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Pyter ha scritto:
Caro Calvero, questo tentativo di mettere su due piani diversi l'opera documentaristica e il film d'arte come due modi diversi d'approccio
alla realtà quando è la propaganda stessa che lo impedisce da sempre, mi sembra un discorso tirato per i capelli per non dover/voler dimostrare ciò che Kleeves asserisce come dato di fatto.
Il fatto è che non esiste un film di guerra che non possa essere dalla parte di un opinione personale. E questo, a mio vedere, va ben al di là del fatto che la propaganda impedisce a delle opere che siano veridiche e obiettive. Quel che sostengo è che se si vuole parlare a un pubblico vasto di qualcosa che miri a farci comprendere certe infamie, bisogna proprio usare gli stessi meccanismi della propaganda: cioè veicolare un messaggio sfruttando la storia e determinati avvenimenti e, se necessario, per evitare reali censure categoriche: cedere a dei compromessi.
Noi stavamo parlando di propaganda, giusto? Bene. Analizziamo.
Quale propaganda è stata veicolata nell'opera di Malick?
La risposta a questa domanda, in maniera inconfutabile, può dirci quali critiche porre in questo senso.
La mie risposte sono queste: -
1) nessun sentimento che legittimasse (anche indirettamente) le logiche imperialistiche, in un ottica per cui le medesime avessero una qualche giustificazione di plausibilità come "male necessario", ha pervaso il mio sentire; il mio percepire. La storia messa in opera di Malick ne è esente. Non solo, proprio quella sospensione dal tempo senza dare spiegazioni storiografiche (e l'ho spiegato) che Kleeves critica come una disonestà, invece sono proprio l'unica maniera per portare lo spettatore al centro della riflessione cruciale. Cioè dell'uomo che cerca sé stesso nelle vicende più tragiche che gli uomini possono vivere sul pianeta Terra: le Guerre.
2) nessun fascino della violenza era percepibile nel Corpus dell'Opera. Gli stessi movimenti di camera sottolineavano un astrazione dalle vicende, come se un occhio dall'alto dovesse "subire" le vicende e osservarle con inquietudine;
3) questo film ha tessuto una filosofia che corre lungo la sua spina dorsale, e questa filosofia rivela una cosa inconfutabile. Che la Natura e i suoi equilibri (anche rappresentati dall'innocenza degli indigeni) hanno eliminato quanto di spurio contaminava l'anima di WITT. Per quanto si rigiri la frittata, WITT è il protagonista concettuale, cardine e movente di tutto il film;
4) per fare un esempio vicino a questa pellicola basti vedere - Salvate il soldato Ryan - dove ogni cosa è in prospettiva rovesciata rispetto all'opera di Malick. I dubbi e le paure personali nei personaggi di Spielberg, pongono l'intimità degli individui di fronte all'ineluttabile dovere di lottare per la libertà. La differenza è COSMICA; nel film di Malick, la lotta, i dubbi, le lacerazioni dei sentimenti, venivano posti nella prospettiva esistenziale di chiedersi quanto tutto ciò sia distante - A PRESCINDERE - dai retaggi ideologici.
La verità è nel risultato, non nelle ipotesi che si fanno a monte. Quale risultato sulla coscienza delle persone lascia un film come quello di Malick? Te lo dico io. In generale la gente, dal Cinema, o ne è uscita annoiata o ne coglie aspetti che sono ben lungi dalle retoriche pro-america, pro-potere, pro-Patrie et simili. Cosa che non avviene con film come - Salvate il soldato Ryan - che, chissà perché, riescono anche a essere soggetti perfetti per i videogiochi.
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Per quanto riguarda l'idea che dietro il cinema ci sia arte e che questa sia qualcosa di più "alto" e che non sia quindi tenuta a descrivere la verità o ad essere perfettamente rispondente ai fatti, essa può essere smentita da una considerazione: l'antiamericanismo è un atteggiamento considerato negativamente e indice di pregiudizio verso un determinato popolo o governo.
Ma così non ne hai smentito le ragioni. Hai spiegato perché soffre di questo dispotismo.
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Ora, se io facessi un film e mi prendessi la licenza artistico-poetica di considerare il termine antinazismo come un atteggiamento positivo e non foriero di pregiudizi, non so quanti critici possano dire:"Ma no, è una cosa artistica." (Infatti sappiamo quanto Carmelo Bene, noto ARTISTA provocatore, fosse amato dalla critica).
Non so se ho capito bene. Forse volevi ipotizzare nazismo e non antinazismo nel tuo esempio?
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In questo caso entrerebbe in gioco (ci scommetto) il discorso etico. Ma allora mi chiederei che senso abbia un'arte che abbia come zavorra la palla al piede dell'etica, visto che dici che compito dell'arte è quello di non averne.
Guarda. Se c'è una cosa che sto mettendo sempre più in dubbio è l'Arte. Ma capiscimi, per quanto ne sia preso e innamorato ... alla fine la verità, per me, è una sola (che poi era un concetto che a volte ribadiva Carmelo Bene, riprendendolo a suo volta da un altro Maestro) ... dobbiamo noi farci capolavori.
E questo infatti è quello che ho criticato profondamente nella riflessione che ho mosso nella critica di MATRIX e cioè:
... quanto l'Arte ci sta mettendo nella condizioni di ragionare sulle verità invece che viverle? ecco perché parlavo di propaganda intelligentissima. Loro ti dicono la Verità sulle questioni realmente cruciali, in modo che tu possa sublimare queste energie in fenomeni contemplativi e
NON d'azione ...
...ed ecco perché [di conseguenza] se qualcuno vuole veicolare messaggi cruciali positivi attraverso il sistema Cinematografico (che è tuttora tra i più potenti) debba cedere a dei compromessi e "mentire" come secondo me ha "mentito" Malick
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