Mi sento vacillare
Iscritto il: 17/5/2009
Da Codroipo (UD)
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Red_Knight: E’ un piacere parlare con persone educate e rispettose come Te. Dico questo sperando di non commettere il grave (agli occhi di PikeBishop) reato di….paraculaggine (ma è questo il senso? giacché è una parola che uso poco!). Anzitutto, vorrei dirti che non ho le risposte a tutti i quesiti che poni, dato che la definizione e l’elaborazione etico-filosofica sui rapporti tra uomo e animale e, in genere, sull’identità dell’animale, è tuttora in atto, cioè è un argomento fluido. I due più conosciuti filosofi viventi che se ne stanno occupando sono Peter Singer, australiano, e Tom Regan, americano, a cui ti rimando. Personalmente, in base ai miei ragionamenti, ti posso dire che hai ragione: la natura, anche se la chiamiamo familiarmente “madre”, sarebbe più corretto chiamarla “matrigna”. E’ tutto un…..magna magna, anche negli ecosistemi, tanto che gli italiani, come dicevo sopra, che lo fanno culturalmente per consuetudine, forse hanno preso esempio dalla natura stessa. Quando una preda finisce nelle fauci del predatore, ho sentito dire che nel torrente sanguigno vengono rilasciate le endorfine (ma succede anche a noi quando subiamo traumi, tanto che alcune persone trovate morte per incidenti hanno una specie di sorriso sulle labbra). Volendo essere deterministi, si potrebbe dire che il Creatore (o l’evoluzione) ha previsto che, se una specie deve servire di cibo alle altre, che almeno muoia con il favore di essere drogata, nel momento fatale, così da non provare dolore eccessivo. Dai documentari che ho visto, sembra che la gazzella addentata dal leone sia in uno stato di stupore più che di dolore. E questo mi fa venire in mente anche la testimonianza che è stata riportata da Piers Paul Read, autore di “Tabù”, nel suo resoconto dell’incidente delle Ande. Un passeggero dell’aereo aveva una sbarra di ferro che gli usciva fuori per fuori, dalla pancia alla schiena, ma non se ne accorse finché gli altri passeggeri superstiti non glielo fecero notare. E dunque, esiste un certo lasso di tempo in cui l’organismo non sente dolore finché non subentra la consapevolezza. In sé, il dolore, dicono i fisiologi, è utilissimo alla sopravvivenza dell’individuo, perché funge da campanella d’allarme. D’altra parte, essendo noi dotati di Empatia, ci facciamo uno scrupolo a infliggere dolore ai nostri simili (a meno di non essere sadici), e questo è codificato da tutti i codici legislativi di tutte le civiltà, del passato e del presente. La maggior pare delle quali, purtroppo, limita il divieto a infliggere dolore solo agli esseri umani ed esclude i non umani. Molti pensatori – e penso a Jules Michelet – si sono chiesti il perché di questa esclusione, arrivando a dire che gli animali sono un “oscuro mistero”. Qualsiasi cosa siano (per me sono meravigliosi, tutti, anche i predatori), nel mio piccolo mi sono posto il dovere di non mangiarli, perché così mi sembra giusto. Mi piacerebbe che questo diventasse qualcosa di simile a ciò che Kant definiva una regola universale, ma mi accorgo, su questo e su altri siti, che ci sono anche coloro che non gradiscono e che arrivano ad accusarmi – ingiustamente – di fare bieco proselitismo. Dato che esistono i tabù, come quello del cannibalismo, per esempio, così mi piacerebbe che nascesse nell’animo umano anche il tabù del mangiare carne animale. Lo considererei come un avanzamento della civiltà e uno scatto di Consapevolezza. Il mio ideale sarebbe di riuscire a toccare il cuore dell’interlocutore, ma le armi dialettiche per convincerlo a vedere la giustezza e la bellezza morale del rispetto per gli animali, sono armi spuntate. Non so che farci! So che sei ateo, ma so anche che sei una persona colta e quindi ti pongo io una domanda, anzi due: Perché, secondo te, fra gli altri, è stato anticamente codificato il Quinto Comandamento, non uccidere? Perché, se questo comandamento etico ha un senso, non è stato applicato (o non era previsto che venisse applicato) anche agli altri animali?
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