http://keynesblog.com/2012/12/10/mmt-la-risposta-di-warren-mosler-ad-emiliano-brancaccio/ [...] ho approfondito il dibattito sempre attuale tra Keynes e gli economisti classici [neoclassici, ndt], dove i classici argomentano che ci può essere piena occupazione in assenza di monopoli e Keynes controbatte che nella pratica ci può essere disoccupazione persistente anche in assenza di monopoli, a causa del reddito non speso, ecc. nel sistema monetario. La mia idea è che abbiano entrambi mancato nel riconoscere nella moneta un monopolio dello stato.
La domanda nozionale è rappresentata dalla tassazione e dal desiderio di risparmio, mentre l’offerta nozionale viene dalla spesa pubblica e/o dall’indebitamento sovrano. La disoccupazione è la prova dell’insufficienza nell’offerta del monopolista [della moneta, cioè lo stato, ndt] – cioè l’insufficienza della spesa nel soddisfare il bisogno di pagare le tasse e il desiderio di risparmio netto in quell’unità di conto. Quindi è giusta l’idea dei classici per cui è il monopolista che determina disoccupazione, ma fallirono nel riconoscere quale era di monopolio applicabile. Keynes invece aveva ragione, il problema è dal lato monetario, mancando però di riconoscere la moneta come monopolio pubblico [...]
[lo metto anche se non lo capisco bene] Ogni pagamento delle tasse richiede che la Fed addebiti sul conto di una banca membro e accrediti sul conto del tesoro. Ciò è impossibile senza bilanci nei conti delle banche membro, a meno che venga permesso loro di avere bilanci negativi. Tuttavia i bilanci in negativo – gli scoperti di conto – sono tecnicamente prestiti della Fed, un agente del Congresso. Ciò significa che il pagamento delle tasse tramite scoperto è l’equivalente di estinguere l’onere fiscale con un prestito della banca centrale. Ossia, come in questo esempio, la Fed dovrà anticipare i dollari che accredita per il pagamento delle tasse. Per dirla con i termini degli esperti del mestiere non c’è “drenaggio di riserve” senza “aggiunta di riserve” che equivale a dire che i dollari per pagare le tasse e comprare i titoli di stato necessariamente “provengono” dalla spesa e/o prestiti del governo. Non c’è modo di aggirare la situazione. Ogni emittente deve distribuire prima di poter poi raccogliere gli oggetti erogati, in quanto semplice esercizio di logica [...]
[...] Ricordate, in termini economici, l’occupazione è un costo reale per il lavoratore, in quanto sta vendendo il suo tempo. Il beneficio reale è il prodotto. Quindi suggerisco di guardare al consumo reale con riferimento i membri della zona euro, per poter valutare i vinti e vincitori in termini economici. Ma comunque sì, ogni unione monetaria necessita di un sistema di perequazione fiscale, al fine di assicurare la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Suggerisco poi che la ragione per cui non accade sia per il fatto che vi è una vasta incomprensione sul fatto che per la regione a cui è assegnato di produrre beni e servizi [per il resto dell’unione, ndt] quel processo rappresenta un costo reale, in quanto gli occupati producono i beni reali e servizi che verranno però consumati dalle altre zone dell’unione. Invece, proprio a causa dell’arricchimento finanziario della regione, le altre regioni ne beneficiano in termini reali. In altre parole, i trasferimenti fiscali possono essere utilizzati per sfruttare le aree a maggiore disoccupazione e far produrre beni e servizi che vengono esportati nel resto dell’unione. E di qui si ritorna al discorso di export come costo reale e importazione come beneficio reale [...]
_________________ « Da oggi latini e romani sono lo stesso popolo » (Costantino Paleologo, I453)
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