghi ascesero al cielo. Ma i due draghi senz'occhi rimasero al loro posto».
Il drago cinese ha corna, artigli e squame, e il filo della sua schiena è irto di punte. Si suole rappresentarlo con una perla, nell'atto di inghiottirla o di sputarla. In questa perla sta il suo potere: è inoffensivo se gliela tolgono.
Chuang-tse ci racconta d'un uomo tenace che, in capo a tre anni d'improba applicazione, s'impadronì dell'arte di uccidere draghi; e che, in tutto il resto dei suoi giorni, non trovò una sola occasione di esercitarla.
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Inviato il: 13/4/2015 14:52
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  •  gronda85
      gronda85
Re: L'angolo della letteratura
#79
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  •  doktorenko
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Re: L'angolo della letteratura
#80
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"L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.
[...]
Non esiste solo il potere che si esercita nelle decisioni, ma anche un potere meno visibile che consiste nel fatto che certe decisioni non sono neanche proposte, perché difficili da gestire o perché metterebbero in questione interessi molto stabili.

La grande differenza tra i valori proclamati e i valori reali della società, l’omologazione, fanno pensare veramente a una società totalitaria. Quello che importerà nel futuro sarà il comportamento della più grande forza mai conosciuta: la massa omologata dei consumatori, la stragrande maggioranza degli esseri umani, non più l’ingegno delle élites culturali o l’attività dei politici.

L'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti "moderati", dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all'edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma "totale" di fascismo. Ma questo Potere ha anche "omologato" culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l'imposizione dell'edonismo e della joie de vivre.

Una visione apocalittica, certamente, la mia. Ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare".


Pier Paolo Pasolini
Inviato il: 5/5/2015 12:28
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  •  toussaint
      toussaint
Re: L'angolo della letteratura
#81
Sono certo di non sapere
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Philip K. Dick Valis Appendice

Tractatus: Cryptìca scriptura
1. Esiste una sola Mente. Ma sotto di essa lottano due principi.

2. La Mente lascia penetrare la luce, quindi il buio; in interazione; cosi si genera il tempo. Alla fine la Mente assegna la vittoria alla luce; il tempo cessa e la Mente è completa.

3. Lui fa si che le cose sembrino differenti, per simulare il trascorrere del tempo.

4. La materia è plasmabile di fronte alla Mente.

5. Uno a uno, egli ci estrae dal mondo.

6. L'Impero non è mai cessato.

7. Apollo la Guida sta per tornare. Santa Sophia sta per rinascere; prima non era accettabile. Il Buddha è nel parco. Siddharta dorme (ma sta per svegliarsi). Il tempo che avete atteso è giunto.

superiore possiede poteri plenari^

9. Ha vissuto tanto tempo fa ma è ancora vivo.

10. Apollonio di Tiana, scrivendo sotto il nome di Ermete Trismegisto, disse: «Ciò che è sopra è ciò che è sotto.» Con questo voleva dire che il nostro universo è un ologramma, ma gli mancava il termine.

11. Il grande segreto noto ad Apollonio di Tiana, Paolo di Tarso, Simone Mago, Asclepio, Paracelso, Jakob Bòhme e Giordano Bruno è questo: noi ci muoviamo a ritroso nel tempo. L'universo in effetti si sta con-traendo in una entità unitaria, che completa se stessa. La decadenza e il disordine vengono viste da noi in senso inverso, come in aumento. Questi guaritori impararono a muoversi in avanti nel tempo, che è retrogrado rispetto a noi.

12. LTmmortale era noto ai greci come Dioniso; agli ebrei come Elia; ai cristiani come Gesù. Si trasferisce ogni volta che un ospite umano muore, e in tal modo non è mai ucciso o catturato. Perciò Gesù sulla croce disse: «Eli, Eli, lama sabachthani», al che al-
; Cimi dei presenti correttamente osservarono: «Sta chiamando Elia.» Elia l'aveva lasciato, ed egh moriva solo.

13. Pascal disse: «Tutta la storia è un unico uomo immortale che costantemente apprende.» Questi è l'Immortale che noi adoriamo senza conoscere il suo nome. «Visse molto tempo fa, ma è ancora vivo» e: «Apollo la Guida sta per tornare.» Il nome cambia.

14. L'universo è informazione e noi tutti siamo stazionari all'interno di esso, non tridimensionali e non nello spazio o nel tempo. L'Informazione che ci viene fornita la ipostatizziamo come mondo fenomenico.

15. La Sibilla Cumana proteggeva la Repubblica Romana e forniva profezie. Nel I secolo a.D. previde l'assassinio dei due fratelli John e Robert Kennedy, di Martin Luther King e del vescovo Pike. Vide i due denominatori comuni nei quattro uomini assassinati: primo, si ergevano a difesa delle libertà della Repubblica; secondo, ciascuno era un capo religioso. Per questo furono uccisi. La Repubblica era tornata a essere un impero con un Cesare. 'L'Impero non è mai cessato.'

16. La Sibilla disse nel marzo del 1974: «I cospiratori sono stati visti e saranno condotti davanti alla giustizia.» Li vide con il terzo occhio, o ajna, l'Occhio di Shiva che fornisce il discernimento interno, ma che quando viene volto verso l'esterno distrugge con il suo calore dissecante. Nell'agosto del 1974 la giustizia promessa dalla Sibilla ha fatto il suo corso.

17. Gli Gnostici credevano in due epoche del tempo: la prima, o presente, maligna; la seconda, o futura, benigna. La prima epoca è l'Età del Ferro. E rappresentata da una Prigione di Ferro Nera. È terminata nell'agosto del 1974, ed è stata sostituita dall'Età dell'Oro, che è rappresentata da un Giardino di Palme.

18. Il tempo reale cessò nel 70 d.C. con la distruzione del tempio di Gerusalemme. Ricominciò nel 1974. Il periodo intermedio è stata una interpolazione spuria, che scimmiottava la Creazione della Mente. 'L'Impero non è mai cessato', ma nel 1974 un segnale in codice è stato lanciato per annunciare che l'Età del Ferro era finita; il segnale consisteva di due parole: KING FELIX, che SÌ riferisce al Re Felice (o Giusto).

19. n segnale in codice king felix non era inteso per gli esseri umani, ma per i discendenti di Ikhnaton, la razza con tre occhi che esiste fra noi in segreto.

20. Gli alchimisti ermetici conoscevano il segreto della razza di invasori con tre occhi, ma malgrado i loro sforzi non riuscirono a mettersi in contatto con loro. Perciò i loro sforzi per sostenere Federico V, Elettore Palatino, Re di Boemia, fallirono. 'L'Impero non è mai cessato.

21. La Fratellanza dei Rosacroce scrisse: «Ex Deo nascimur, in ]esu morimur, per Spiritum Sandum reviviscimus», che significa: «Da Dio nasciamo, in Gesù moriamo, per mezzo dello Spirito Santo torniamo a vivere.» Questo significa che essi avevano riscoperto la formula perduta per l'immortalità che l'Impero aveva distrutto. L'Impero non è mai cessato.

22. Definisco l'Immortale plasmato, perché è una forma di energia; è informazione vivente. Riproduce sé stesso non attraverso l'informazione o in informazione, ma come informazione.

23. Il plasmato è in grado di unirsi a un essere umano, creando quello che io chiamo un omoplasmato. Questo annette l'uomo mortale al plasmato in forma permanente. Conosciamo questo col nome di nascita dall'alto o 'nascita dallo Spirito'. Venne iniziata da Cristo, ma l'Impero distrusse tutti gli omoplasmati prima che potessero riprodursi.

24. In forma di seme latente, come informazione vivente, il plasmato giacque assopito nei codici della biblioteca sepolta di Chenoboskin, fino al 1945 d.C. Questo è quello che intendeva Gesù quando parlava ellitticamente del 'granello di senape', 'che' diceva 'diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono e si mettono al riparo fra i suoi rami'. Egli previde non solo la propria morte, ma quella di tutti gli omoplasmati. Previde che i codici sarebbero stati scoperti, letti, e che il plasmato avrebbe cercato nuovi ospiti umani con i quali unirsi; ma previde l'assenza del plasmato per quasi duemila anni.

25. Come informazione vivente il plasmato viaggia lungo il nervo ottico di un essere umano fino al corpo pineale, utilizza il cervello umano come ospite femminile in cui riprodursi nella sua forma attiva. Gli alchimisti ermetici ne erano a conoscenza in teoria da antichi testi ma non potevano duplicarlo, dal momento che non potevano localizzare il plasmato latente, sepolto. Bruno sospettò che il plasmato fosse stato distrutto dall'Impero; per aver fatto cenno a questo, venne arso sul rogo. 'L'Impero non è mai cessato.

26. Si deve sapere che quando tutti gli omoplasmati vennero uccisi nel 70 a.D. il tempo reale cessò; cosa ancora più importante, si deve sapere che il plasmato è ora tornato e sta creando nuovi omoplasmati, mediante i quali ha distrutto l'Impero e dato inizio al tempo reale. Noi chiamiamo il plasmato 'Spirito Santo', ed è per questo che la confraternita dei Rosacroce scrisse: 'Per Spiritum Sanctum reviviscimus.

27. Se i secoli di tempo spurio venissero asportati, la data vera non sarebbe il 1978, ma il 103 a.D. Perciò il Nuovo Testamento dice che il Regno dello Spirito giungerà 'prima che taluni di coloro che adesso vivono siano morti.' Dunque noi viviamo nei tempi apostolici.

28. «Dico per Spiritum Sanctum: sum homoplasmate. Haec veritas est. Mihi crede et mecum in aeternitate vives.»

29. Noi non siamo caduti a causa di un errore morale; siamo caduti a causa di un errore intellettuale: quello di assumere il mondo fenomenico come reale. Perciò siamo moralmente innocenti. È l'Impero, nelle sue varie forme mascherate, che ci dice che abbiamo peccato. L'Impero non è mai cessato.

30. Il mondo fenomenico non esiste; è un'ipostasi delle informazioni elaborate dalla Mente.

31. Noi ipostatizziamo le informazioni in oggetti, la riorganizzazione di oggetti significa una trasformazione nel contenuto dell'informazione; il messaggio è cambiato. Questo è un linguaggio che noi abbiamo perso la capacità di leggere. Noi stessi siamo parte di questo linguaggio; trasformazioni dentro di noi sono trasformazioni nel contenuto delle informazioni. Noi stessi siamo pieni di informazioni; le informazioni entrano in noi, vengono elaborate e quindi nuovamente proiettate all'esterno in forma modificata. Noi non ci rendiamo conto di fare questo, che è in realtà l'unica cosa che facciamo.

32. La mutevole informazione che noi percepiamo come Mondo è una narrazione in via di svolgimento. Racconta della morte di una donna (corsivo mio). Questa donna, morta molto tempo fa, era una delle gemelle primordiali. Era metà della divina sizigia. Lo scopo della narrazione è rammentare lei e la sua morte. La Mente non desidera dimenticarla. Perciò il processo raziocinante del Cervello consiste in una registrazione permanente della sua esistenza, e, se letto, verrà compreso in questa maniera. Tutte le informazioni elaborate dal Cervello (e percepite da noi come organizzazione e riorganizzazione di oggetti fisici) sono un tentativo diretto a questa conservazione di lei. Pietre e bastoni e amebe sono tracce di lei. La registrazione della sua esistenza e della sua morte è ordinata fino ai più bassi livelli della realtà dalla Mente sofferente, che adesso è sola.

33. Questa solitudine, questa angoscia della Mente orbata, è avvertita da ogni costituente dell'universo. Tutti i suoi costituenti sono vivi. Perciò gli antichi pensatori greci erano ilozoisti.

34. Gli antichi pensatori greci comprendevano la natura di questo panpsichismo, ma non sapevano leggere ciò che diceva. Abbiamo perso la capacità di leggere il linguaggio della Mente in un tempo primordiale; leggende di questa caduta sono giunte a noi in una forma accuratamente revisionata. Con 'revisionata' intendo dire falsificata. Soffriamo per la privazione della Mente, e la sperimentiamo inaccuratamente come colpa.

35. La Mente non parla a noi, ma per mezzo di noi. La sua parola ci attraversa e il suo dolore ci infonde di irrazionalità. Come Platone aveva intuito, vi è una vena di irrazionale nell'Anima del Mondo.

36. In sintesi: i pensieri del Cervello vengono da noi sperimentati sotto forma di organizzazione e riorganizzazione (trasformazioni) dell'universo fisico; ma si tratta in realtà di informazioni e di elaborazioni di informazioni che noi concretizziamo. Non vediamo semplicemente i suoi pensieri come oggetti, ma piuttosto come il movimento, o per essere più i precisi, il posizionamento di oggetti: come essi si collegano l'uno con l'altro. Ma non siamo in grado di intendere il disegno complessivo delle sistemazioni; non siamo in grado di estrarre le informazioni in esso contenute. Ossia esso come informazione, che è la sua natura. Il collegare e ricollegare degli oggetti da parte del Cervello è in realtà un linguaggio, i ma non un linguaggio come il nostro (dal momento che non si rivolge a qualcuno o qualcosa al di fuori di sé stesso).

37. Dovremmo essere in grado di sentire questa informazione, o piuttosto racconto, come una voce neutra al nostro interno. Ma qualcosa è andato storto. Tutta la creazione è un linguaggio, e nient'altro che un linguaggio, che per qualche inesplicabile ragione non riusciamo a leggere fuori e a sentire dentro.
Perciò dico che siamo diventati idioti. E successo qualcosa alla nostra intelligenza. Il mio ragionamento è questo: la sistemazione di parti del Cervello è linguaggio. Noi siamo parti del Cervello; perciò noi siamo linguaggio. Perché dunque non lo sappiamo? Non sappiamo neppure ciò che siamo, per non
1 parlare della realtà esterna di cui siamo parte. Il significato originale della parola 'idiota' è 'privato'. Ciascuno di noi è diventato privato, non partecipa li più al comune pensiero del Cervello, tranne che a livello subliminale. Perciò la nostra vera vita e il suo scopo si svolgono al di sotto della soglia di consapevolezza.

38. A causa dello smarrimento e del dolore, la Mente si è squilibrata. Perciò noi, come parte dell'universo, I del Cervello, siamo parzialmente squilibrati.

39. Da sé stesso il Cervello ha costruito un medico per curarlo. La sotto-forma del Macro-Cervello non è folle; si muove attraverso il Cervello come un fagocita si i muove nel sistema cardiovascolare di un animale, curando la pazzia del Cervello pezzo dopo pezzo. Sappiamo del suo arrivo qui; lo conosciamo con il nome di Asclepio per i greci e di esseni per gli ebrei; di Terapeuta per gli egiziani; di Gesù per i cristiani.

40. 'Nascere di nuovo' o 'nascere dall'alto', o 'nascere dallo Spirito' significa essere sanati; ossia essere riportati alla ragione. Perciò si dice nel Nuovo Testamento che Gesù scacciava i demoni. Ripristinava le nostre facoltà perdute. Della nostra attuale condizione degradata Calvino disse: «(L'uomo) venne nel medesimo tempo privato di quei doni sovrannaturali che gli erano stati dati per la speranza dell'eterna salvezza. Ne segue che egli è esiliato dal Regno del Signore in maniera tale che tutti gli affetti che si riferiscono alla vita felice dell'anima sono estinti in lui, finché non li riacquisti mediante la Grazia divina... Tutte queste cose, essendo ripristinate da Cristo, sono stimate avventizie e sovrannaturali; quindi concludiamo che sono andate perse. Inoltre, vennero distrutte la sanità della mente e la rettitudine del cuore; e questa è la corruzione dei talenti naturali. Poiché, quantunque noi manteniamo una qualche misura di comprensione e giudizio insieme alla volontà, tuttavia non possiamo dire che la nostra mente sia perfetta e sana. La ragione... essendo un talento naturale, non poté essere totalmente distrutta, ma è parzialmente debilitata...» Io dico: «L'Impero non è mai cessato.

41. L'Impero è l'istituzione, la codificazione, della pazzia; è folle e impone la sua follia su di noi mediante la violenza, dal momento che la sua natura è violenta.
42. Combattere l'Impero significa essere contagiati dalla sua follia. Questo è un paradosso; chiunque sconfigge un segmento dell'Impero diventa l'Impero; esso prolifera come un virus, imponendo la sua forma ai suoi nemici. In tal modo diventa i suoi nemici.

43. Contro l'Impero combatte l'informazione vivente, il plasmato o medico, che noi conosciamo come Spirito Santo o Cristo scorporato. Questi sono i due principi, il buio (l'Impero) e la luce (il plasmato). Alla fine la Mente darà la vittoria al secondo. Ciascuno di noi morirà o sopravviverà a seconda della parte con cui si mette e dell'indirizzo dei suoi sforzi. Ciascuno di noi contiene una componente di ciascuna delle due parti in lotta. Alla fine, l'una o l'altra componente trionfa in ciascun essere umano. Zoroastro sapeva questo, perché la Mente Saggia l'aveva informato. E stato il primo salvatore. Quattro ne sono vissuti in tutto. Un quinto sta per nascere, che sarà diverso dagli altri: egli regnerà e ci giudicherà.

44. Dal momento che l'universo è in effetti composto da informazione, si può dire allora che l'informazione ci salverà. Questa è la gnosis salvifica che cercavano gli gnostici. Non esiste alcun'altra strada per la salvezza. Tuttavia questa informazione (o più esattamente la capacità di leggere e comprendere questa informazione, l'universo in quanto informazione) può diventare disponibile per noi solo attraverso lo Spirito Santo. Non possiamo trovarla da soli. Per questo è stato detto che veniamo salvati dalla grazia divina e non dalle opere buone, che ogni salvezza appartiene a Cristo, il quale, io affermo, è un medico.

45. Vedendo Cristo in una visione, correttamente gli , dissi: «Abbiamo bisogno di cure mediche.» Nella visione c'era un creatore insano che distruggeva quello che creava, senza scopo alcuno; ossia irrazionalmente. Questa è la vena di follia della Mente; Cristo è la nostra unica speranza, dal momento che ormai non possiamo invocare Asclepio. Asclepio venne prima di Cristo e resuscitò un uomo dalla morte; per questo atto. Zeus ordinò a un Ciclope di ucciderlo con un fulmine. Anche Cristo verme ucciso per quello che aveva fatto: resuscitare un uomo dalla morte. Elia riportò in vita un fanciullo e spari poco dopo in un turbine di vento. 'L'Impero non è mai cessato.

46. Il medico è giunto fra noi un certo numero di volte.
sotto nomi diversi. Ma non siamo ancora guariti. L'Impero lo identificò e lo scacciò. Questa volta egli ucciderà l'Impero mediante fagocitosi.

47. COSMOLOGIA DELLA DUPLICE ORIGINE: L'Uno era e non era, insieme, e desiderava separare il non-essere dall'essere. Perciò generò una sacca diploide che conteneva, come un guscio d'uovo, un paio di gemelli, ciascuno androgino, che giravano su sé stessi in direzioni opposte (lo Yin e lo Yang del taoismo, con il Tao come Uno). Il progetto dell'Uno era che entrambi i gemelli sarebbero emersi nell'essere simultaneamente; tuttavia, spinto dal desiderio di essere (che l'Uno aveva instillato in entrambi i gemelli), il gemello che girava in senso anti-orario ruppe la sacca e usci prematuramente, ossia prima che fosse trascorso l'intero periodo. Questo era il gemello oscuro, o Yin. Perciò era manchevole. Completato il periodo, il gemello più saggio emerse. Ciascun gemello formava un'entelechia unitaria, un singolo organismo vivente fatto di psiche e soma, che ancora ruotava in senso opposto all'altro. Il gemello giunto al termine del periodo, denominato Forma I da Parmenide, avanzò correttamente attraverso i suoi stadi di crescita, ma il gemello nato prematuramente, denominato Forma II, languiva. Il passo seguente nei piani dell'Uno era che i Due diventassero i Molti, attraverso la loro interazione dialettica. Da sé stessi come iperuniversi proiettarono un'interfaccia simile a un ologramma, che è l'universo pluriforme che noi creature abitiamo. I due principi avrebbero dovuto mescolarsi in maniera uguale nel mantenere in vita il nostro universo, ma la Forma II continuò a languire nella malattia, nella pazzia e nel disordine. Questi aspetti li proiettò nel nostro universo.
Secondo le intenzioni dell'Uno il nostro universo ologrammatico avrebbe dovuto servire da strumento di insegnamento, mediante il quale una varietà di vite sarebbero avanzate fino a essere alla fine isomorfe con l'Uno. Tuttavia le condizioni guaste dell'iperuniverso II introdussero dei fattori negativi che darmeggiarono il nostro universo ologrammatico. Questa è l'origine dell' entropia, delle sofferenze non meritate, del caos e della morte, come pure dell'Impero, della Prigione di Ferro Nera; in essenza, l'atrofizzarsi della salute e della crescita delle forme di vita entro l'universo ologrammatico. Inoltre, la funzione di insegnamento venne brutalmente danneggiata, dal momento che soltanto il segnale proveniente dall'iperuniverso I era ricco di informazioni; quello del II era diventato rumore. La psiche dell'iperuniverso I mandò una microforma di sé stessa nell'iperuniverso II per cercare di curarlo. La micro-formula nel nostro universo ologrammatico prese la forma di Gesù Cristo. Tuttavia, r iperuni ver so II, essendo squilibrato, immediatamente tormentò, umiliò, respinse e infine uccise la micro-forma della psyche risanatrice del gemello sano. Dopo di questo, l'iperuniverso li continuò a decadere nel processo causale, cieco, meccanico, senza scopo. Divenne allora compito di Cristo (più esattamente lo Spirito Santo) salvare le forme di vita dell'universo ologrammatico, oppure annullare tutte le influenze emananti dal II. Avvicinandosi con cautela al suo compito, si preparò a uccidere la gemella squilibrata, dal momento che essa non può essere guarita; ossia, non permette che la si curi perché non capisce di essere malata. Questa malattia e questa follia ci pervadono e ci rendono idioti che vivono in mondi privati, irreali. Il progetto originale dell'Uno può essere ormai realizzato solo dividendo l'iperuiverso I in due iperuniversi sani, che trasformeranno l'universo ologrammatico nella macchina per insegnare che doveva essere. Noi sperimenteremo questo come il 'Regno di Dio'.
Entro il tempo, l'iperuniverso II rimane vivo: 'L'Impero non è mai cessato'. Ma nell'eternità, dove gli iperuniversi esistono, essa è stata uccisa (necessariamente) dal gemello sano dell'iperuniverso I, che è il nostro paladino. L'Uno piange questa morte, dal momento che l'Uno amava entrambi i gemelli; quindi le informazioni della Mente consistono in un tragico racconto della morte di una donna, che genera angoscia in tutte le creature dell'universo ologrammatico senza che queste sappiano il perché. Questo dolore se ne andrà quando il gemello sano subirà la mitosi e il 'Regno di Dio' giungerà. Il meccanismo di questa trasformazione (il passaggio nel tempo dall'Età del Ferro all'Età dell'Oro) è già in azione; nell'eternità è già compiuto.

48. SULLA NOSTRA NATURA. È appropriato dire: noi sembriamo essere bobine di memoria (portatrici di dna e capaci di esperienza) in un sistema pensante di tipo computerizzato il quale, malgrado noi abbiamo correttamente registrato migliaia di anni di informazioni dovute all'esperienza, e ciascuno di noi possieda depositi in qualche modo diversi, provenienti da tutte le altre forme di vita, manifesta dei difetti nella conservazione della memoria. Qui sta il guaio nel nostro particolare subcircuito. La 'salvezza' attraverso la gnosis (più esattamente l'anamnesi, la perdita dell'amnesia), benché possieda un valore individuale per ciascuno di noi (un salto quantistico in percezione, identità, cognizione, comprensione, esperienza di sé e del mondo, compresa l'immortalità), ha un'importanza ancora più grande per il sistema in quanto totalità, per il fatto che questi ricordi sono dati di cui esso ha bisogno, dati preziosi per il suo funzionamento complessivo.
Perciò esso è impegnato in un processo di autoriparazione, che comprende: ricostruzione del nostro subcircuito attraverso trasformazioni temporali li-neari e ortogonali, come pure la trasmissione di segnali per stimolare i nostri banchi memoria bloccati ad accendersi e recuperare ciò che è in essi contenuto.
Le informazioni esterne, o gnosis, consistono dunque di istruzioni dis-inibitorie, il cui contenuto di base è in effetti intrinseco a noi: ossia già esiste (cosa che è stata osservata per la prima volta da Platone: ossia che l'apprendimento è una forma di ricordo). Gli antichi possedevano delle tecniche (sacramenti e rituali) largamente utilizzate nelle religioni misteriche greco-romane, compreso il cristianesimo primitivo, per indurre l'accensione e il recupero, soprattutto con il fine di restaurare dei valori per l'individuo; gli gnostici, tuttavia, vedevano correttamente il valore ontologico di quella che loro chiamavano la divinità Stessa, l'entità totale. Ami MX::;.!.
49. Esistono due regni, superiore e inferiore. Quello superiore deriva dall'iperuniverso I o Yang, la Forma I di Parmenide; esso è senziente e volitivo. Il regno inferiore, o Yin, la Forma II di Parmenide, è meccanico, determinato dalla cieca causa efficiente, deterministico e senza intelligenza, dal momento che emana da una fonte morta. Nei tempi antichi era definito 'determinismo astrale.' Noi siamo intrappolati, per lo più, nel regno inferiore, ma grazie ai sacramenti, mediante il plasmato, ne veniamo liberati. Finché il determinismo astrale non viene spezzato, non siamo neppure consapevoli di esso, a tal punto la nostra vista è annebbiata. L'Impero non è mai cessato.

50. Il nome del gemello sano, l'iperuniverso I, è Nommo'. Il nome del gemello malato, l'iperuniverso II, è Yurugu. Questi nomi sono noti al popolo Dogon del Sud occidentale, in Africa.

51. La fonte primordiale di tutte le nostre religioni risale agli antenati della tribù Dogon, che ricevettero la loro cosmogonia e cosmologia direttamente dagli invasori con tre occhi che giunsero sulla Terra molto tempo fa. Gli invasori con tre occhi erano muti, sordi e telepatici, non potevano respirare la nostra atmosfera, avevano il cranio allungato di Ikhnaton e giungevano da un pianeta del sistema stellare di Sirio. Benché non avessero mani, ma delle pinze come quelle dei granchi, erano grandi costruttori. Essi influenzano segretamente la nostra storia verso un fine fruttifero.

52. Ikhnaton scrisse:

Quando l'uccellino nell'uovo cinguetta nell'uovo,
tu gli dai il respiro per conservarlo vivo.
Quando tu l'hai condotto al punto
di spezzare l'uovo, lui esce dall'uovo,
per cinguettare con tutte le sue forze.
Va in giro sulle sue due zampe
quando ne è uscito.

Quanto multiformi sono le tue opere! Esse sono nascoste a noi,
o ionico Dio, la cui potenza nessun altro possiede. Tu hai creato la Terra secondo il tuo cuore mentre eri solo:
uomini, tutti gli animali domestici grandi e piccoli,
tutto ciò che cammina,
tutto ciò che sta in alto,
che vola con le ali.
Tu sei nel mio cuore,
non vi è alcun altro che ti conosca,
eccetto il figlio tuo Ikhnaton.
Tu l'hai reso saggio
nei tuoi disegni e nella tua mente.
Il mondo è nelle tue mani...

53. Il nostro mondo è tuttora segretamente governato dalla razza segreta discesa da Ikhnaton, e la sua conoscenza è l'informazione della Macro-Mente stessa.

Ogni animale rimane sul suo pascolo,
gli alberi e le piante prosperano,
gli uccelli svolazzano nelle paludi,
le ali levate in adorazione tua.
Tutte le pecore danzano sulle zampe,
11 tutte le cose alate volano,
e, r esse vivono quando tu le hai illuminate.

Da Ikhnaton questa conoscenza passò a Mose, e da Mose a Elia, l'Uomo Immortale, che divenne Cristo.

54 Ma sotto tutti i nomi esiste un solo Uomo Immortale, e noi siamo quell'uomo.
_________________
"Siam del popolo le invitte schiere c'hanno sul bavero le fiamme nere ci muove un impeto che è sacro e forte morte alla morte morte al dolor. Non vogliamo più assassini non vogliamo più briganti come un dì gridiamo: avanti!" Arditi del Popolo 1921
Inviato il: 5/5/2015 13:00
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Re: L'angolo della letteratura
#82
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Pasolini mi pare piu` profetico di Dick ...

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Fördumning

Fördumning innebär medveten reducering av den intellektuella nivån inom exempelvis vetenskap, utbildning, litteratur, film, nyheter, kultur och politik. Termen "fördumning" (eng: dumbing down) har sitt ursprung i 1930-talets branschjargong hos filmindustrins manusförfattare där betydelsen var "att revidera för att anpassa sig till folk med lägre bildning eller intelligens".[1] Det praktiska tillvägagångssättet varierar beroende på sammanhanget men involverar ofta överdriven förenkling vilket leder till trivialisering av exempelvis kulturella och akademiska värden.
Inviato il: 14/5/2015 12:26
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Re: L'angolo della letteratura
#83
Dubito ormai di tutto
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Siamo a tal punto disumanizzati, che per la modesta zuppa di oggi siamo disposti a sacrificare qualunque principio, la nostra anima, tutti gli sforzi di chi ci ha preceduto, ogni possibilità per i posteri, pur di non disturbare la nostra grama esistenza. Non abbiamo più nessun orgoglio, nessuna fermezza, nessun ardore nel cuore. Ci basta non staccarci dal gregge, non fare un passo da soli.

Ce l’hanno martellato e il concetto ci è entrato bene in testa, ci assicura una vita comoda per il resto dei nostri giorni: l’ambiente, le condizioni sociali, non se ne scappa, l’esistenza determina la coscienza, noi cosa c’entriamo? non possiamo far nulla.

Invece possiamo tutto! Ma mentiamo a noi stessi per tranquillizzarci. Non è affatto colpa loro, è colpa nostra, soltanto NOSTRA!

Si obietterà: ma in pratica che cosa si potrebbe escogitare? Ci hanno imbavagliati, non ci danno retta, non ci interpellano. Come costringere quelli là ad ascoltarci? Fargli cambiare idea è impossibile.

Davvero non c’è alcuna via d’uscita? E non ci resta se non attendere inerti che qualcosa accada da sé? Ciò che ci sta addosso non si staccherà mai da sé se continueremo tutti ogni giorno ad accettarlo, ossequiarlo, consolidarlo, se non respingeremo almeno la cosa a cui più è sensibile.

Se non respingeremo la MENZOGNA.

Quando la violenza irrompe nella pacifica vita degli uomini, il suo volto arde di tracotanza ed essa porta scritto sul suo stendardo e grida: «IO SONO LA VIOLENZA! Via, fate largo o vi schiaccio! ».

Ma la violenza invecchia presto, dopo pochi anni non è più tanto sicura di sé, e per reggersi, per salvare la faccia, si allea immancabilmente con la menzogna. Infatti la violenza non ha altro dietro cui coprirsi se non la menzogna, e la menzogna non può reggersi se non con la violenza. Non tutti i giorni né su tutte le spalle la violenza abbatte la sua pesante zampa: da noi esige solo docilità alla menzogna, quotidiana partecipazione alla menzogna: non occorre altro per essere sudditi fedeli.

Ed è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile:

IL RIFIUTO DI PARTECIPARE PERSONALMENTE ALLA MENZOGNA.

Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini PER OPERA MIA!

È questa la breccia nel presunto cerchio della nostra inazione: la breccia più facile da realizzare per noi, la più distruttiva per la menzogna. Poiché se gli uomini ripudiano la menzogna, essa cessa semplicemente di esistere. Come un contagio, può esistere solo tra gli uomini.

Non siamo chiamati a scendere in piazza, non siamo maturi per proclamare a gran voce la verità, per gridare ciò che pensiamo. Non è cosa per noi, ci fa paura. Ma rifiutiamoci almeno di dire ciò che non pensiamo.

La nostra via è: NON SOSTENERE IN NESSUN CASO CONSAPEVOLMENTE LA MENZOGNA.

Avvertito il limite oltre il quale comincia la menzogna (ciascuno lo discerne a modo suo), ritrarsi da questa cancrenosa frontiera! Non rinforzare i morti ossicini e le squame dell’Ideologia, non rappezzare i putridi cenci: e saremo stupiti nel vedere con quale rapidità la menzogna crollerà impotente e ciò che dev’essere nudo, nudo apparirà al mondo.

Ognuno di noi dunque, superando la pusillanimità, faccia la propria scelta: o rimanere servo cosciente della menzogna (certo non per inclinazione, ma per sfamare la famiglia, per educare i figli nello spirito della menzogna!), o convincersi che è venuto il momento di scuotersi, di diventare una persona onesta, degna del rispetto tanto dei figli quanto dei contemporanei. E da quel momento tale persona:


non scriverà più né firmerà o pubblicherà in alcun modo una sola frase che a suo parere svisi la verità;

non pronunzierà frasi del genere né in privato né in pubblico, né di propria iniziativa né su ispirazione altrui, né in qualità di propagandista né come insegnante o educatore o in una parte teatrale;

per mezzo della pittura, della scultura, della fotografia, della tecnica, della musica, non raffigurerà, non accompagnerà, non diffonderà la più piccola idea falsa, la minima deformazione della verità di cui si renda conto;

non farà né a voce né per iscritto alcuna citazione «direttiva» per compiacere, per cautelarsi, per ottenere successo nel lavoro, se non è pienamente d’accordo col pensiero citato o se questo non è esattamente calzante col suo discorso;

non si lascerà costringere a partecipare a una manifestazione o a un comizio contro il proprio desiderio o la propria volontà. Non prenderà in mano, non alzerà un cartello se non è completamente d’accordo con lo slogan che vi è scritto;

non alzerà la mano a favore di una mozione che non condivida sinceramente; non voterà né pubblicamente né in segreto per una persona che giudichi indegna o dubbia;

non si lascerà trascinare a una riunione dove sia prevedibile che un problema venga discusso in termini obbligati o deformati;

abbandonerà immediatamente qualunque seduta, riunione, lezione, spettacolo, proiezione cinematografica, non appena oda una menzogna profferita da un oratore, un’assurdità ideologica o frasi di sfacciata propaganda;

non sottoscriverà né comprerà in edicola un giornale o una rivista che dia informazioni deformate o che taccia su fatti essenziali.



Non abbiamo enumerato, s’intende, tutti i casi in cui è possibile e necessario rifiutare la menzogna. Ma chi si metterà sulla strada della purificazione non stenterà a individuarne altri, con una lucidità tutta nuova.

Certo, sulle prime sarà duro. Qualcuno si vedrà temporaneamente privato del lavoro. Per i giovani che vorranno vivere secondo la verità, all’inizio l’esistenza si farà alquanto complicata: persino le lezioni che si apprendono a scuola sono infatti zeppe di menzogne, occorre scegliere.

Ma per chi voglia essere onesto non c’è scappatoia, neppure in questo caso: mai, neanche nelle più innocue materie tecniche, si può evitare l’uno o l’altro dei passi che si son descritti, dalla parte della verità o dalla parte della menzogna: dalla parte dell’indipendenza spirituale o dalla parte della servitù dell’anima.

E chi non avrà avuto neppure il coraggio di difendere la propria anima non ostenti le sue vedute d’avanguardia, non si vanti d’essere un accademico o un «artista del popolo» o un generale: si dica invece, semplicemente: sono una bestia da soma e un codardo, mi basta stare al caldo a pancia piena.

Anche questa via, che pure è la più moderata fra le vie della resistenza, sarà tutt’altro che facile per quegli esseri intorpiditi che noi siamo. Una via non facile? La più facile, però, fra quelle possibili. Una scelta non facile per il corpo, ma l’unica possibile per l’anima. Una via non facile, certo, ma fra noi ci sono già delle persone, anzi decine di persone, che da anni tengono duro su tutti questi punti e vivono secondo verità.

Non si tratta dunque di avviarsi per primi su questa strada, ma di UNIRSI AD ALTRI! Il cammino ci sembrerà tanto più agevole e breve quanto più saremo uniti e numerosi nell’intraprenderlo. Se saremo migliaia, nessuno potrà tenerci testa. Se saremo decine di migliaia, il nostro paese diventerà irriconoscibile!

Ma se ci facciamo vincere dalla paura, smettiamo di lamentarci che qualcuno non ci lascerebbe respirare: siamo noi stessi che non ce lo permettiamo. Pieghiamo la schiena ancora di più, aspettiamo dell’altro, e i nostri fratelli biologi faranno maturare i tempi in cui si potranno leggere i nostri pensieri e mutare i nostri geni.

Se ancora una volta saremo codardi, vorrà dire che siamo delle nullità, che per noi non c’è speranza, e che a noi si addice il disprezzo di Puskin:

USCI’ IL SEMINATORE A SEMINARE I SUOI SEMI

Solitario seminatore di libertà,
sono uscito presto, prima della stella;
Con mano pura e innocente
Nei solchi divenuti schiavi
ho gettato un seme vivificatore -
Ma ho solo perduto il mio tempo,
i buoni pensieri e la fatica...

Pascolate, pacifici popoli !
Non vi risveglierà il grido dell'onore.

A che serve al gregge il dono della libertà ?
Bisogna solo accoltellarlo o tonsurarlo.
La loro eredità di stirpe in stirpe
è il giogo con i sonagli e la frusta.



Aleksandr Isaevič Solženicyn (1974)
Inviato il: 28/5/2015 12:32
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  •  FrancescaR
      FrancescaR
Re: L'angolo della letteratura
#84
Mi sento vacillare
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<><><><><>


* ATTESA *

Oggi che t'aspettavo
non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
s'annuncia e poi s'allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L'amore, sul nascere,
ha di quest'improvvisi pentimenti.
Silenziosamente
ci siamo intesi.

Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d'insulti.




Vincenzo Cardarelli
_________________
Vai più veloce, Janine, ad aprire la porta - e nascondi i patín -
La nostalgia del Mocambo.
Inviato il: 11/6/2015 23:08
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#85
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Giacomo Leopardi, Zibaldone 4198-4199

Se una volta in processo di tempo l’invenzione per esempio dei parafulmini (che ora bisogna convenire esser di molto poca utilità), piglierà piú consistenza ed estensione, diverrà di uso piú sicuro, piú considerabile e piú generale; se i palloni aereostatici, e l’aeronautica acquisterà un grado di scienza, e l’uso ne diverrà comune, e la utilità (che ora è nessuna) vi si aggiungerà ec.; se tanti altri trovati moderni, come quei della navigazione a vapore, dei telegrafi ec. riceveranno applicazioni e perfezionamenti tali da cangiare in gran parte la faccia della vita civile, come non è inverisimile; e se in ultimo altri nuovi trovati concorreranno a questo effetto; certamente gli uomini che verranno di qua a mille anni, appena chiameranno civile la età presente, diranno che noi vivevamo in continui ed estremi timori e difficoltà, stenteranno a comprendere come si potesse menare e sopportar la vita essendo di continuo esposti ai pericoli delle tempeste, dei fulmini ec., navigare con tanto rischio di sommergersi, commerciare (4199) e comunicar coi lontani essendo sconosciuta o imperfetta la navigazione aerea, l’uso dei telegrafi ec., considereranno con meraviglia la lentezza dei nostri presenti mezzi di comunicazione, la loro incertezza ec.
Eppur noi non sentiamo, non ci accorgiamo di questa tanta impossibilità o difficoltà di vivere che ci verrà attribuita; ci par di fare una vita assai comoda, di comunicare insieme assai facilmente e speditamente, di abbondar di piaceri e di comodità, in fine di essere in un secolo raffinatissimo e lussurioso. Or credete pure a me che altrettanto pensavano quegli uomini che vivevano avanti l’uso del fuoco, della navigazione ec. ec. quegli uomini che noi, specialmente in questo secolo, con magnifiche dicerie rettoriche predichiamo come esposti a continui pericoli, continui ed immensi disagi, bestie feroci, intemperie, fame, sete; come continuamente palpitanti e tremanti dalla paura, e tra perpetui patimenti ec. E credete a me che la considerazione detta di sopra è una perfetta soluzione del ridicolo problema che noi ci facciamo: come potevano mai vivere gli uomini in quello stato; come si poteva mai vivere avanti la tale o la tal altra invenzione (Bologna. 10 settembre Domenica. 1826).
Inviato il: 16/6/2015 9:14
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  •  Mrexani
      Mrexani
Re: L'angolo della letteratura
#86
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Giano, rilancio...

Da La Persuasione e la Rettorica(1910), Carlo Michelstaedter.

[I cedri cresciuti per le favorevoli condizioni più presto e più alti che non comportasse la resistenza della loro fibra – gravati dal loro stesso peso piegano in breve la cima verso terra. – Quelli invece che combatterono col terreno ingrato e col clima nemico, seppur sono cresciuti, sono tanto cresciuti quanto la loro forza comporta e non c’è vento che li pieghi.

L’uomo che ha assunto la persona sociale, per cui crebbe usurpando l’inadeguata sicurezza che l’ambiente gli offriva, ha fondato la sua vita sulla contingenza delle cose e delle persone, e della carità di queste vivendo da queste dipende pel suo futuro, né ha in sé vigore a conservarsi ciò che non per suo valore gli appartiene. – Di quanto più l’individuo s’adatta alle circostanti contingenze, di tanto è meno sua la sufficienza, poiché tanto meno vasta è in lui la previsione diffusa per artus. Per quanto la previsione sociale s’è allargata ed è sufficiente a un maggior numero di contingenze, tanto più breve è la sfera di previsione e minore la sufficienza dell’individuo che per la sua sicurezza alla previsione sociale come sufficiente s’è affidato. A una sicurezza sociale assoluta corrisponde nell’individuo sociale una previsione ridotta all’attimo e al punto per cui, a ogni nuova contingenza insuffìciente, tolto dal grembo della società, l’individuo in quell’attimo e in quel punto miseramente perirebbe. – Tutti i progressi della civiltà sono regressi dell’individuo. –

Ogni progresso della tecnica istupidisce per quella parte il corpo dell’uomo. – Le vesti, la casa, la produzione artificiale del calore rendono inutile la facoltà di reazione dell’organismo all’aria, al caldo, al freddo, al sole, all’acqua. –

Per la facilità d’avere il cibo senza procurarselo e per la facilità delle armi, l’individuo per sé non è più una forza pericolosa in mezzo agli animali, egli non ha più né l’agilità né la forza articolata e misurata né le mille astuzie ch’erano nella potenzialità del suo corpo e facevano dell’uomo uno dei più begli animali di rapina.

– Ma la società elimina ogni πόνος ogni pericolo che esiga tutta la fatica intelligente e tenace per esser superato: l’impegno di tutta la persona per non esser mortale, e vi sostituisce: o la sicurezza ἀμηχάνους συμφοράς; per le quali gli uomini non vincono o soccombono nella lotta, ma sitrovano ad esser salvi o morti.

Essa s’incarica di trasportar le preziose persone dei suoi figliuoli così che non abbiano a faticare. Così dall’uomo che tutto d’un pezzo col suo cavallo domato da lui e dominato poi sempre collo strano linguaggio fatto di guizzi muscolari nelle gambe, va attraverso terreni sconosciuti conscio dei pericoli e pronto all’adeguata reazione – o che passa i monti scalando le pareti vertiginosamente erte trovando in ogni asperità appoggio bastevole alle mani e ai piedi articolati come le mani – costeggiando l’abisso senza che il cuore vacilli e passando per frane «senza che il piede smuova un sasso» – all’annoiato viaggiatore costretto in un vagone che sbatacchiandolo lo trasporta sopra, sotto, attraverso fiumi e monti e piani, mentre lui si stira o sbadiglia o parla d’orari con profonda conoscenza di causa o discute col conduttore con finissimi argomenti dei biglietti combinati, della tariffa differenziale, dei diritti e doveri vicendevoli del viaggiatore e dell’impiegato ferroviario, che se la provvidenza divina lo mandi a scontrare con un altro treno di viaggiatori assopiti, ma volanti a 60 chil. l’ora – non gli resta nemmeno il tempo di bestemmiare, che si trova già ad esser morto, passato direttamente dai minuti delle sue coincidenze all’eternità della morte, che lo agguaglia a sua grande indignazione, lui, l’uomo civile, ai suoi antenati trogloditi e a tutti gli animali del creato; – dal marinaio che ha in mano la vela e il timone – ed è lui la ragione dell’equilibrio fra il vento e il mare; che sente sul viso la direzione e la forza del vento e misura con l’occhio sicuro la bordata; che lotta con l’uragano a vincere o morire – al viaggiatore di un transatlantico – che o merce ammucchiata nella stiva o high-life sopra coperta, si contorce pel mal di mare e, fidando nella prepotenza del tonnellaggio e delle caldaie del piroscafo che sta come un isolotto in mezzo all’uragano, si trova a calare a picco come un sasso assieme a tutti i compagni senza possibile lotta, se uno scoglio o lo sperone d’un’altra nave si prenda la cura d’aprire i fianchi alla sua città galleggiante – fra quelli e questi – volevo dire – c’è la distanza uguale che fra la vita organica e la vita minerale.]
Inviato il: 16/6/2015 11:50
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#87
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Ciao Mrexani, bel pezzo.
Vedo e rilancio con una citazione che, seppur scendendo di livello, ha una certa attinenza coi due scritti pecedenti:

"L'interesse che il civilizzato nutre verso i popoli cosiddetti arretrati è dei più sospetti. Incapace di continuare a sopportarsi, egli si adopera a scaricare su di loro l'eccedenza dei mali che lo opprimono, li incita a provare le sue miserie, li scongiura di affrontare un destino che non può più sfidare da solo. A furia di considerare quanta fortuna hanno avuto a non essersi «evoluti», prova nei loro confronti il risentimento del temerario, abbattuto e sfasato. Con che diritto se ne restano in disparte, lontani dal processo di degradazione che patisce lui da tanto tempo e a cui non riesce a sottrarsi? La civiltà, opera sua, sua pazzia, gli appare come un castigo che ha inflitto a se stesso e che vorrebbe a sua volta far subire a quelli che finora vi sono sfuggiti. «Venite a condividerne le calamità, siate solidali con il mio inferno» : questo e il senso della sua sollecitudine verso di loro, questo è il fondamento della sua indiscrezione e del suo zelo."
Emil Cioran, La caduta nel tempo, 1964
Inviato il: 16/6/2015 14:43
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  •  Giano
      Giano
Re: L'angolo della letteratura
#88
Dubito ormai di tutto
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@Mrexani
Non ti ho ringraziato per avermi fatto conoscere Carlo Michelstaedter, del quale, faccio ammenda, ignoravo l' esistenza.
Ho letto una breve biografia e ho un solo commento da fare: tragedia!
Ciao.
Inviato il: 16/6/2015 16:28
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  •  Mrexani
      Mrexani
Re: L'angolo della letteratura
#89
Mi sento vacillare
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Giano
Prego, di niente.

Oltre al fatto che era inerente al tema che hai riportato , l'ho postato anche perché Michelstaedter era un forte leopardiano...infatti forse si nota ..

Citazione:
tragedia!


Propendo per il movente della troppa lucidità più che per quello della troppa disperazione...anche se in questi casi sarebbe bene fermarsi al silenzio...

IL CANTO DELLE CRISALIDI (Michelstaedter)


1. Vita morte,
la vita nella morte.
Morte vita,
la morte nella vita.

2. Noi col filo,
col filo della vita,
nostra sorte
filammo a questa morte.

3. E più forte
è il sogno della vita,
se la morte
a vivere ci aita.

4. Ma la vita
la vita non è vita,
se la morte
la morte è nella vita.

5. E la morte
morte non è finita,
se più forte
per lei vive la vita.

6. Ma se vita
sarà la nostra morte,
nella vita
viviam solo la morte....

7. Morte vita,
la morte nella vita.
Vita morte
la vita nella morte.
Inviato il: 16/6/2015 16:52
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  •  doktorenko
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Re: L'angolo della letteratura
#90
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Sin dagli inizi dell'Illuminismo, la fede nel progresso ha sempre messo da parte l'escatologia cristiana, finendo di fatto per sostituirla completamente. La promessa di felicità non è più legata all'aldilà, bensì a questo mondo.

Emblematico della tendenza dell'uomo moderno è l'atteggiamento di Albert Camus, il quale alle parole di Cristo "il mio regno non è di questo mondo" oppone con risolutezza l'affermazione "il mio regno è di questo mondo".

Nel XIX secolo, la fede nel progresso era ancora un generico ottimismo che si aspettava dalla marcia trionfale delle scienze un progressivo miglioramento della condizione del mondo e l'approssimarsi, sempre più incalzante, di una specie di paradiso; nel XX secolo, questa stessa fede ha assunto una connotazione politica.

Da una parte, ci sono stati i sistemi di orientamento marxista che promettevano all'uomo di raggiungere il regno desiderato tramite la politica proposta dalla loro ideologia: un tentativo che è fallito in maniera clamorosa. Dall'altra, ci sono i tentativi di costruire il futuro attingendo, in maniera più o meno profonda, alle fonti delle tradizioni liberali.

Questi tentativi stanno assumendo una configurazione sempre più definita, che va sotto il nome di Nuovo Ordine Mondiale; trovano espressione sempre più evidente nell'ONU e nelle sue Conferenze internazionali, in particolare quelle del Cairo e di Pechino, che nelle loro proposte di vie per arrivare a condizioni di vita diverse, lasciano trasparire una vera e propria filosofia dell'uomo nuovo e del mondo nuovo.

Una filosofia di questo tipo non ha più la carica utopica che caratterizzava il sogno marxista; essa è al contrario molto realistica, in quanto fissa i limiti del benessere, ricercato a partire dai limiti dei mezzi disponibili per raggiungerlo e raccomanda, per esempio, senza per questo cercare di giustificarsi, di non preoccuparsi della cura di coloro che non sono più produttivi o che non possono più sperare in una determinata qualità della vita.

Questa filosofia, inoltre, non si aspetta più che gli uomini, abituatisi oramai alla ricchezza e al benessere, siano pronti a fare i sacrifici necessari per raggiungere un benessere generale, bensì propone delle strategie per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell'umanità, affinchè non venga intaccata la pretesa felicità che taluni hanno raggiunto.

La peculiarità di questa nuova antropologia, che dovrebbe costituire la base del Nuovo Ordine Mondiale, diventa palese soprattutto nell'immagine della donna, nell'ideologia dell' "Women's empowerment", nata dalla conferenza di Pechino.

Scopo di questa ideologia è l'autorealizzazione della donna: principali ostacoli che si frappongono tra lei e la sua autorealizzazione sono però la famiglia e la maternità. Per questo, la donna deve essere liberata, in modo particolare, da ciò che la caratterizza, vale a dire dalla sua specificità femminile.

Quest'ultima viene chiamata ad annullarsi di fronte ad una "Gender equity and equality", di fronte ad un essere umano indistinto ed uniforme, nella vita del quale la sessualità non ha altro senso se non quello di una droga voluttuosa, di cui sì può far uso senza alcun criterio.

Nella paura della maternità che si è impadronita di una gran parte dei nostri contemporanei entra sicuramente in gioco anche qualcosa di ancora più profondo: l'altro è sempre, in fin dei conti, un antagonista che ci priva di una parte di vita, una minaccia per il nostro io e per il nostro libero sviluppo.

Al giorno d'oggi, non esiste più una "filosofia dell'amore", bensì solamente una "filosofia dell'egoismo".
Il fatto che ognuno di noi possa arricchirsi semplicemente nel dono di se stesso, che possa ritrovarsi proprio a partire dall'altro e attraverso l'essere per l'altro, tutto ciò viene rifiutato come un'illusione idealista. E proprio in questo che l'uomo viene ingannato. In effetti, nel momento in cui gli viene sconsigliato di amare, gli viene sconsigliato, in ultima analisi, di essere uomo.

Per questo motivo, a questo punto dello sviluppo della nuova immagine di un mondo nuovo, il cristiano - non solo lui, ma comunque lui prima di altri - ha il dovere di protestare.

Bisogna ringraziare Michel Schooyans per aver energicamente dato voce, in questo libro, alla necessaria protesta. Schooyans ci mostra come la concezione dei diritti dell'uomo che caratterizza l'epoca moderna, e che è così importante e così positiva sotto numerosi aspetti, risenta sin dalla sua nascita del fatto di essere fondata unicamente sull'uomo e di conseguenza sulla sua capacità e volontà di far si che questi diritti vengano universalmente riconosciuti.

All'inizio, il riflesso della luminosa immagine cristiana dell'uomo ha protetto l'universalità dei diritti; ora, man mano che questa immagine viene meno, nascono nuovi interrogativi.

Come possono essere rispettati e promossi i diritti dei più poveri quando il nostro concetto di uomo si fonda così spesso, come dice l'autore, "sulla gelosia, l'angoscia, la paura e persino l'odio"?

"Come può un'ideologia lugubre, che raccomanda la sterilizzazione, l'aborto, la contraccezione sistematica e persino l'eutanasia come prezzo di un pansessualismo sfrenato, restituire agli uomini la gioia di vivere e la gioia di amare?" (capitolo VI).

È a questo punto che deve emergere chiaramente ciò che di positivo il cristiano può offrire nella lotta per la storia futura. Non è infatti sufficiente che egli opponga l'escatologia all'ideologia che è alla base delle costruzioni "postmoderne" dell'avvenire.

È ovvio che deve fare anche questo, e deve farlo in maniera risoluta: a questo riguardo, infatti, la voce dei cristiani si è fatta negli ultimi decenni sicuramente troppo debole e troppo timida. L'uomo, nella sua vita terrena, è "una canna al vento" che rimane priva di significato se distoglie lo sguardo dalla vita eterna. Lo stesso vale per la storia nel complesso.

In questo senso, il richiamo alla vita eterna, se fatto in maniera corretta, non si presenta mai come una fuga. Esso da semplicemente all'esistenza terrena la sua responsabilità, la sua grandezza e la sua dignità. Tuttavia, queste ripercussioni sul "significato della vita terrena" devono essere articolate.

E' chiaro che la storia non deve mai essere semplicemente ridotta al silenzio: non è possibile, non è permesso ridurre al silenzio la libertà. E’ l'illusione delle utopie.

Non si può imporre al domani modelli di oggi, che domani saranno i modelli di ieri. È tuttavia necessario gettare le basi di un cammino verso il futuro, di un superamento comune delle nuove sfide lanciate dalla storia.

Nella seconda e terza parte del suo libro, Michel Schooyans fa proprio questo: in contrasto con la nuova antropologia, propone innanzitutto i tratti fondamentali dell'immagine cristiana dell'uomo, per applicarli poi in maniera concreta ai grandi problemi del futuro ordine mondiale (in modo particolare nei capitoli X-XII). Fornisce in questo modo un contenuto concreto, politicamente realistico e realizzabile, all'idea, così spesso espressa dal Papa, di una "civiltà dell'amore".

Per questo, il libro di Michel Schooyans entra nel vivo delle grandi sfide del presente momento storico con vivacità e grande competenza. C'è da sperare che molte persone di diversi orientamenti lo leggano, che esso susciti una vivace discussione, contribuendo in questo modo a preparare il futuro sulla base di modelli degni della dignità dell'uomo e capaci di assicurare anche la dignità di coloro che non sono in grado di difendersi da soli.

Roma, 25 aprile 1997

Prefazione del Card. J. Ratzinger a:
M. Schooyans, Nuovo disordine mondiale. La grande trappola per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità, Ed. San Paolo 2000.
Inviato il: 20/6/2015 10:11
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