Proseguo a postare gli approfondimenti alla scheda, cominciando dalla fantascientifica
TiwanakuTiwanaku, nome dato alle costruzioni dagli indigeni Aymara che significa “La citta’ degli Dei”, si trova 70Km a nordovest di La Paz, in Bolivia, a quasi 4.000 mt sul livello del mare.
Il mondo guarda con meraviglia le immense piramidi egizie o messicane, ma il sito andino, pur essendo stato portato alla luce solo per una infinitesima parte (si stima non oltre il 3%), non ha nulla da invidiare come magnificenza nelle realizzazioni ingegneristiche o nelle espressioni di una profonda cultura espressa in molteplici esempi fornitici dalle scelte effettuate dai costruttori.
Le parole di Garcilaso De La Vega, scrittore e storico peruviano, sono quelle di chiunque abbia avuto la fortuna di visitare questa antichissima citta’:
Ci sono figure gigantesche scolpite nella pietra...queste sono molto consumate, il che sta a dimostrare che sono antichissime. Ci sono muri talmente enormi che è difficile immaginare quale forza umana abbia potuto collocarle. E ci sono i resti di strane costruzioni, tra cui le più eccezionali sembrano dei portali di pietra, tagliati nella roccia viva. Questi poggiano su basamenti lunghi 30 piedi, larghi 15 e spessi 5, e il basamento e il portale sono fatti di un unico pezzo...In che modo e con l'uso di quali strumenti o arnesi sia stato possibile realizzare opere di queste dimensioni sono domande a cui non siamo in grado di rispondere...nè si riesce a immaginare come sia stato possibile trasportare fin qui pietre tanto enormi."Modello dell'area
Tiwanaku raccoglie in se’ una serie di enigmi, ad iniziare dalla sua stessa posizione geografica: si trova infatti su di un desolato altopiano dove, oltre alle difficolta’ poste dall’altitudine, non piove per 9 mesi all’anno, la piu’ vicina fonte d’acqua e’ il lago Titicaca a quasi 30 Km, l’escursione termica varia dai 25° del giorno ai -10° della notte e non esistono cave di pietre nelle vicinanze (la piu’ prossima e’ stata individuata a 20 Km di distanza, altre sino a 200Km.).
Una somma di fattori che sconsiglierebbe chiunque volesse edificare una citta’ in quel luogo.
Le pietre che componevano molti monumenti, in particolare nel Puma Punku, sono pesanti centinaia di tonnellate, e sarebbero state tagliate, lavorate, trasportate e messe poi in opera da una popolazione che non possedeva la ruota o la carrucola
L’intera area presenta pietre sparse ovunque, come avverrebbe in caso di un violentissimo terremoto, alcune costruzioni sono state rase al suolo pur essendo costruite con una perizia straordinaria.
E’ possibile che le varie ricostruzioni e/o prelievi delle pietre destinate ad un diverso utilizzo (maestri in questo furono i missionari e la nobilta’ spagnola dell’epoca per costruire case e missioni varie), che sono state molteplici durante gli anni, abbiano causato, unitamente ai movimenti tellurici, questo attuale aspetto “lunare”.
Ma l’intera zona e’ stata ricoperta da uno strato di fanghiglia dello spessore di ca.21 mt, cosa che ha si permesso il ritrovamento in ottimo stato di conservazione di numerosi reperti, ma che apre una serie di interrogativi su come sia possibile che una zona tanto arida a 4.000 mt di altitudine sia stata colpita da un fenomeno simile.
Il ritiro del lago Titicaca, distante quasi 30 km attualmente, e’ stato stimato in pochi mm. all’anno, eppure a Tiwanaku sono state ritrovate muraglie lunghe centinaia di metri che raccontano inequivocabilmente di una citta’ portuale.
.
E’ davvero un rompicapo per ora senza soluzione.
Se poi esaminiamo i dettagli ingegneristici, astronomici e di tutte le scienze umane che le rovine riescono ancora ad illustrarci, la meraviglia scivola sempre piu’ verso l’incredulita’.
Nella zona chiamata "Puma Punku", forse per rendere meno onerosa possibile l’opera, vista la difficolta’ di procurarsi il materiale per le costruzioni, i monumenti e le opere infrastrutturali, o forse per la sola scelta estetica e/o pratica, e’ stata progettata, costruita e messa in opera una serie di blocchi modulari intercambiabili , del peso variabile da ca 20 tonn. sino ad oltre 400 tonn., fissando poi questi mastodontici elementi uno all’altro attraverso un sistema complesso di pesi ed incisioni e/o l’utilizzo di graffe metalliche fuse.
Una ulteriore dimostrazione di una perizia sbalorditiva nel tagliare il granito (o la ancor piu’ difficile diorite) come fosse gesso e' data dal livello millimetrico nella realizzazione delle alcune incisioni (alcuni intarsi sono spessi nell’ ordine addirittura di decimi di millimetro, cosa estremamente difficile anche al giorno d’oggi), ottenendo una finitura talmente elevata da rendere impossibile inserire una lama di rasoio tra un blocco e l’altro
Tiwanaku (Bolivia) Source: Jean-Pierre Protzen & Stella E.Nair, “On Reconstructing Tiwanaku Architecture”,
Journal of the Society of Architectural Historians, Vol. 59, Nr.3, 2000, pp. 358-371
Attualmente l'utensile che noi utilizziamo per lavorare il granito o la diorite e’ la fresa al diamante, minerale necessario per incidere pietre di simile durezza.
Le popolazioni dell’epoca conoscevano il solo rame come metallo, ma, nonostante questo limite apparentemente insormontabile, avrebbero realizzato cio’ che metterebbe a durissima prova la nostra tecnologia.
Si potrebbe ipotizzare che, con molto tempo e forza lavoro a disposizione, forse sarebbe possibile levigare le pietre utilizzando l’acqua, come e’ stato dimostrato possibile dagli egizi al tempo dei Faraoni.
Ma per forare o intagliare il granito e’ necessario utilizzare almeno dei trapani al quarzo, di cui non e’ stata ancora reperita alcuna prova fra i ritrovamenti..
Oltretutto questi trapani non sarebbero la soluzione del problema che presentano i fori, in quanto non e’ mai stato trovato alcun residuo di metallo al loro interno, piccoli (sino ad 1 mm di diametro) o grandi che fossero.
Qui si vede bene la qualita’ raggiunta nell’incisione dagli antichi realizzatori: non si vedono segni di scalpelli e la profondita’ e’ esattamente uguale per tutta la scanalatura
Una attuale fresa al diamante otterrebbe un risultato simile, e gli ingegneri che hanno esaminato le lavorazioni sono infatti rimasti sbalorditi per la somiglianza dei risultati.
Per le “Metal clamps”, le graffe di fissaggio che venivano impiegate per ancorare i blocchi uno all’altro, e’ necessario ampliare il discorso.
Gia’ la presenza di metallo diverso dal rame e’ una assoluta stranezza, in quanto non si ha notizia che fossero allora conosciute altre leghe nel periodo in cui sarebbe stata edificata Tiwanaku, in piu’ questo ingegnoso sistema prevede, per poter essere impiegato in loco, la presenza di una fonderia portatile, in quanto e’ assai difficile ipotizzare il trasporto del minerale fuso dalla fonderia sino a dove poi doveva essere utilizzato.
Un’analisi spettrografica del metallo delle graffe, condotta dai Dottori Scott Uhland, Heather Lechtman e Larry Kaufman, del dipartimento Materiali, Scienza ed Ingegneria del MIT di Cambridge, ha confermato il suo uso in forma liquida, evidenziando altresi’ una composizione nella lega impiegata del nickel.
In Bolivia non si è mai trovato nickel, e, oltre a ciò, si tratta di una lega ottenibile solo in forni a temperature elevatissime, di cui non si conoscono altri esempi per l’epoca e la zona.
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0364591601000347 Altra singolarita’ sono le analogie di questa particolarissima tecnica di fissaggio con altre tramandateci da altre costruzioni in diversi luoghi della terra.
La prima immagine proviene da Dendera, Egitto; la seconda da Ollantaytambo, Peru’; la terza da Tiwanaku, Bolivia e la quarta da Angkor Wat, Cambogia;
Una ipotesi, che e’ stata avanzata negli ultimi anni esaminando diversi megaliti, sostiene che i nostri antenati conoscessero qualche composto o altro che rendesse le pietre piu’ malleabili.
Se questo fosse dimostrato, molte delle immense mura poligonali come questa
e tante altre costruzioni e lavorazioni accurate che ci sono state tramandate troverebbero una semplice spiegazione.
Per quanto questa ipotesi ci appaia impossibile, diverse prove sembrano proprio dimostrare conoscenze a noi ora ignote per la lavorazione del granito o della diorite.
Questi vasi ritrovati in Egitto, per esempio, sono realizzati con una perfezione nella lavorazione che permette all’oggetto di essere bilanciato al punto di restare in equilibrio.
Attualmente la nostra tecnologia non e’ in grado di affrontare una simile sfida, soprattutto per cio’ che riguarda la lavorazione della parte interna, irraggiungibile dai nostri strumenti in casi come questo
ed estremamente difficile come lavorazione nell’esempio precedente.
Eppure gli antichi egizi ci hanno lasciato migliaia di queste vere e proprie opere d’arte.
Anche in questo caso una pietra malleabile semplificherebbe enormemente le difficolta’, ma, ammesso che questa conoscenza esistesse, si e’ purtoppo persa nel tempo.
E cosi’ resta senza risposta la questione di come fosse possibile produrre 5.000 anni fa’ manufatti che noi, con la nostra tecnologia avanzata, non siamo in grado di riprodurre al giorno d’oggi.
Tornando a Tiwanaku, gli ingegneri e progettatori locali hanno pero’ appena iniziato a sbalordirci con questa serie di meraviglie architettoniche, e molteplici sono gli interrogativi che i diversi reperti portati alla luce sino ad oggi sollevano.
Il problema di coltivare cibo o giardini in una zona cosi’ arida ed esposta a una simile estrema escursione termica e’ stato risolto costruendo una accuratissima rete idrica, solo recentemente rilevata nella sua completa estensione dalle fotografie aeree.
Una serie di canali attraversa infatti l’intero sito, scavata ad una profondita’ di 2 mt ca. permettendo cosi’ al sole di favorire l’evaporazione dell’acqua durante la giornata; man mano che si avvicinava la sera l’acqua si ricondensava, formando poi una nebbia che preservava le piante a sufficienza dal gelo e nello stesso tempo irrigava le coltivazioni ed i giardini.
Numerose statue, fregi e incisioni ritrovate nel Kalasasaya raffigurano popolazioni di indubbia origine caucasica, negroide, semitica o asiatica, migliaia di anni prima che questo fosse ritenuto possibile.
Recenti analisi del Dna compiute su 18 scheletri hanno confermato questa assoluta anomalia paleontologica e storica, in quanto in 5 di essi sono stati trovati marcatori genetici non presenti fra quelli degli abitanti del Nuovo Mondo.
Relatedness of Eurasian and American Far Northern populations to the Amerindians: HLA genes and linguistics.
A. Arnaiz-Villena and M.H. Crawford., Dept. of Immunology, University Complutense, Madrid, Spain and Dep. of Anthropology, University of Kansas, Lawrence.
Link Il monumento piu’ famoso ed enigmatico della citta’ andina e sicuramente la
Porta del Sole Ultima rimasta di una serie di porte che si ipotizza circondasse una costruzione ora distrutta, e’ da sola un concentrato di misteri
E’ stato accertato che in essa e’ racchiuso un calendario (e’ infatti conosciuta anche come Porta del Calendario) che raffigura un anno solare, ma diverso da com’e’ oggi:
gli autori vi hanno infatti scolpito un anno di soli 290 giorni, suddiviso in 12 mesi di 24 giorni piu’ 2 giorni intercalari.
E non e’ certamente dovuto ad un errore o imprecisione, perche’ chi eresse questo imponente sito megalitico aveva grandi conoscenze di ingegneria, astronomia, matematica e tante altre scienze.
Chi realizzo’ la Porta del Sole sapeva che la terra e’ un globo che ruota sul proprio asse e sapeva calcolare le eclissi, anche quelle non visibili dall’emisfero del sito.
Tuttavia calcolava l’anno in maniera tanto anomala rispetto ai giorni nostri.
Anche la loro matematica (o meglio, la geometria) era diversa, il cerchio era suddiviso in 264° anziche’ gli attuali 360° tramandatici dai babilonesi.
E’ da notare come questa differente misurazione rispetto alla nostra determini il corretto rapporto di pi greco (22/7), facilitando il calcolo dell’area del cerchio.
Ma se per la geometria esiste una spiegazione perfettamente comprensibile (la nostra geometria e’ solo basata su convenzioni di misurazione diverse), nessuna, se non mere congetture, esiste per l’anomalo conteggio dei giorni dell’anno.
Alcune ipotesi dicono che quelle incise fossero date rituali, altre una durata diversa dell’anno solare in un lontano passato, altre ancora arrivano alla misurazione di anni solari di altri pianeti,ma non abbiamo la conferma per nessuna di esse
Se si potesse esaminare una delle altre porte ora distrutte (o ancora sepolte) avremmo almeno un elemento di comparazione, mancando questo probabilmente fondamentale reperto, dobbiamo restare nel solo campo delle supposizioni.
Gli altri monumenti che compongono il sito sono
La piramide di Akapana, qui nella ricostruzione di Javier Escalante Moscoso
Di forma e dimensioni insolite rispetto alle piramidi piu’ conosciute, la struttura e’ larga nel suo punto piu’ grande 176 mt. ed e’ alta 35.
Ma cio’ che desta assoluto stupore e’ che r
isulta attraversata da un dedalo di passaggi, tubazioni e condutture, a loro volta intersecate da pozzi verticali e collettori più piccoli, componenti un sofisticato impianto idraulico collegato all’enorme serbatoio posto in cima.Tiwanaku (Bolivia) Source: Jean-Pierre Protzen & Stella E.Nair, “On Reconstructing Tiwanaku Architecture”,
Journal of the Society of Architectural Historians, Vol. 59, Nr.3, 2000, pp. 358-371
L impianto di canalizzazione distribuiva quindi all'interno e ai differenti livelli della costruzione l'acqua, la quale sgorgava ovunque formando una serie infinita di cascatelle, vasche di raccolta, canali ed altro, offrendo uno spettacolare effetto di rara bellezza.
Si tratta di un’opera ingegneristica che non teme confronti al mondo, antico e non.
La complessita’ delle diramazioni idriche ha portato a fare altre speculazioni sul reale utilizzo di queste condutture, presenti fra l’altro nell’intero sito.
Esiste infatti un altro dato che e’ fonte di domande, e che potrebbe essere in qualche modo collegato anche alla cosi’ complessa rete di canali: la presenza di un forte campo magnetico capace di far impazzire le bussole, effetto che raggiunge il suo picco proprio sulla sommita’ della piramide.
Sono attualmente in corso gli scavi sul fianco del monumento, condotti dall’italiano Lorenzo Epis-
In un prossimo futuro probabilmente avremo una risposta su cio’ che genera questa anomalia magnetica, se delle grandi masse di metallo, come sembra probabile, o altro
Il tempio di Kalasasaya, o “il tempio dei pilastri“, nella ricostruzione che appare nel “Das Sonnentor von Tiahuanaco”, pubblicato nel 1937 da E.Kiss
Largo ca 117 mt. e lungo 125, e’ stato ipotizzato il suo utilizzo come tempio, ed e’ piu’ che possibile che la costruzione fosse adibita anche a tale scopo.
Era pero’ certamente un osservatorio astronomico: dalla sua scalinata e dai suoi angoli è infatti possibile ricostruire con esattezza solstizi ed equinozi.
Una serie di assai discutibili lavori di ripristino condotti negli anni ’50 dal governo boliviano ha completamente stravolto l’originario aspetto del “tempio dei pilastri” descritto da Posnasky , Kiss, Escalante, Squier e di tanti altri studiosi e viaggiatori, riducendolo all’aspetto attuale di una specie di piramide a due gradoni.
Il Puma punku, nella ricostruzione grafica di Javier Escalante Moscoso
Situato a ca. 1,5 Km da Tiwanaku sorgeva il Puma Punku, o Porta del Giaguaro, nome derivato da una delle prime statue ritrovate che rappresentava appunto un felino.
Si ritiene che il nome sia una distorsione del termine Una Punku, che significa Porta dell’Acqua, data la sua posizione rispetto al lago Titicaca.: chi giungeva da quella direzione si trovava infatti di fronte all’ingresso di una splendida costruzione, le cui enormi porte e mura erano rivestite d’oro e scintillavano nelle grandi vasche di raccolta d’acqua.
Salendo i gradini , appariva sullo sfondo una enorme montagna, il Nevado Illimani,
la montagna sacra che dominava tutta la zona e la cui immagine reale e riflessa nelle vasche offriva certo uno spettacolo mirabolante.
Grandi statue e fregi ovunque, decorazioni, pietre enormi pesanti centinaia e centinaia di tonnellate, finemente lavorate, incastrate alla perfezione e con una finitura della lavorazione che lascia attoniti anche oggi architetti ed ingegneri, un grande palazzo con cascate d’acqua ovunque...
Cio’ che noi oggi possiamo vedere e’ un desolato campo di rovine, immagine temporale della catastrofe che colpi’ la zona.
La diversita’ nelle tecniche impiegate nella costruzione fra Tiwanaku e Puma Punku ha suggerito il fatto che siano state costruite in epoche diverse, anche il differente grado di distruzione fra le due zone sembra confermare questa ipotesi.
Le parti di rovine ancora verticali sono state ricostruite negli anni dagli archeologi
La datazione del sito e’ controversa.
L’ingegnere austriaco Arthur Posnansky, a cui dobbiamo la scoperta di molti monumenti, spese quasi 50 anni della sua vita fra queste rovine, affascinato dalla raffinatezza e complessita’ della cultura che via via riportava alla luce.
Le sue conclusioni sulla datazione , inizialmente 17.000 aC. poi corretta al 10.500 aC., sono basate sulla scoperta dell’osservatorio solare costruito con i pilastri ed il portale del Kalasasaya, e ci parlano di una costruzione molto piu’ antica di quanto comunemente accettato.
Posnansky fu infatti il primo ad osservare come i pilastri e il portale del Kalasasaya erano perfettamente allineati alla posizione del sole ai solstizi ed agli equinozi.
Al giorno d’oggi, a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre differente, gli equinozi appaiono ben oltre la porta
Per ritrovare il perfetto allineamento dobbiamo andare indietro nel tempo, sino al 10.500 anni aC.
I calcoli precessionali furono sviluppati da Posnansky e Rolf Muller presso l’osservatorio di Potsdam:, in Austria.
Successivamente i loro calcoli sono stati rielaborati dai lavori di Friedrich Becker della Specula Vaticana, Arnold Kohlschutter dell’Università di Bonn e dall’astronomo Nel Stende , per i quali la datazione corretta e’ il 4.000 aC.
I ritrovamenti databili col radiocarbonio smentiscono queste ipotesi, dato che i reperti recuperati dai resti delle popolazioni allora nella zona ci dicono che provengono dal 1000 aC.
Bisogna pero’ sottolineare il fatto che il ritrovamento di resti di abitanti nel 1000 aC. non significa che negli strati sottostanti non esistano ulteriori testimonianze di altre culture precedenti, attualmente sepolte sotto oltre 20 mt. di sedimenti, cosi’ come non costituiscono certo una prova che non avessero semplicemente utilizzato degli edifici preesistenti.
Oltretutto la comparazione fra le abitazioni e le strutture degli indigeni Aymara,(a cui gli storici attribuiscono l’edificazione) con le costruzioni mastodontiche di Tiwanaku mostra molto chiaramente che sono state realizzate da due culture assai diverse, che non possedevano minimamente lo stesso bagaglio culturale, in quanto alla perfezione dell’una si contrappone il classico tipo di costruzioni e sviluppo che ci si attende nei villaggi del 1.000 aC.
Gli stessi Aymara sostengono che Tiwanaku non e’ opera loro, le loro leggende, tramandatesi per un tempo indefinibile, raccontano che e’ stata edificata da Viracocha moltissimi anni prima della loro venuta ’, quando
il Dio venne a riportare le scienze e l’agricoltura dopo che un grande cataclisma aveva oscurato il cielo e posto il sole in ombra.C’e’ da aggiungere un’ultima cosa riguardo a questa popolazione andina, il loro linguaggio assolutamente unico.
Alcuni glottologi lo ritengono talmente puro da non essersi mai evoluto come gli altri idiomi, bensi’ sembra apparso dal nulla, gia’ formato nella sua intera struttura .
E’ talmente particolare che fu’ utilizzato dal matematico boliviano Guzman de Rojas per il suo software di traduzione simultanea inglese-resto del mondo, che baso’ sulla struttura logica molto ferrea della lingua Aymarà, la quale poteva essere tranquillamente utilizzata e trasformata in algoritmo computerizzato finalizzato alle traduzioni.
E’ quantomeno altamente improbabile che dei contadini siano giunti a tali livelli di cultura e conoscenza, mentre risulta assai piu’ semplice e credibile che sia stata loro insegnata nel passato da una civilizzazione molto evoluta.
Esattamente come e’ quella che costrui’ Tiwanaku.