Lungo ma almeno riguarda il soggetto in questione.
saluti
alessandro
tratto da:
http://sitoaurora.altervista.org/Covert/crudelia.htmCrudelia Del PonteCosì gli errori di una procuratrice ambiziosa hanno favorito il crimine organizzatoSidney Rotalinti The Flyng Mountain 1 marzo 2003
È riuscita a costruirsi l'immagine di una pantera senza macchie, eternamente protesa contro la corruzione e la mafia. In realtà Carla del Ponte ha commesso numerosi errori che hanno portato allo sfacelo indagini importanti contro il crimine d'alto bordo. Fatti, nomi e documenti mostrano per la prima volta l'altra faccia di una Crudelia assetata di successo e pronta a trasformare testimoni chiave in pellicce di dalmata. La sua è una carriera folgorante. Una linea retta che punta verso l'alto, segnata da due balzi spettacolari. Nel 1994 Carla Del Ponte lascia Lugano per la Procura federale. Nell'estate del 1999 spicca l'altro grande balzo verso il Tribunale penale internazionale dell'Aia per i crimini nell'ex Jugoslavia e in Ruanda. Premi, riconoscimenti, dottorati, giustificano nuove onorificenze. E non è finita. In realtà la carriera di Carla Del Ponte merita un serio approfondimento.
A cominciare dalla cronaca recente. Peter Regli, il capo dell'intelligence militare elvetica era innocente. Dino Bellasi, cassiere dei servizi militari ha agito da solo, tradendo i suoi capi che non sapevano nulla. La sentenza (14 febbraio 2003) riabilita Regli e gli altri ufficiali. Ora però la frittata è fatta, nella notte del 18 agosto 1999 Carla Del Ponte mise in ginocchio il controspionaggio elvetico.
Il golpe di Morat
Per gli ufficiali che finirono ingiustamente in manette fu "un golpe", un golpe che ebbe per epicentro uno dei luoghi sacri della memoria storica elvetica, il lago di Morat, quello del maestoso monolito di Espo 02, quello della battaglia del 1476, quando i confederati annientarono l'armata di Carlo il temerario. Una pietra miliare della storia del paese. Anche la data del 18 agosto 1999 è una pietra miliare. Lo è certamente per Peter Regli e gli altri ufficiali alla testa dell' intelligence. Vengono fermati nel modo più plateale possibile: la sera, a casa, di fronte ai familiari attoniti. Con gli uomini della polizia federale c'è Carla Del Ponte in persona. E ora? Che dir loro? Tutta una svista.
Regli ha ragione, ma Carla Del Ponte non verrà mai chiamata a rendere conto di quelle mosse. Nella notte famigerata del 18 agosto 199 la sua mente è già proiettata verso il Tribunale penale internazionale dell'Aia, dove una poltrona la sta aspettando. Ma prima (cioé a una settimana di distanza dal "golpe") fa ancora una vittima illustre, Felipe Turover, il testimone chiave nella vicenda del Russiagate. Un po' come era successo a Lugano nella primavera del 1994 quando "Carla la temeraria" viene mandata a Berna, alla Procura federale, con la benedizione dell' influente politico Ppd Gianfranco Cotti. In entrambi i casi Carla Del Ponte lascia dietro di sé una scia immaginaria di lacrime, sangue, fatture da pagare e nodi irrisolti. Fra questi, due particolarmente rognosi.
Un Biglietto per Berna
Il primo è il caso Fimo. Cotti nel 1991 presiede il consiglio di amministrazione della finanziaria chiassese coinvolta in gigantesche operazioni di riciclaggio. Una seconda vicenda cova sotto la cenere da oltre dieci anni: l'inchiesta Mato Grosso con i traffici di cocaina dal Sudamerica. Anche qui una vittima, un altro rito sacrificale, quello che è costato la carriera al commissario della polizia ticinese Fausto Cattaneo, lasciato solo a lottare contro un sordo sistema di complicità. Solo contro il sistema. Perché?
Il momento è cruciale: Cattaneo, in Sudamerica, segue il danaro della cocaina e sta per sfondare il velo sottile che cela i massimi sistemi in materia di riciclaggio. Ma alla fine del 1991, proprio quando incrocia la pista che conduce verso la Fimo di Chiasso, il commissario ticinese viene silurato. I suoi capi lo bloccano. Due mesi prima Gianfranco Cotti si era visto scoppiare in mano lo scandalo il giorno delle votazioni. Carla Del Ponte lo salva. A Berna ci vanno tutti e due. L'uno grazie all'altra.
Una carriera inarrestabile
La storia di Carla Del Ponte è costellata da una serie infinita di balzi in avanti, balzi che sono le singole tappe di una carriera inarrestabile. Con le sue promozioni finisce sempre per trovarsi un passo innanzi ai suoi detrattori, alle sue vittime, ai dalmata che Crudelia trasforma in pellicce. Uno di questi nodi giunge al pettine proprio ora, in casuale concomitanza con la fine del processo Bellasi. Si tratta di un altro dossier, quello del caso Zemp. Sul Mattino della domenica di Giuliano Bignasca il volto positivo di Carlina la peste ha lasciato il posto a un'accoppiata meno sorridente, quella con l'altro ex procuratore sottocenerino Paolo Bernasconi.
Per colpa di Carla del Ponte il manager farmaceutico Hans Zemp è finito ingiustamente in una prigione per oltre cinque mesi. Ma neanche lui, come le altre vittime, potrà mai chiedere spiegazioni alla procuratrice. Carla Del Ponte, infatti, nel frattempo è stata promossa e si è involata verso l'Aia. Nella scia luganese del processo si scopre che l'arresto di Zemp era semplicemente una manovra utile a Paolo Bernasconi. Ora difensore della controparte. "La giustizia dei compagni di merenda" titola il Mattino della domenica mentre una coltre di imbarazzo avvolge il palazzo di giustizia.
In questo clima, dopo aver collezionato tanti prestigiosi nemici, e tanti insuccessi (per non dire in qualche caso vere e proprie figuracce), potremmo pensare che la carriera di Carla Del Ponte sia giunta al capolinea, se non altro per mancanza di obbiettivi ancora più ambiziosi. Anche in questo caso il buonsenso e la realtà giungono a un bivio. Sui tavoli del Consiglio federale e in particolare sul tavolo del nuovo capo del Dipartimento affari esteri Micheline Calmy-Rey all'inizio del 2003 arriva l'ultima "richiesta di avanzamento" di Carla del Ponte. La donna aspira a un ruolo ancora più alto, quello di accusatrice presso la Corte penale internazionale (Cpi). Il destino futuro di Carla è nelle mani dei politici. Ecco dunque quello che dovrebbero sapere (ma che in realtà non hanno mai voluto vedere).
Alle ortiche la pizza Fbi
Il primo dalmata finito in pelliccia sotto i colpi di Crudelia Del Ponte è Salvatore Amendolito. Si tratta di uno dei trasportatori di valuta, riciclato dall'Fbi come informatore, rimasto coinvolto nella clamorosa inchiesta antidroga della 'pizza connection'. Prima di questa vicenda i trascorsi di Carla Del Ponte passano inosservati, compreso lo stage iniziale di giurista presso lo studio legale di Pierfelice Barchi. Proprio nell'ambito della 'pizza connection' Carla del Ponte si ritrova in alcune occasioni a istruire procedure ove la controparte è rappresentata dall'ex marito. L'avvocato Daniele Timbal. Dei banali errori di etichetta per la sensibilità del tempo. La rovente estate del Ticinogate è ancora lontana.
La questione Amendolito è un'altra cosa: ancora prima del processo (nel 1985) inizia a collaborare con il futuro capo dell'Fbi Louis Freeh, che lo manda a Lugano quale punta di lancia per approfondire i risvolti finanziari della pizza connection. Un'indagine che si infrange contro uno scoglio di nome Carla Del Ponte.
Nel trambusto dell'inchiesta rimane scoperta una fattura d'albergo per un pernottamento. Del Ponte intima ad Amendolito un decreto d'accusa condannandolo a 30 giorni di detenzione con la condizionale. L'effetto è quello di scoprirlo completamente e di paralizzare gli accertamenti dell'Fbi. "Sono stati gli ambienti 'conservatori' del Canton Ticino a fermarmi" dice Amendolito, "erano loro a chiedere alla Del Ponte di mandare a monte l'indagine". La spiegazione sta nei rapporti di due agenti speciali americani che indagano sulle attività di Enrico Frigerio, altro protagonista ticinese della 'pizza'.
Nei rapporti ci sono nomi altisonanti, come Tito Tettamanti e il defunto patron del Banco Ambrosiano Roberto Calvi. Dettagli mai approfonditi. La spiegazione sta probabilmente anche nella sostanziale differenza fra il dossier svizzero della pizza connection e quello che viene invece elaborato, proprio in quel periodo, dalla magistratura di Roma. Una differenza sostanziale: a Roma Oliviero Tognoli, il presunto capo-riciclatore della pizza connection, viene descritto come un grande regista delle attività intercontinentali di riciclaggio.
Si tratta di una descrizione che fa andare su tutte le furie l'avvocato Franco Gianoni, suo difensore. Gianoni scriverà addirittura un libro che contiene un'interessante descrizione del processo. Tognoli se la cava in modo egregio grazie all'abilità del suo avvocato e grazie anche a un piccolo incidente: la procuratrice Carla Del Ponte ha omesso di mettere tempestivamente agli atti le prove della sua consapevolezza di riciclare danaro sporco. In pratica la corte accoglie la tesi di Gianoni. Viene così a mancare al procedimento qualsiasi possibilità di accertare la reale consapevolezza di Tognoli. Ma c'è un'altra differenza fra la 'pizza connection' dei magistrati romani e quella messa insieme da Carla del Ponte e Paolo Bernasconi. In Ticino l'accusa omette di indagare su un filone di riciclaggio che certamente è ancora più importante di quello attribuito a Oliviero Tognoli: il ramo che porta verso la famiglia Caruana-Cuntrera.
La holding del crimine
I Caruana-Cuntrera sono un vero e proprio fenomeno nella costellazione mafiosa. Gli artefici della collaborazione fra Cosa Nostra e la ndrangheta calabrese. Nei primi anni ottanta, passando da Lugano, hanno costruito un impero che passa illeso (anzi rafforzato) attraverso le guerre di mafia e le eliminazioni a colpi di lupara o caffè avvelenati. Come dimostra la spettacolare ricerca del giornalista olandese Tom Blickman i Caruana-Cuntrera conquistano il mondo,si installano in Canada, dispongono di una fondamentale base in Venezuela e addirittura creano la prima isola a sovranità mafiosa del mondo, quella di Aruba, ex colonia olandese. È da lì che partono le tonnellate di cocaina verso l'Europa.
Nel giugno 1989 Carla Del Ponte è ospite, a Palermo, di Giovanni Falcone. Con lei ci sono il commissario di polizia Clemente Gioia e il giudice istruttore Claudio Lehmann. Il programma prevede una pausa pomeridiana all'Addaura, vicino Palermo, presso la casa al mare di Falcone. Sul posto gli agenti di sicurezza trovano una bomba che viene neutralizzata.
A partire da questo momento Amendolito riemerge come un boomerang. Comincia a tempestare di fax giornalisti e magistrati. La bomba - sostiene - non era destinata a esplodere o a condizionare il comportamento dei magistrati. Stando ad Amendolito (nonché ad altre fonti affidabili), lo scopo della bomba inesplosa era più raffinato. Da un lato non era necessario spaventare Carla Del Ponte e gli altri magistrati ticinesi, in quanto comunque, secondo Amendolito, non avevano nessuna intenzione di scavare veramente tra le pieghe della finanza criminale ticinese. Era però necessario far credere all'opinione pubblica che Carla Del Ponte stesse coraggiosamente combattendo il riciclaggio di denaro sporco in Ticino fra mille pericoli.
Dal Ticinogate ad Aruba
Una bomba per coprire cosa? Quali sono i reali obiettivi dai quali si vorrebbe distrarre Falcone? La risposta arriva con la cronaca di fine anno (1989) quando Falcone, in collaborazione con gli inquirenti di mezzo mondo, mette a segno un colpo che rivela quale fosse la posta in palio all'Addaura. Il 16 dicembre questa nuova inchiesta è su tutti i giornali, riguarda proprio i Caruana-Cuntrera: "Crolla la Wall Street di Cosa Nostra" è il titolo del Corriere della Sera. La base finanziaria ticinese dell' organizzazione è stata in passato proprio quella Algemene Netherland Bank di Chiasso sulla quale mai e poi mai l'accoppiata Paolo Bernasconi-Carla Del Ponte ha voluto mettere mano nel decennio precedente.
Chi sono i Caruana-Cuntrera alla luce delle ultime rivelazioni? Sono semplicemente i committenti dell'avvocato Luganese Francesco Moretti. La figura più controversa dell' affare Ticinogate. È per loro che Moretti ha riciclato alcune decine di milioni. Stranamente, malgrado le rivelazioni dell'inchiesta relative alle antiche indagini luganesi di Falcone del 1981, l'atto d'accusa redatto dal procuratore Bruno Balestra prende in considerazione i fatti solo a partire dal 1994.
Una scelta giustificata da ragioni giuridiche, che lascia aperto un grosso dubbio, quello che si sia voluto evitare di scoperchiare proprio l'epoca in cui la situazione era sotto il diretto controllo di Carla Del Ponte. È infatti nella primavera del 1994 che la magistrata parte per la Procura federale di Berna. Senza il Ticinogate, senza i fatti clamorosi dell'estate 2000, l'avvocato Moretti sarebbe ancora al suo posto, come sarebbero ancora al loro posto i quasi 12 milioni di franchi celati nel suo studio, soldi che hanno fatto emergere questo fondamentale canale di riciclaggio della famiglia Caruana-Cuntrera. Tutto emerge per puro caso. Anche i soldi.
Fa impressione pensare che a volte, cioè durante le assenze di Moretti, venivano custoditi dall'attuale comandante della polizia Romano Piazzini.
Un poliziotto rimasto solo
Questa vicenda si incastra a perfezione con quella di un altro dalmata finito nella conceria di Crudelia Del Ponte: il commissario della polizia ticinese Fausto Cattaneo. Nel 1990 Cattaneo sta indagando sull'operazione Mato Grosso, ovvero su un traffico di alcune tonnellate di cocaina che passano dal Brasile. Senza preavviso viene "mollato" dai suoi colleghi e dagli informatori corrotti che lavorano con lui.
Una volta rimosso l'ostacolo-Cattaneo, gli altri poliziotti e gli informatori mettono in piedi un vero e proprio traffico di cocaina "statale". Si tratta di droga già sequestrata dalle autorità brasiliane, ricuperata dai magazzini da poliziotti disonesti e re-immessa sul mercato nero. Cattaneo cerca di bloccare questo traffico e di continuare le indagini serie. Ma da Lugano viene bloccato.
A buttare a mare l'inchiesta Mato Grosso è anche stavolta Carla Del Ponte. Dopo la neutralizzazione di Cattaneo l'indagine degenera in una serie di episodi squallidi che non hanno nulla a che vedere con le inchieste mascherate. Ma Carla la temeraria non interviene. Malgrado gli inequivocabili avvertimenti di un suo uomo, l'analista della polizia federale Jacques Kaeslin, Del Ponte non muoverà un dito in difesa di Cattaneo. Anzi, è proprio lei a mandare al macero la carriera del commissario con un'intervista alla Tsi: "Basta andare a cercare rogne all'estero. Manteniamo pulito il nostro giardino". Questa frase suona come un segnale in codice. Risultato: Fausto Cattaneo viene completamente abbandonato dalle istituzioni. Con l'aiuto di un giornalista (l'autore di questo articolo), ricostruisce gli eventi di quel periodo. Le similitudini fra il caso Mato Grosso e il caso Fimo sono strabilianti. Ma strabilianti sono anche gli sviluppi: tre anni più tardi una nave con cinque tonnellate di cocaina giunge a Genova. È il caso Cartagine, la fotocopia, la perfetta continuazione di Mato Grosso.
I soldi sporchi nella politica
Per Cattaneo e i suoi amici, iniziano tempi duri. Per sei anni saranno oggetto di un'inchiesta fondata sull'ipotesi pretestuosa di "spionaggio economico o politico", con tanto di telefoni controllati. L'esistenza di tale inchiesta viene rivelata solo dopo la pubblicazione delle memorie del commissario: il libro diventa un grande successo editoriale e suscita un pandemonio politico nel parlamento ticinese.
L'operazione Cartagine (quattordici tonnellate di cocaina in totale) è una perfetta prova del nove, per Cattaneo, che trova tutte le ulteriori spettacolari conferme di cui necessita. Ad essere sgominata è la stessa colossale organizzazione messa a fuoco con Mato Grosso. Chi manda simili quantitativi di cocaina? La holding della droga Caruana-Cuntrera, naturalmente. Quella che lavora con Moretti, con la cosca dei Morabito presente nel Milanese, con quelli che sono precisamente i nemici storici di Cattaneo. Tanto più il commissario ricostruisce la verità, quanto meno trova udienza presso il Palazzo di giustizia di Lugano. Alcuni testimoni chiave, fra cui l'ex procuratore Dick Marty, attendono da anni di essere ascoltati. Un altro muro di gomma.
La cocaina viaggia via mare dentro ai container. E il danaro? Stavolta il canale finanziario dei Caruana non è quello consueto dell'avvocato Moretti. Emerge il nome di una ditta, la Generalunternehmung, che è stata costituita nientemeno che dall'avvocato Elio Borradori e dai suoi figli. Le implicazioni politiche sono evidenti. Imbarazzanti, visto che nel frattempo Marco Borradori è divenuto il consigliere di Stato della Lega dei ticinesi.
All'imbarazzo si aggiunge altro imbarazzo quando il Canton Ticino ospita la seduta delle camere federali. Giunge da San Pietroburgo, su invito di Marco Borradori, una delegazione di personalità particolarmente propense alla collaborazione economica tra Svizzera e Russia. Il Sonntagsblick rivela che gli ospiti provenienti dall'est sono in realtà quasi tutti pezzi da novanta in odore di mafia. Ideale per promuovere l'immagine del Ticino.
Nel corso degli anni, un po' come quello di Gianfranco Cotti, lo studio di avvocatura dei Borradori ospita rampolli destinati al successo. Cotti, da sempre acceso anticomunista, alleva una giovane socialista di nome Patrizia Pesenti. Analogamente Borradori fa crescere per vari anni un giovane, pure socialista, di nome Edy Salmina. Tutti votati al successo questi giovani di sinistra cresciuti in mezzo alla girandola di transazioni finanziarie degli studi Cotti e Borradori. Patrizia Pesenti è oggi in Consiglio di Stato, al fianco di Marco Borradori. Salmina è il direttore della Rete uno Rsi. Quanto a Gianfranco Cotti, dopo essersi visto sfuggire di mano l'assegnazione del Casinò locarnese, sembra ormai in perdita di giri. Alla fine dello scorso anno Patrizia Pesenti non è riuscita, malgrado il palese sostegno di Cotti, a fare ciò che nel 1994 aveva fatto Carla Del Ponte, cioè andare a Berna.
I bei tempi della P2
Nello studio di Elio Borradori, attraverso la Generalunternehmung, e altre due ditte, viene dunque riciclato il danaro della cocaina. Chi si occupa di questi conti? Donatella G. la moglie di Helios Jermini, il presidente del Football club Lugano inabissatosi nelle acque del Ceresio con la sua automobile il 7 marzo 2002.
Il nome Jermini compare già nelle attività della vecchia Banca del Gottardo ai tempi di Michele Sindona, Roberto Calvi e compagni, quando la Gottardo era ancora una filiale particolare del Banco Ambrosiano. Sempre in relazione diretta o indiretta con la Gottardo, Jermini è un fil rouge che arriva fino nel cuore del Russiagate, la più spettacolare vicenda fra tutte quelle che hanno per protagonista Carla Del Ponte. E qui torniamo ai giorni concitati del golpe di Morat, quando Carla Del Ponte sta per fare le valigie per l'Aia ed è agli ultimi giorni della sua carriera come procuratrice federale.
Il capo dei servizi segreti militari Peter Regli viene fermato nella famosa notte del 18 agosto 1999 sulla base di un interrogatorio di due ore. Tanto basta a Dino Bellasi, contabile infedele, per convincere la Del Ponte ad ammanettare, oltre allo stesso Regli, il colonnello di stato maggiore Jean Denis Geinoz e l'addetto militare a Budapest Bernhard Stoll. La storia del golpe finisce poi a tarda notte a Morat, dove il Consiglio federale è riunito in "seduta di clausura". È lì che approda a notte inoltrata Carla la temeraria, con la testa di Regli sul vassoio. Per consegnarla ad Adolf Ogi e Ruth Metzler. Da quel momento Ogi sposa la tesi Del Ponte-Bellasi, quella che porta allo sfacelo del controspionaggio svizzero.
Fra l'eliminazione dei vertici dell'intelligence militare e la partenza di Carla Del Ponte alla volta dell'Aia intercorre un lasso di tempo brevissimo. Quando ammanetta Regli, Carla è praticamente già sull'aereo per i Paesi bassi. Ciò malgrado Crudelia Del Ponte riesce, meno di una settimana dopo, a fare un'ultima vittima.
Due donne a Heathrow
Felipe Turover è un amministratore di crediti che lavora con il Cremlino di Boris Jeltsin, a stretto contatto con la Banca del Gottardo. Crudelia, prima di consegnarlo al pellicciaio come gli altri dalmata, lo impiega per un'operazione destinata a cambiare il mondo. Il presidente degli Stati Uniti George Bush è al potere con uno scarto di circa 500 voti. Al suo posto ci potrebbe benissimo essere Al Gore, il vice di Bill Clinton. Ma è pura fantapolitica. Al Gore si è bruciato le ali per i suoi rapporti un po' troppo "disinvolti" con la scricchiolante amministrazione russa di Boris Jelsin, cioè con il Russiagate. Secondo Turover, a dare un colpo mortale all'amministrazione Jeltsin, sarebbe stato l'incontro fra due donne il 15 giugno 1999 all'aeroporto londinese di Heathrow. La prima è la segretaria di Stato Usa Madeleine Albright. La seconda è Carla Del Ponte.
Per capire lo scenario di questo incontro occorre risalire ai colloqui di Rambouillet (in Francia) del febbraio 1999. Gli americani e la Nato vogliono attaccare la Serbia. Il solo ostacolo all'intervento contro Milosevic si chiama Boris Jeltsin. Per ragioni profondamente radicate nella storia i russi non intendono colpire gli antichi alleati serbi.
Negli incontri di Rambouillet, la delegazione russa non oppone resistenza alcuna, spianando definitivamente la strada all'intervento Nato. Perché? La spiegazione ha un nome: si chiama Felipe Turover l'arma segreta che Carla Del Ponte ha da offrire a Clinton in cambio dell'appoggio alla prestigiosa nomina all'Aia Turover si trova al centro di un fondamentale crocevia finanziario fra la Banca del Gottardo di Claudio Generali, la Mabetex di Behjget Pacolli e il governo russo. Ed è in grado di indebolire Jeltsin rivelando corruzione e traffici illeciti nel Cremlino.
Un ricatto contro i russi
Da un paio d'anni Carla Del Ponte coltiva Turover, come testimone di importanza strategica, impiegandolo anche come ufficiale di collegamento tra la Russia e la Svizzera. E il piano consistente nell'indebolire Jeltsin riesce fin troppo bene. La Nato e i piloti americani se ne rendono conto l'8 giugno 1999 ultimo giorno di guerra. Jeltsin è così indebolito dalle rivelazioni di Turover da perdere il controllo delle truppe d'assalto. In un clima da terza guerra mondiale le teste di cuoio russe arrivano a Pristina, capitale del Kosovo, prima delle stesse truppe Nato. Anche stavolta per poco il gioco della guerra non sfugge di mano agli apprendisti stregoni.
Meno di una settimana dopo la notte del golpe di Morat, Carla Del Ponte si accinge a occupare la prestigiosa poltrona del Tribunale penale internazionale (Tpi), verosimilmente promessale da Madeleine Albright a Heathrow. A questo punto Carla Del Ponte scarica il testimone di punta del caso Mabetex alle ortiche rivelandone identità, indirizzo e tanto di numero di telefono portatile ai giornalisti del Corriere della Sera. Behjget Pacolli invece riceve dalla magistratura una specie di certificato in bianco per il resto dei suoi giorni. Da allora Felipe Turover è costretto a vivere alla macchia per evitare le vendette della mafia russa. Alla prova dei fatti la mossa di Clinton per indebolire i russi gli si ritorce contro. Con Jeltsin cola a picco anche il futuro presidenziale di Al Gore. A parte Pacolli, la sola vera beneficiaria di questo scambio di favori, rimane lei, Carla Del Ponte. Una creatura unica al mondo capace di trasformare in oro degli errori che sarebbero stati fatali a qualunque altro essere umano.
P.S. E ora godiamoci la Prode mortadella, che eroicamente dice sempre di Sì agli USA.
Chiedo a chi lo ha votato, dopo averci scassato le pensioni, il TFR (per chi le ha), il ticket sul pronto soccorso, assunto i vampiri della goldman-sachs, mandato soldati in afganistan e libano, ritirati quelli che aveva deciso di ritirare il barzellettiere di Arcore, aver fatto insabbiare per sempre Ustica, e accodarsi alla prossima guerra imperiale USA avviando la costruzione, a Vicenza, dell'ennesimo postribolo bellico-nucleare per i suoi padroni di Washington-Wall street. A tutti costoro chiedo, erano così mostruose le battute idiote del nano brianzolo? La stupidità dei suoi paggetti e tirapiedi, erano peggio dell'opportunismo dei pecoraro-bertinottian-radicaldilibertiani? Almeno le pensioni, il presidente-comico ancora non le stava toccando.
Invece ci siamo scelti(?) un parrino a forma di mortadella, ma tristo, ipocrita e malintenzionato. Con questa gente al potere, il nostro futuro può far solo paura.
Ne valeva la pena?
saluti
alessandro
I complotti non esistono, ... tranne quando ci sono