Ho qualche dubbio Iscritto: 24/5/2004 Da: Inviati: 62 |
Re: PIAZZA FONTANA: UNA TESTIMONIANZA Corriere della sera del 19 giugno 2000
Piazza Fontana, nuovi testimoni e un dossier della polizia confermano il complotto contro gli anarchici
«Sul taxi della strage il sosia di Valpreda»
Svolta nel processo sull’attentato: anche Freda ammette che il 12 dicembre ’69 la destra eversiva fece cadere la colpa su un innocente
MILANO - «Nino: 130.000». Un nome. E uno stipendio. Annotati in un fascicolo riservato della polizia, tenuto inspiegabilmente segreto per trent'anni. Un documento che potrebbe spiegare una delle tante storie ai limiti dell'incredibile legate alla strage di piazza Fontana. È la storia di un dubbio, di un vecchio sospetto, potentemente rafforzato dalle indagini più recenti: l'anarchico Pietro Valpreda, che fu assolto dopo essere stato incarcerato per tre anni come «l'uomo che portò la bomba», fu incastrato dalla destra eversiva, che utilizzò un sosia? Il suo arresto fu solo un errore oppure una manovra per coprire i veri stragisti? La risposta è racchiusa in un nome e in un identikit: Antonino Sottosanti, estremista nero e, appunto, sosia di Valpreda. Le nuove inchieste lo trattano ora da testimone, ora da sospettato, mai da indagato. Una posizione che il pm Massimo Meroni spiega con i limiti del processo: «Sottosanti è molto verosimilmente un personaggio chiave. E Valpreda è senza dubbio un innocente. Ma a noi oggi interessa prima di tutto trovare i colpevoli». Dunque, il giallo resta aperto: come e perché un ballerino anarchico fu trasformato dalla polizia in un «mostro»?
LA STRAGE IMPUNITA - Il 12 dicembre 1969, alle 16.37, nella Banca nazionale dell’agricoltura, in piazza Fontana a Milano, scoppia una bomba che cambia la storia d’Italia: con 16 morti e 84 feriti, quel giorno inizia il terrorismo. Quell’eccidio, oggi, è ancora senza un colpevole. I vecchi imputati, i neonazisti Franco Freda e Giovanni Ventura, furono condannati per 21 dei 22 attentati di quell’anno, ma assolti per la strage. Ora, nel nuovo processo, alla sbarra sono altri ex terroristi di destra: Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi. Le inchieste più recenti hanno invece ribadito l’innocenza degli anarchici arrestati dalla polizia subito dopo la strage. Uno di loro si chiamava Giuseppe Pinelli ed è morto durante i primi interrogatori, precipitando da una finestra della questura. E anche questa tragedia resta un mistero.
LA MEMORIA DEL TASSISTA - Pietro Valpreda fu arrestato il 15 dicembre 1969 a palazzo di giustizia, dove si era presentato spontaneamente , alle 10 del mattino, per difendersi da altre accuse. Lo stesso giorno, alle 11.15, il tassista Cornelio Rolandi rese per la prima volta ai carabinieri la testimonianza decisiva. Il 12 dicembre «attorno alle 16», mezz'ora prima della strage, un «signore in cravatta» era salito sul suo taxi, «in piazza Beccaria», con una «borsa nera identica a quella della bomba». «In via Santa Tecla», dietro l’angolo della banca, il cliente è sceso dall'auto «eccitato», per tornare «dopo 3-4 minuti, senza borsa». Quindi si è fatto portare nella vicina via Albricci, dove è scappato «di corsa».
Il primo problema sono le distanze: piazza Beccaria è di fronte alla Banca dell’agricoltura (135 metri), ma il presunto attentatore prende un taxi e si fa lasciare in via Santa Tecla, a 117 metri dall’istituto; depositata la bomba, risale sullo stesso taxi percorrendo in due tappe «complessivi 616 metri» (misurazioni dei periti).
VALPREDA INNOCENTE - La pista anarchica frana a partire dal 1971, con la scoperta di armi ed esplosivi della destra eversiva. Al processo di Catanzaro, nel ’79, Valpreda viene assolto già in primo grado: la corte smonta il riconoscimento di Rolandi, ma ne afferma la buona fede. Il guaio, spiegano i giudici, è che la polizia aveva «suggestionato» il tassista, orientandolo verso «una persona specifica»: la sera stessa del 15 dicembre, infatti, l'ignaro Rolandi si era visto mostrare «dal questore di Milano, Marcello Guida», una vecchia foto di Valpreda «e solo quella». Rolandi, inoltre, ricorda «un signore con le basette corte, che parlava senza particolari inflessioni». Valpreda (ma non la sua foto) aveva invece «vistose basette lunghe» e un'inconfondibile erre moscia.
Quel primo riconoscimento, Rolandi lo ha poi descritto così: «Mi fu mostrata una foto dicendo che doveva essere la persona che io dovevo riconoscere». La corte, allora, giudicò inspiegabili anche tempi e modi dell’arresto di Valpreda: il fermo dell’anarchico fu deciso non da Milano, ma «dalla polizia di Roma», e «nella notte tra il 14 e il 15 dicembre», cioè ancor prima della testimonianza di Rolandi.
Oggi, i documenti ritrovati negli archivi segreti della polizia hanno risolto almeno il giallo delle date: il tassista, in effetti, si limitò a «riscontrare» una pista prefabbricata da Roma. Resta da capire che bisogno ci fosse di puntare subito proprio sugli anarchici milanesi. E perché, come annotano ancora i giudici di Catanzaro, in questura nessuno verificò dove fosse, «attorno alle 16» del 12 dicembre, «tal Antonino Sottosanti», che pure era già allora «indicato come sosia di Valpreda».
LE CONFERME DA DESTRA - L’inchiesta sul sosia si riapre a sorpresa nel ’94. Il giudice Guido Salvini raccoglie centinaia di testimonianze di ex terroristi neri. Di tutti quei neofascisti, nessuno accusa Valpreda. Qualcuno, al contrario, giura di sapere che l'anarchico fu «incastrato» dalla destra. Il più esplicito è Edgardo Bonazzi, supertestimone nel nuovo processo, che fu compagno di cella di Freda, Giannettini e Nico Azzi. Bonazzi ricorda che fu quest'ultimo, suo amico, a confidare: «Pensate cosa succederebbe se si sapesse che a Milano, il giorno della strage, c'era un militante di destra molto somigliante a Valpreda». Alla conclusione di Bonazzi («Quindi il tassista era in buona fede, ma ha riconosciuto la persona sbagliata»), Azzi e Giannettini «risposero con un gesto di assenso, come a dire: sì, hai capito bene». Né l'uno né l'altro hanno mai confermato le parole di Bonazzi. Ma ora un’ammissione parziale è arrivata in aula, imprevista, dalla voce di Franco Freda: «Sì, è possibile che, in carcere, io abbia detto che su quel taxi poteva esserci una persona diversa da Valpreda».
I FASCICOLI - Del sosia finisce per occuparsi, per puro caso, anche un giudice di Venezia, Carlo Mastelloni. Nel '97, il magistrato fa perquisire il ministero dell’Interno e sequestra una cassaforte piena di fascicoli «segreti» o «riservati»: le prove che «in tutta Italia, dagli anni ’40 al 1984, ha operato una polizia "parallela", non ufficiale, articolata in squadre» agli ordini dei capi dell'Ufficio affari riservati. «A Milano - scrive il giudice Forleo ordinando nuove indagini su quell'archivio segreto - operava la "squadra 54", diretta dal maresciallo Alduzzi», che nel 1978, con il sequestro Moro, diventò uno dei primi agenti del Sisde, sotto il vicecapo Russomanno. Convocato dal pm Pradella, Alduzzi ammette di aver nascosto la verità nel primo interrogatorio e dichiara: «Subito dopo la strage, venne a Milano Russomanno, che contattò Allegra, capo dell’ufficio politico della questura. La sera stessa Russomanno sentì direttamente, in mia presenza, la fonte Anna Bolena». Dietro questo nome di copertura, c'era un certo Enrico Rovelli, anarchico, informatore anche di Calabresi. «La pista Valpreda - conferma Alduzzi - nacque dalle sue confidenze, subito dopo la strage, ma fu valorizzata dall'Ufficio affari riservati. D'altra parte, in un secondo momento , fu riscontrata dal tassista Rolandi».
Al maresciallo vengono mostrate due informative di «Anna Bolena». Due appunti del '70 e '71, ritrovati solo nel ’96 in via Appia, in un altro archivio segreto della polizia, attribuito a Russomanno. Tra carte polverose, c'erano cartellette intestate a Freda, Ventura, Giannettini e Pino Rauti, «tutte vuote», e perfino frammenti di una bomba del 1969. E dentro un fascicolo con la scritta «Nino Sottosanti-personale», c’erano le due informative per Russomanno: Alduzzi comunicava che, fin dall'agosto ’70, un'anarchica aveva rivelato che «il vero attentatore», o comunque l’uomo salito sul taxi di Rolandi, «non era Valpreda, ma Nino Sottosanti». Una svolta di cui «gli amici della questura sono già informati». Replica di Alduzzi al pm: «Oggi non ho ben presente la persona di Sottosanti».
LO STIPENDIO DI «NINO» - Davanti a Mastelloni, Alduzzi non ha avuto difficoltà a rivelare i nomi delle sue fonti ai tempi della strage. Ma quando il giudice gli ha chiesto chi fosse il «Nino» citato al «foglio 17» come beneficiario di «uno stipendio di 130 mila lire» (dell'epoca), Alduzzi ha risposto così: « Forse si identifica in un elemento vicino alla destra ufficiale, ma escludo che ricevesse da me 130.000 lire al mese. Forse era trattato a Milano direttamente da Russomanno».
QUALCUNO MOLTO IN ALTO - Toccherà alle indagini ancora aperte stabilire se tutto questo possa inquadrarsi nella «strategia» che il pentito Carlo Digilio, il grande accusatore dei terroristi neri, attribuisce al principale imputato del nuovo processo: «Dopo la strage chiesi spiegazioni al dottor Maggi. Gli dissi che la destra avrebbe perso voti e che noi tutti rischiavamo il carcere. Maggi rispose che non dovevamo preoccuparci, perché chi aveva organizzato tutto, qualcuno molto in alto, anche da Roma, aveva pensato a come sviare le indagini su altri. E in effetti la polizia aveva arrestato gli anarchici».
Paolo Biondani
Antonino Sottosanti, estremista nero: lo so che gli somiglio, ma non ho portato
la valigia con la bomba
«Non è vero, io quel giorno ero con Pinelli»
Dopo trentun anni parla per la prima volta l’uomo che,
secondo l’accusa, fu utilizzato dagli organizzatori dell’
attentato per depistare le indagini
DAL NOSTRO INVIATO
PIAZZA ARMERINA (Enna) - «Certo che ero di destra: gli amici mi chiamano ancora Nino il Fascista. Ed è anche vero che il giorno della strage ero a Milano, ospite di una famiglia di anarchici, gente di estrema sinistra. Ma con la bomba di piazza Fontana non c'entro nulla. Ho un alibi di ferro, io: il 12 dicembre 1969, ho passato il pomeriggio con Giuseppe Pinelli. Sì, proprio lui, il ferroviere che poi è morto da innocente, volando dal quarto piano della questura. Penso di essere l'ultima persona che l'ha visto vivo, in giro sul suo
motorino, prima che lo fermasse la polizia».
Dal cuore della Sicilia, parla per la prima volta Antonino Sottosanti, «classe 1928», «perseguitato», dice lui, da una somiglianza con Pietro Valpreda che due generazioni di magistrati hanno definito «quantomeno sorprendente». Il suo volto bruno scavato dagli anni, oggi, ricorda appena il viso altrettanto invecchiato del «ballerino anarchico» che fu arrestato ingiustamente, tre giorni dopo la strage, perché un tassista milanese fu «indotto» a riconoscerlo come l’uomo che aveva portato la valigia con la bomba. In tasca, «sempre qui nel portafoglio», accanto a una foto di Mussolini, Sottosanti ha la tessera della Legione Straniera con una sua immagine di trent’anni
fa: la faccia, questa sì, di un sosia di Valpreda.
Signor Sottosanti, nel 1969 lei era conosciuto come «estremista di destra» e sospettato di essere un «confidente della polizia». Cosa ci faceva il 12 dicembre, giorno della strage, in casa dell’anarchico Pinelli?
«Mi aveva invitato a pranzo per consegnarmi un assegno di 15 mila lire. Vede, io avevo appena scagionato, con una mia testimonianza, un anarchico detenuto, Tito Pulsinelli, accusato ingiustamente di un attentato. L’assegno
di Pinelli era un rimborso delle spese di viaggio per quella mia deposizione».
E gli anarchici non diffidavano di un neofascista spuntato dal nulla
per offrire un alibi a un loro compagno ?
«Diffidavano eccome. Ma Pinelli mi ha sempre difeso: "Se tutti i fascisti fossero come Nino - diceva ridendo - allora sarei fascista anch’io». Pinelli era straordinario, la persona più innocente del mondo. Ma io non credo che a farlo volare dalla finestra sia stato Calabresi: Pinelli non lo temeva, perché sapeva che era un poliziotto onesto. Troppo onesto, forse, rispetto a
qualche suo collega».
Che ne pensa delle inchieste milanesi su piazza Fontana? Crede alla tesi dei terroristi neri manovrati dai serviz i?
«Devo dire che stimo molto il giudice D’Ambrosio, anche se ha idee diverse dalle mie. E sulla pista giusta ora è anche quel carabiniere, il capitano Giraudo, che continua a indagare sulla strage e mi ha già interrogato tre volte negli ultimi mesi. Ma non ha tenuto conto che anch’io conosco le tecniche d’interrogatorio. E così ho risposto a tutto. Ma le cose più importanti me le sono tenute per me».
E lei dove ha imparato le tecniche dei servizi?
«Guardi questa tessera. Dal 1962 al 1967, ero in Algeria con la Legione Straniera. E lavoravo per il reparto informativo».
Il giudice Salvini ha raccolto nuove testimonianze secondo cui l’anarchico Valpreda fu incastrato da un sosia così descritto: neofascista, siciliano, ex legionario...
«Basta, lo so benissimo che trent’anni fa assomigliavo a Valpreda, ma
questo non vuol dire niente. Spiegai tutto già il 15 gennaio 1970 a Cudillo,
il giudice che indagava sugli anarchici. Quando fu collocata la bomba, tra le 15 e le 16 del 12 dicembre, io ero in un’altra banca, in via Pisanello, a cambiare l’assegno con Pinelli. E alle 16 in punto proprio lui mi accompagnò a prendere la corriera, vicino a piazza Castello, con cui alle 16.30 arrivai puntuale in periferia, a Pero, a casa dei Pulsinelli».
Pinelli, però, disse alla polizia che quel pomeriggio l’aveva passato in un bar, senza di lei. E i Pulsinelli confermano solo che lei arrivò tra le 16.30 e le 17, ma non sanno come: nessuno la vide sull’autobus. E’ sicuro di non essere partito da Milano in macchina, magari verso le 16.15?
«Senta, in piazza Fontana, quel giorno, io non ci ho messo piede. E poi, se fossi stato io a salire sul taxi di Rolandi, crede che sarei ancora qui?». Con
un gesto eloquente, Sottosanti mostra la sua modesta casetta a tre piani con vista su un piazzale d’asfalto e cemento.
Ce lo dica lei, allora: Valpreda era colpevole o innocente?
«Mah... L’ho conosciuto poco, non so dire se sia stato o non sia stato lui a mettere la bomba».
Un dossier dell’ufficio Affari riservati, rimasto nascosto per trent’anni, documenta che un certo Nino, estremista nero, era «stipendiato» dalla stessa «squadra speciale» della polizia che
«creò» la falsa pista Valpreda. Lei ha mai avuto contatti o ricevuto pagamenti dai servizi segreti?
«Soldi, no di sicuro. E la falsa voce che io fossi un delatore della polizia, l’aveva messa in giro un certo Serafino di Luja, uno dei nostri, che però mi odiava. Ma parecchie cose strane, me le ricordo: il giorno prima della
strage, sotto casa di Corradini e Vincileone, due anarchici inquisiti dalla polizia, vidi una persona che li spiava: uno del gruppo Freda. Il nome l’ho fatto a Giraudo e l’ho collegato a un altro fatto strano: a un processo, un imputato della strage, che non conoscevo, mi disse ridendo: "E Valpreda
che dice?". Una domanda così provocatoria per me aveva un solo
significato: quello cercava di capire se l’avevo riconosciuto, se sapevo che,
il giorno prima della strage, a Milano c’era anche lui».
Il nome del terrorista nero che le chiese di Valpreda è già agli atti: Giovanni Ventura. Ma cosa c’entra l’altro, l’uomo che spiava gli anarchici?
«Ci sono troppe cose che non posso dire. Mettiamola così: in quei giorni, io sentii fare discorsi gravi, che ho compreso solo dopo aver letto gli atti di piazza Fontana».
Ricapitolando: lei non ha incastrato Valpreda, ma ha saputo comunque i retroscena della strage.
«Lei non ha capito: la mia verità non è un sentito dire. Di certi fatti io fui testimone oculare».
E allora perché non parla? Di fronte a una strage impunita, non si sente in dovere di aiutare la giustizia?
«In nome di cosa? Per questa Italia di oggi? No, guardi, i miei segreti io me
li porterò nella tomba».
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PIETRO VALPREDA:"Non ce l'ho con lui, voglio solo la verita'. I veri mandanti erano dentro lo Stato"
MILANO - Di Antonino Sottosanti, oggi, Pietro Valpreda ricorda "il suo rapporto con l'anarchico Pulsinelli": Ma precisa di non conoscere e di non saper valutare i nuovi sospetti su "Nino il fascista". Dice Valpreda:"cercare un sosia dopo trent'anni e' come piantare un ramo secco. Io comunque non ce l'ho con Sottosanti. A me interessa solo che tutti si convincano che sono innocente, perche' la verita' e' molto diversa dalle balle che raccontava la polizia. Ed e' ancora una verita' scomoda: quella bomba non fu solo terrorismo nero, fu una strage di Stato. Ed e' proprio questo che non si puo' dimenticare: che la bomba la misero e poi la coprirono loro. Uomini al servizio del nostro Stato e di altri Stati".
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