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  Anarchia e prigioni, un vagabondo e la libertà

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  •  Calvero
      Calvero
Anarchia e prigioni, un vagabondo e la libertà
#1
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 4/6/2007
Da Fleed / Umon
Messaggi: 13165
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- TEMPI MODERNI -

Nel 1936 Charlie Chaplin dà alla luce il suo sesto lungometraggio, un film muto che più di tutti mostra la lungimiranza dell’autore attraverso gli occhi e i gesti del Vagabondo. Nel caratterizzare l’epoca, Chaplin analizza come quella società faceva degli uomini dei numeri, ingranaggi sacrificabili in nome di un “progresso” tanto allettante quanto insidioso. I personaggi principali sono il Vagabondo (Chaplin) e l’orfana (Paulette Goddard). Le loro storie partono separate ma sospinte dalla medesima necessità: sopravvivere. Se per la ragazza la tragedia incombente è legata a una situazione familiare disperata (il padre verrà ucciso in una sommossa sindacale), per l’omino con la bombetta il mondo invece è soltanto un posto da attraversare. L’incontro tra i protagonisti avverrà casualmente quando lei, per rubare del pane, darà inizio alla loro avventura.



Chaplin mette in luce come il suo personaggio, prima di innamorarsi della bellissima orfana, sia fondamentalmente indifferente alle traversie che affronta con spregiudicatezza e spirito libero (l’amore romantico sarà la zavorra di uno spirito libero?). Nel bene e nel male il mondo gli scivola addosso. L’anarchismo dell’individuo scioglie i moralismi che non possono far presa sul Vagabondo. Ebbene sì, prima di quella scintilla del cuore, i Tempi Moderni non lo scalfiscono (meglio adottare una filodofia Jedi?). Il suo spirito non ancora ingaggiato con quello dell’orfanella, porterà Il Vagabondo anche a farsi arrestare per vivere le sue priorità piuttosto che subirle (la prigione è ancora e soltanto un evento come un altro: un percorso, un esperienza). Charlot come simbolo, come metafora in sé, non è né padrone né posseduto dal sistema, lui è al di là di esso. Ma quando gli eventi lo portano a stringere un legame importante, ecco che allora deve “scendere” tra noi... e farsi uomo (o cittadino?). Questo costringe il suo spirito brado a mettersi in gioco, rivelando agli spettatori tutti i paradossi di una società in catene: nasce il conflitto, l’idiosincrasia di Charlot; nasce la comicità. Una comicità senza confini poiché intrisa del movente più importante, ancora una volta e paradossalmente: l’Amore.

Charlot si vedrà costretto a trovarsi un lavoro sicuro e mettersi in discussione per una nuova dignità, per la sua nuova vita, per la sua dolce compagna. Maldestramente tenterà di costruire per loro un avvenire e ne passerà ovviamente di tutti i colori: dall’uscire di senno in una fabbrica a sventare una rivolta in carcere, fino a mandare a fondo una nave in costruzione. Ai nostri occhi, le gesta dei due innamorati possono apparire lontane, ma nella sostanza la pellicola non soffre certo di anacronismi; il messaggio quì veicolato è senza tempo. La congestione di una società, di cui Chaplin ne individuò i futuri baratri palesa tutte le germinazioni pronte per il secolo venturo. Nel liquido amniotico di un Occidente industriale, gonfiato con gli estrogeni delle droghe e dei comfort, i futuri cittadini saranno pronti per ogni umiliazione... noi, bozzoli e batterie di un Sistema che non insegna a lavorare ma a produrre energia: batterie in seno a incubatrici mirate a non farci mai "nascere"...



- Tempi Moderni - segna un momento epocale per Chaplin, per la prima volta fa udire la sua voce agli spettatori. E lo fa con quell’irriverenza che lo contraddistinse in vita così come nell’arte. Come disse magistralmente Griffith:- << Chaplin non aveva nulla contro il SONORO in sé. Quel che cercava di fare era conservare il silenzio di Charlot >>. Farà “parlare” Charlot per qualche minuto esibendosi in una Gag memorabile, usando una lingua inventata (oseremmo dire un mix tra francese e italiano); trasformò così anche la sua voce in una pantomima. Un genio. Punto. Inarrivabile. Nell’opera Chapliniana dissacrare la modernità e l’irregimentazione che questa comporta è un tema che riconduce sempre e comunque al valore primo che lui voleva rappresentare: essere sereni attraverso ciò che è a portata di mano, cose che tutt’oggi come allora sono, di fatto, bandite. In Tempi Moderni tutto si “riduce” a questo.

Il Vagabondo è un individuo che lotta per ciò che è alla portata del suo naso, non fa bandiera del suo stato, e comunque nel suo piccolo mai si riduce ad elemento passivo. MAI. Lo vedremo sì inghiottito dalle gigantesche macchine della fabbrica in cui lavora, però il suo approccio con esse rimane comunque distaccato, fanciullesco, surreale. Charlot non crea odi di classe, solo si oppone ai meccanismi che vorrebbero vederlo parte del gregge operaio. Non per niente il film si apre sull’immagine di un quadrante di un orologio per poi, in dissolvenza, veder apparire un gregge di pecore sovrapporsi alle persone che si accalcano nelle città. Per lui non ci sono “classi”. Crede, al limite, in sé stesso. Non odia questa o quella società; candidamente ..non la considera.

Tutto ciò è prioritario per una critica obiettiva di - Tempi Moderni -. Si è travisato il simbolo, la figura di Charlot/vagabondo in tal senso. Lo si è anche voluto, vigliaccamente. Vi è a dimostrazione la sequenza in cui il Vagabondo si trova suo malgrado a capo di un corteo di manifestanti per aver raccolto casualmente da terra una bandiera. E’ significante comprendere come questo evento dipinga il Vagabondo nella sua ingenuità, propria a identificare l’indifferenza alle ideologie, e come al tempo stesso ciò renda chiaro quanto il coinvolgimento a volte sia per tutti inevitabile. Chaplin dichiarò: << Il mio più grande peccato fu, e lo è ancora, quello di essere un anticonformista. Pur non essendo comunista, mi rifiutai di allinearmi con coloro che li odiavano. Questo atteggiamento, si capisce, ha offeso molta gente. >>.



Il film tocca un ampio spettro delle emozioni umane; tecnicamente all’avanguardia i momenti surreali che, come provocazione, negano il mondo grigio che li circonda, una società che i nostri innamorati tentano di colorare. La pomposità delle situazioni serie viene denudata in maniera disarmante, rivelando l’irrazionale dal “razionale”. Charlot ci racconta che certe cose serie non sono così serie, che i Tempi Moderni saranno soltanto ridicoli.

Qui i meccanismi, i tempi comici, e la fusione con il sociale dipingono un’opera senza eguali, senza seguito. Ferma nel tempo. L’Arte di Chaplin imprime nel bianco e nero - nella pantomima - le origini di un Cinema perduto ove, tutt’ora sottovalutata, una regia dinamica grazie alla cesellatura precisa delle sequenze, lascia sbigottiti per l’efficacia dell’ironia al servizio del dramma. Non di poco conto le parole di Fellini (come dissi in un altro Topic) sul conto di Chaplin, a monito per gli Artisti futuri: <<una sorta di Adamo da cui noi tutti discendiamo>>.

Il vagabondo durante la storia manifesterà sempre più la sua impossibilità di allinearsi al sistema. Niente da fare: ne è allergico. Charlot e la sua compagna subiscono, attaccano, vincono e perdono, sognano, si illudono e anche si sollazzano goliardicamente. Ma quando, verso il finale, si prospetta la speranza di un esistenza dignitosa (lei come ballerina, lui come cameriere/cabarettista), questa svanisce senza pietà, e per giunta in nome della Legge. Il loro sogno è spezzato brutalmente. L’ennesima fuga dei due è ancora una volta inevitabile. Perdendo anche questa opportunità di costruirsi un futuro, Charlot consiglia a lei un sorriso mentre il finale dipinge due figure in controluce che, per mano, si incamminano nella prospettiva di una strada senza fine.
_________________
Misti mi morr Z - 283 - Una volta creato il manicomio, la ragione l'ha sempre il direttore; che l'abbia o meno
Inviato il: 18/11/2009 23:16
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