- Il perdon del mio gran fallo imploro. Dagli occhi strappata alfin la benda mi fu. Sien grazie al padre tuo. Quel perfido... - Di lui non più. Vieni al mio petto.
- Oh vista! Come cangiata!... Ahi me spietato, infame! Per mio castigo all'universo nota sia la sevizie mia. Quest'innocente... - Rea mi credevi. - Del supposto fallo ben grave fio scontasti!
- Ah sì, un crudele, un disumano io fui! Né i muti avvisi, stolto! mai seppi interpretar del core. Rinvigorir l'egre tue mebra ponno: ma chi può mai delle sofferte angosce risarcir l'alma? Il tuo perdon non merto.
- Il meriti e l'hai. Deh! Tu, uom pio, le lagrime che risparmiarti al mio dolor, gli narra per suo conforto. Io ti rividi, o padre, fuor d'ogni speme. Quante cose, o sposo, vorrei dirti, e non so. Ma tutte, tutte, d'un'amorosa vision nell'ora, ombra fedele, a te dirolle in breve.
- Che? Forse il morbo a delirar la tragge? - Da questi infetti luoghi, o Pia, t'invola prestamente con noi. La tua salute rifioriran le pure aure di Siena. - Ah sì! Qui presso un palafren t'attende. Vieni. Tu meco la sorreggi, o padre. Deh, vieni!... Incerto il passo movi...
- Oh, è tardi - Che udii! - Figlia, che avvenne? Oh come trema! - Sposa, fa cor. Me sventurato!
- E' tardi! Ma non men duole. Il mio rapito onore mi rende, pria ch'io l'abbandoni, il mondo. Tu l'amor tuo mi rendi. In pace or compiasi il sacrificio.
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