tanto per tornare in thread: non dimentichiamoci dei "giornalisti" di quegli anni...grazie a chi "scrivevano"? per chi lavoravano?
Strano Diario…
Domenico Savino
24/10/2006
…la vicenda di Enrico Deaglio è paradigmatica, non tanto in sé, quanto per la storia politica da cui proviene.
Prima di diventare direttore di «Diario della settimana», direttore del quotidiano «Reporter» collaboratore per La Stampa, Il Manifesto, Epoca, Panorama, giornalista televisivo per Mixer, conduttore della terza e ultima edizione di «Milano, Italia» per Raitre, conduttore sempre per Raitre, di «Ragazzi del ‘99» e negli anni successivi di «Così va il mondo», «Vento del Nord», «l’Elmo di Scipio», tutti programmi di inchiesta giornalistica di attualità, Enrico Deaglio, nato a Torino l’11 aprile 1947, ha lavorato come medico presso l’ospedale Mauriziano Umberto I, presso il quale aveva vissuto come «allievo interno» negli anni dell’università.
Fu solo alla metà degli anni ‘70, che egli cominciò a fare il giornalista a Roma, presso il quotidiano Lotta Continua, di cui è stato direttore dal 1977 al 1982.
La «covata di Lotta Continua» annovera oggi alcuni tra i giornalisti e politici più noti del panorama nostrano: oltre a Deaglio, Adriano Sofri, Marco Boato, Toni Capuozzo, Paolo Cento, Erri De Luca, Antonio Demuro, Fiorella Farinelli, Fulvio Grimaldi, Paolo Hutter, Peppino Impastato, Gad Lerner, Paolo Liguori, Luigi Manconi, Andrea Marcenaro, Giampiero Mughini, Carlo Panella, Mauro Rostagno, Carlo Rossella (per citarne alcuni) sono tutti equamente distribuiti tra destra e sinistra, tutti disposti a litigare su Berlusconi o su Prodi, ma tutti inequivocabilmente concordi nel lodare gli immortali principi dell’ottantanove, la democrazia americana, i valori liberal, l’Occidente.
E non sembra affatto un caso.
La storia di Lotta Continua è contaminata dall’inizio.
Il settimanale Il Borghese del 1-10-97, a pagina 32, ha scritto chiaro e tondo che tale giornale veniva «(...) stampato da un rappresentante della CIA a Roma».
Nessuno smentì e non si ebbero notizie di querele.
La notizia in realtà non era nuova ed era stata ben documentata.
Su Il Giorno del 31 luglio 1988, il giornalista Marco Nozza pubblicava un articolo denso di particolari in cui si racconta che la tipografia che stampava Lotta Continua, la «Tipografia Art-Press», si trovava nei locali della stessa redazione in via Dandolo al numero 10.
«La storia -scriveva Il Giorno - nasconde aspetti davvero molto strani […] perché, al medesimo indirizzo, esisteva la Dapco. E la Dapco era l’editrice del Daily American, il giornale degli americani di Roma».
Il Daily risultava di proprietà di una società il cui amministratore unico era un americano degli Stati Uniti, tale Robert Hugh Cunningham, un collaboratore eminente di Richard Helm, quando Richard Helm era capo della CIA.
Questo signor Cunningham aveva come socio un vecchio americano ultrasettuagenario, tale Samuel Meek, che aveva amministrato il Daily American dal 1964 e agiva, anche lui, per la CIA.
Sia pure solo come fiduciario, non come vero e proprio agente.
L’gente vero era Robert Hugh Cunningham.
Certo un conto è la Dapco e un conto è la Art-Press, la tipografia che stampava Lotta Continua.
Giuridicamente in effetti è così: la società Dapco, i cui soci erano dunque Robert Hugh Cunningham e Samuel Meek, si costituì a Roma, il giorno 1 dicembre 1971, con atto a rogito presso il notaio Domenico Zecca.
I soci della Art-Press risultano invece tre: Cunningham padre, madre e figlio.
Amministratore della Dapco era Cunningham senior, amministratore della Art-Press era il figlio Robert Hugh Cunningham. Junior.
Intanto nel ‘71, stesso anno di fondazione della Dapco, presso la Cancelleria delle società commerciali, esistente nel Tribunale civile e penale di Roma, due signori presentano un documento dal quale risulta che accettano di diventare «amministratori della Spa Rome Daily American con deliberazione dell’assemblea ordinaria del 27 settembre 1971».
Sono Matteo Macciocco, nato a Olbia (Sassari) il 1 aprile 1929, domiciliato a Milano in via Turati 29 e Michele Sindona, avvocato, nato a Patti (Messina) l’8 maggio 1920, domiciliato a Milano in via Visconti di Modrone 30.
Sì, Michele Sindona, proprio lui!
«Nel ‘71, dunque, Sindona - scrive Il Giorno - succede a Cunningham senior, nella gestione del Daily American».
Ma con il fallimento di Sindona, fallisce anche il Daily American, subito sostituito dal Daily News.
I suoi proprietari sono Robert Hugh Cunningham senior e Robert Hugh Cunningham junior.
Mentre fallisce il Daily American, anche Lotta Continua cambia tipografia.
Insomma sia la Dapco che stampava il giornale americano, sia la «Tipografia Art-Press» che stampava Lotta Continua, perdono i loro clienti e la sede di in via Dandolo 10 resta vuota: «è nata infatti una nuova società, che si è fissata la durata ‘fino al 31 dicembre 2010’.
Nome: «Tipografia 15 giugno»; soci: Angelo Brambilla Pisoni, Pio Baldelli, Marco Boato, Lionello Massobrio…
Tutti quelli che si presentano davanti al notaio di Roma, che stavolta è Franco Galiani, si dichiarano cittadini italiani.
L’ultimo della fila, no; questo è un cittadino statunitense.
Come si chiama? Robert Hugh Cunningham junior, sempre lui.
Il figlio, ormai ha preso il posto del padre.
E si muove meglio del padre, perché non soltanto si dà da fare (molto bene) con quelli di Lotta Continua, ma tiene sotto controllo (sotto controllo?) anche le frange accalorate di Autonomia, di cui divulga (su giornali e riviste) le idee più eversive, più deleterie.
Verso gli anni Ottanta, prende a languire lo slancio di Lotta Continua e il giornale si spegne proprio mentre, negli Stati Uniti, appare la stella nuova, quella di Reagan.
A questo punto, da parte di Cunningham junior non c’è nemmeno più la preoccupazione di nascondere quello che, effettivamente, rappresenta.
E Reagan, appena eletto presidente degli Stati Uniti, lo nomina responsabile del partito repubblicano in Europa.
Per che cosa?
Per l’informazione; Robert Hugh Cunningham diventa l’uomo più reazionario dell’équipe di Washington, Rambo tra i Rambo; ed è ancora un giovanotto: ha appena superato i quaranta.
Robert Hugh Cunningham junior nel giugno del 1988 - è scritto in un altro articolo di Marco Nozza - mentre ha un ufficio a Washington ed uno a Roma in via Barberini dove pubblica il Daily News, rilascia all’Espresso un’intervista in cui precisa la nuova dottrina Reagan: «con Carter forse potevamo anche pensare che convenisse non avere molto a che fare con gli Stati Uniti; ora basta! L’amministrazione Reagan avrà un atteggiamento duro con gli avversari e pienamente disponibile con gli amici. E chi sono gli amici?» - gli chiede l’intervistatore - «Io posso dire quello che ho scritto nel mio rapporto ad Haig. E cioè che la DC resta il nostro partner principale. Ma non tutta». (4)
Un altro episodio è significativo: dopo il fallimento del Daily News, Robert Hugh Cunningham Junior tornò in possesso del Daily American: qui entrò in rotta di collisione con la redazione, arrivando a sospendere gli stipendi e a chiudere fisicamente a chiave l’ufficio della redazione. Spiegava Christofer Winner, il caporedattore: «La verità è che noi siamo sempre stati equidistanti. Cunningham ci vorrebbe più reaganiani». (5)
Niente male per un ex-militante di Lotta Continua!
Che c’entra tutto questo con Deaglio?
Questo decidetelo voi: io mi limito a ricordare che - secondo la biografia che compare sul sito della RAI - Deaglio è stato proprio in quegli anni (per ben 5 anni dal 1977 al 1982!) il direttore di Lotta Continua. (6)
Oggi Deaglio è il direttore di «Diario della settimana»: giornale di sinistra, secondo quanto ne dice Monica Ricci Segantini su Il Corriere della Sera.
Ma di chi è la proprietà di «Diario della settimana»?
Della Editoriale Diario spa di Milano, che è posseduta da Persia srl con un capitale di € 1.999.999 e da Gulli Marco per € 1.
E di chi è la proprietà di Persia srl?
In quote eguali di € 516.456 cadauna di Mondadori Formenton Cristina, Formenton Luca e Formenton Macula Mattia.
Chi sono questi signori?
Citiamo, per stare sul sicuro, dal sito di Magistratura Democratica: «Il 21 dicembre 1988 Cristina Formenton Mondadori (figlia di Arnoldo Mondadori e vedova di Mario Formenton) e i suoi figli Luca, Pietro, Silvia e Mattia, si impegnano a vendere alla CIR di Carlo De Benedetti, entro il 30 gennaio 1991, 13.700.000 azioni dell’Amef (finanziaria della Mondadori) contro 6.350.000 azioni ordinarie Mondatori. Poco dopo, però, i Formenton si alleano con Berlusconi e lo mettono a presiedere la casa editrice. I Formenton a questo punto non vogliono dar corso all’accordo del 1988, sicché tre arbitri (Pietro Rescigno, Natalino Irti e Carlo Maria Pratis, rispettivamente designati da CIR, dai Formenton Mondadori e dal primo presidente della Suprema Corte di Cassazione) vengono incaricati di dirimere la controversia. Si giunge così al lodo arbitrale che dà ragione alla CIR. De Benedetti ottiene il controllo della maggioranza assoluta (50,3 % del capitale ordinario) di Mondadori. I Formenton, però, non si arrendono e decidono di impugnare il lodo davanti alla Corte d’Appello di Roma, facendosi assistere da tre insigni avvocati: Agostino Gambino, Romano Vaccarella e Carlo Mezzanotte (per inciso: Gambino sarà designato quale ‘saggio per il blind trust’ nel primo governo Berlusconi e poi diverrà ministro delle Telecomunicazioni nel governo Dini; Vaccarella e Mezzanotte sono ora giudici costituzionali).
La Corte d’appello decide con un collegio formato dal presidente Valente, dal relatore Vittorio Metta e dal terzo giudice, Giovanni Paolini.
Se la sentenza non arrivasse entro il 30 gennaio 1991, il patto di vendita delle azioni dai Formenton a De Benedetti dovrebbe essere eseguito. I giudici tuttavia sono assai tempestivi: la camera di consiglio si conclude il 14 gennaio 1991 e Vittorio Metta già il giorno seguente, il 15, sottopone al presidente la sentenza di centosessantotto pagine, che il 24 gennaio 1991 viene infine pubblicata. La Corte d’Appello, con essa, dichiara che parte degli accordi tra CIR e i Formenton è in contrasto con la disciplina delle società per azioni. Il lodo arbitrale viene pertanto annullato e la Mondadori torna sotto il controllo di Berlusconi». (7)
Ecco qui i volti che si celano dietro la «sinistra» barba di Enrico Deaglio, dietro la copertina semipatinata di «Diario della settimana», dietro la Editoriale Diario spa e Persia srl, nome scelto dai due rampolli Formenton probabilmente per ricordare il padre Mario, nato a Teheran e da Cristina Mondadori Formenton, per rivivere magari gli anni ruggenti passati col marito nella capitale iraniana ai tempi dello Scià, prima del ritorno a Verona.
Eccoli qua i campioni dell’editoria alternativa, quelli che promettono di vendere a De Benedetti e poi vendono a Berlusconi, gli esponenti brillanti del bel mondo dell’editoria, quelli che ci regalano le verità «vere» sull’11 settembre, quelli che bollano come boiate pazzesche le teorie complottiste ed esibiscono il fantomatico lavoro certosino di trenta giornalisti del Popular Mechanics, senza dire che era stato redatto in realtà dal solo Benjamin Chertoff, «our senior researcher» («il nostro ricercatore più esperto»), nipote - come già riportato da Maurizio Blondet - di Michael Chertoff, l’israelo-americano che Bush ha messo alla guida del Dipartimento Homeland Security e - stando a quanto scrive Barry Camish (8) - frankista.
Eccola qui la borghesia progressista, la sinistra al caviale che normalizzerà gli antagonisti anti-americani tra le spire delle proprie pagine di Diario, quando tornerà l’America buona, oppiacea e progressista che tanto piace in quegli ambienti.
Chissà se i miei amici di sinistra hanno letto di quella cena «per pochi intimi in casa di Cristina Mondadori in onore di Letizia Moratti, candidata sindaco di Milano. Fra gli ospiti anche Piero Ostellino, ex direttore de Il Corriere della Sera, che ha spiegato a lungo perché bisognerebbe eleggere Massimo D’Alema al Quirinale e perché questo invece non avverrà. Molto ammirato comunque il nuovo look di Letizia, smagrita, meno austera, più alla mano, colloquiale. E’ piaciuta a tutti». (9)
Eccola qui la sinistra «illuminata», cosmopolita, moderna, quella che oggi serve le tesi dell’America conservatrice di Bush e domani quelle di un presidente liberal, democratico e magari negro o gay (un tocco «di colore» e di eccentricità - si sa - non guasta mai per razionalizzare le contraddizioni di un sistema), quella che domani ammetterà, come già è stato per il comunismo, che sì, forse, ci si era sbagliati, ma… per carità … solo per amore della Libertà, della Democrazia, del Progresso, della Tolleranza.
Come cantava Gaber: «A me l’America non mi fa niente bene. Troppa libertà. Bisogna che glielo dica al dottore. A me l’America mi fa venir voglia di un dittatore. Ohhhhh!!! Sì, di un dittatore. Almeno si vede, si riconosce. Non ho mai visto qualcosa che sgretola l’individuo come quella libertà lì. Nemmeno una malattia ti mangia così bene dal di dentro. ome sono geniali gli americani, te la mettono lì. La libertà è alla portata di tutti come la chitarra. Ognuno suona come vuole e tutti suonano come vuole la libertà». (10)
Domenico Savino
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Note
1) Monica Ricci Segantini, «Il complotto dell’11 settembre? Una grande bufala», Corriere della Sera, 29 settembre 2006.
2) Pierluigi Battista, «Particelle elementari - Le Twin Towers e la rivincita degli ‘ingenui’», Il Corriere della Sera - 02/10/2006.
3) Marco Nozza, «Lotta Continua, la CIA e Sindona - Storia inedita di un giornale e di una tipografia», Il Giorno, 31 luglio 1988.
4) Marco Nozza, «Caro signor Cespuglio è tutto documentato», Il Giorno, 4 agosto 1988.
5) Il Giornale, 9 luglio 1983, l’articolo è a firma di Massimiliano Scafi
6)
http://www.raitre.rai.it/R3_biografia/0,5435,40,00.html
7)
http://www.magistraturademocratica.it/md.php/20/8038)
http://www.conspiracyarchive.com/Commentary/Larry_Pulls_It.htm.Barry Camish è un controverso giornalista e scrittore israelo-canadese ed un ex agente dei servizi segreti israeliani, autore tra il resto del libro «Chi ha ucciso Yitzhàk Rabìn», ENA Editrice Nuovi Autori, secondo cui non fu Yigàl Amìr, ad uccidere Rabìn. Stando a quanto afferma Chamish, Amìr fu a sua volta vittima di un'operazione-trappola orchestrata dalla Shabàk (il servizio di sicurezza interno di Israele), «e non uccise l’ex premier israeliano. Ad Amìr sarebbe stata fornita dagli agenti della Shabàk una pistola caricata a salve. Lui avrebbe sparato al premier, e sarebbe stato colto in flagrante. Ciò avrebbe offerto al governo israeliano il pretesto per scatenare su vasta scala la repressione contro coloro che si opponevano al ‘Processo di pace’. Subito dopo i colpi sparati da Amìr, secondo la ricostruzione fornita da Chamish, Rabìn, vivo e vegeto, ‘fu trascinato via, e ficcato dentro alla sua limousine, dove il vero assassino stava in agguato. E poi, quello che doveva essere il viaggio di un minuto verso l’ospedale, divenne una gimkana di oltre otto minuti per le oscure vie di Tel Aviv. In quel periodo l’omicida completò la sua opera, e lasciò l'auto». Da
http://www.archiviostorico.info/Rubriche/Librieriviste/recensioni/chihauccisorabin.htm.9) Da Dagospia
http://213.215.144.81/public_html/indici/indicenomi_M.html10) Giorgio Gaber, «L’America» dall’album «Gaber 96/97».
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