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opinione : UN ALTRO GRADO DI TERRORISMO
Inviato da Redazione il 15/1/2005 10:35:17 (2655 letture)

UN ALTRO GRADO DI TERRORISMO

di Stefano Serafini

Bisognerebbe prima di tutto chiarire un equivoco, collegato a quello dell'uso invalso della parola "terrorismo". "Terrorista" è per definizione chi opera con il fine di terrorizzare, destare sconcerto nell'opinione pubblica, ad es. colpendo indiscriminatamente civili inermi (la strage di Piazza Fontana, la strage dell'Italicus, le bombe al Velabro e a S. Giovanni a Roma). Non è terrorista, ma mero criminale, guerrigliero o nemico, chi usa violenza contro un obiettivo dichiarato e identificabile (non sono atti di terrorismo il rapimento e l'uccisione di Moro da parte delle BR che è un assassinio politico, né la strage di Nassirya che è un atto di guerra).

E' evidente quanto sia strumentale l'abuso della parola "terrorismo" da parte delle amministrazioni occidentali e dei loro media per stigmatizzare i propri nemici. Prima dell' 11 Settembre, la soldataglia cecena era chiamata dal New York Times

... "guerriglia", o "combattenti per la libertà". Dopo quella data (per poco, invero) ridivennero terroristi.

Ma UCK, guerriglia cecena, contras, ecc., rappresentano in verità una forma avanzata di guerra per procura che usa mezzi terroristici. E' una criminalità militare (con implicazioni di alto tradimento) che sfocia dunque nel terrorismo solo per quanto riguarda i mezzi.


L'intifada palestinese e la resistenza baatista irachena sono invece forme di guerra di liberazione. La prima, variegata com'è nella sua composizione, usa spesso mezzi terroristici, avendo fra l'altro anche l'intenzione di piegare la volontà dell'elettorato israeliano alle proprie ragioni. Per quanto riguarda la seconda ci sono buoni elementi per sospettare che gli atti di terrorismo a lei addebitati (bombe nel mercato, ecc.) non le appartengano, mentre le stragi di soldati iracheni collaborazionisti fanno parte di un preciso mandato militare.

Come ci insegnava la suora alle elementari, Pietro Micca, che si faceva saltare in aria insieme agli sgherri austriaci, era un eroe.

Ora, ritengo che la "scoperta" delle torture ad Abu Ghraib rappresenti a sua volta un trucco semantico, al modo della traslazione di significato della parola "terrorista".

Sembra infatti evidente non solo che i superiori sapessero, ma che fossero state precise direttive dall'alto a far fotografare e propalare quegli eventi disgustosi, i quali tuttavia rientrerebbero nella normalità anomica della guerra se avessero un fine bellico (conquista di informazioni, tradimento di compagni, ecc.). E qui torniamo al concetto di terrorismo e al fine vero non solo delle torture, ma dell'intera guerra, che non consiste nella conquista, ma bensì nella distruzione del paese, nell'alimentazione del caos.

In Algeria l'esercito francese usò la tortura: ma cercò bene di tenerla nascosta al pubblico, fra l'altro uccidendo i torturati dopo aver estorto loro le notizie di cui avevano bisogno per scopi militari.

In Iraq la tortura mostrata al mondo e soprattutto agli iracheni civili non pare avere altro scopo che l'umiliazione estrema del popolo. A che serve torturare un portiere d'albergo e mandare in giro le sue foto con una bottiglia infilata nell'ano? A sconcertare, a terrorizzare, a dare per inteso che "noi facciamo quel che cazzo ci pare".

Sembrerebbe altrimenti ingenuo credere che torture inutili, tarate bestialmente sulla sensibilità culturale, religiosa e sessuale del popolo iracheno per "èpater", per incidere l'anima, siano state lasciate fotografare centinaia di volte senza alcuno scopo, e anzi col rischio di fare una pessima figura.

Mentre tale atteggiamento sembra rivelare un altro messaggio, rivolto a noi questa volta. Dice: "Voi che parlate di diritti umani, democrazia, Convenzione di Ginevra, pace... state attenti. Perché noi ce ne freghiamo, siamo più forti di tutti i vostri principi e dell'opinione pubblica, e se vogliamo fare cose atroci, agli iracheni o a voi, le facciamo e basta".

Si chiama uso della paura per il potere, minaccia senza veli. Insomma, dopo i bombardamenti sui civili, un altro grado di terrorismo. Terrorismo occidentale, nel contenuto e nella forma. Che è purtroppo anche un esperimento sociale, spaventoso e abominevole su di noi, per vedere quanto assuefatti alla merda siano i nostri cervelli da lobotomizzati televisivi, quanto siano pronti a lasciar correre il prossimo futuro del potere mondiale.

Stefano Serafini

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Autore Albero
Stefano
Inviato: 15/1/2005 17:59  Aggiornato: 15/1/2005 17:59
Mi sento vacillare
Iscritto: 15/8/2004
Da:
Inviati: 344
 Re: UN ALTRO GRADO DI TERRORISMO
Chi sono gli attentatori alle chiese in Iraq… e cosa vogliono? di George Haddad Aljazira.it - giovedì, 13 gennaio 2005 Le ondate di attentati alle chiese cristiane in Iraq vengono attribuite da tv e giornali ad ampia diffusione alla solita al-Qa‘ida. Eppure, ci sono altri attori sullo scenario iracheno e mediorientale che trarrebbero vantaggio dall'emigrazione dei cristiani iracheni. Sulla scorta dei dati della recente storia della regione, uno scrittore libanese residente in Bulgaria avanza alcune ipotesi... Nel giro di poche settimane, si è verificata una terza ondata di attentati criminali contro le chiese cristiane in Iraq. Tutte e tre le volte, però, ciò è accaduto senza che ci siano stati, prima, quegli “incidenti” straordinari che normalmente vengono usati come pretesto per giustificare simili “reazioni”. Come accadeva una volta in Libano, in Egitto e ovunque c’erano opportunisti pronti a pescare nel torbido. Vale a dire che in assenza della benché minima e superficiale scusa, tutti e tre gli attentati arrivano chiaramente come una provocazione politica. Anche se prendessimo per buona l’ipotesi secondo cui gli esecutori sarebbero un gruppo marginale, la regia degli attentati di per sé lascia desumere invece che le menti pensanti, e cioè i veri autori, non siano proprio una “parte marginale” o un gruppetto di estremisti ignoranti ed impulsivi. Anzi, si tratta prorio di un “giocatore” principale sul campo iracheno con tanto di piani ed obiettivi strategici inerenti alla composizione strtturale e storica dell’identità culturale dello Stato e del popolo iracheni. Da un punto di vista “patriottico iracheno”, “panarabo” e, al tempo stesso, sinceramente “islamico”, e riferendosi sia al contesto storico che all’attualità, si deve, anzitutto, addurre le seguenti osservazioni: 1 - A differenza di alcune altre minoranze etniche e politiche in Iraq, i cristiani iracheni non hanno ben accolto l’invasore americano. Al contrario, hanno riconfermato il loro patriottismo e rivendicato la loro identità araba, senza abbandonare la loro cristianità. 2 - Essi, da migliaia di anni, prima e dopo l’avvento del Cristianesimo, e prima e dopo l’avvento dell’Islam, sono sempre stati una componente originale della civiltà mesopotamica, nonché del popolo e dello Stato iracheni. La loro cristianità non è giunta loro dal di “fuori” attraverso qualche missionario giunto al seguito del colonialismo. Invece la loro è una cristianità puramente orientale sorta in questa terra, cioè una religione “nazional-panaraba” esattamente come è la religione islamica, monoteisticamente pura, per la maggioranza del popolo iracheno. 3 - Storicamente, essi sono stati un sostegno ed una componente essenziale nell’instaurazione dello Stato arabo-islamico e della grande civiltà arabo-islamica da esso sgorgata, ed hanno altresì avuto un ruolo fondamentale nel movimento di traduzione, di scrittura e di contaminazione culturale nell’età d’oro della civiltà arabo-islamica. Ci furono, fra loro, i medici di corte, gli scenziati e i filosofi, come quelli della famosa “scuola di Harran” e di altre scuole e centri del sapere che furono una tappa luminosa nel percorso storico della Civiltà umana. Furono soprattutto loro ad ergere il movimento di traduzione e di trasmissione fra le lingue greca, hindi, siriaca ed araba, ed è a questo movimento che va il merito della contaminazione fra queste grandi civiltà, fra i cui effetti si annovera la conservazione e lo sviluppo del lascito della civiltà dell’antica Grecia e la sua trasmissione alle civiltà successive. Senza questo movimento non ci sarebbero stati né il Rinascimento né l’Illuminismo europei. E l’Europa non sarebbe quel che è oggi. Storicamente, quindi, non si può dissociare il ruolo culturale dei cristiani iracheni dalla civiltà arabo-islamica. Così come non si possono fare distinzioni fra Cristianesimo e Islam, né sul piano strettamente nazionele iracheno né su quello più ampio, nazional-panarabo. 4 - Nella storia moderna dell’Iraq, successivamente all’invasione coloniale occidentale, e all’indomani della fine della Prima guerra mondiale, i cristiani iracheni ebbero un ruolo principale nel movimento patriottico, progressista e democratico iracheno. Basti pensare che il fondatore del Partito Comunista Iracheno fu un iracheno cristiano: la grande guida, il martire Yusuf Salman (Fahd), il quale nel 1949 venne giustiziato dal governo monarchico collaborazionista degli inglesi. Con questo carattere civile, nazionalista arabo, patriottico iracheno, democratico e progressista, la “presenza storica” dei cristiani in Iraq è stata una conferma tangibile della civiltà della causa nazionale irachena, del nazionalismo panarabo e dell’Islam inteso come religione e come comunità. D’altronde, con tali caratteristiche, il tipo di “presenza” dei cristiani in Iraq – o semplicemente la loro stessa presenza - ha rappresentato, e rappresenta tuttora, una fonte di disagio per gli invasori occidentali e per il loro alleato strategico: il Sionismo internazionale ed il suo frutto, lo Stato confessionale e razzista d’Israele. I quali, da sempre ostili all’umanità in generale ed ai popoli arabi e musulmani in particolare, non hanno mai smesso di tentare di colpire l’unità patriottica di ogni popolo ararbo e l’unità nazionale di tutti i popoli della Nazione araba, in particolare le storiche unità e fraternità tra i musulmani e i cristiani arabi. Fra le innumerevoli manifestazioni dell’eterna ostilità della politica colonial–sionista occidentale nei confronti degli arabi cristiani, è la questione della provincia araba di Alessandretta. Nel 1939, durante l’occupazione (allora veniva chiamata Mandato) francese della Siria e del Libano, l’occupante sostenne la scissione dalla Siria della provincia di Alessandretta (che comprendeva l’antica città cristiana di Antiochia) concedendola alla Turchia per raggiungere tre obiettivi: Il primo: “ridurre” la presenza cristiana, siriana, in particolare, e araba, in genarale. Il secondo: accontentare la Turchia e indurla a rinunciare a Mosul, zona ricca di petrolio, lasciandola nell’ambito dello Stato iracheno. Il terzo: “rafforzare” il carattere cristiano dello Stato libanese (poiché l’occupante e i suoi collaborazionisti pianificavano di fare del Libano uno “Stato cristiano” simile e vicino allo “Stato ebraico, Israele”), costringendo molti cristiani della Provincia di Alessandretta a fuggire verso il Libano, dove vennero immediatamente naturalizzati (la questione, chiamata “Questione delle proprietà dei libanesi in Turchia” è ancora in sospeso fra il Libano e la Turchia, e fa parte del diritto storico arabo alla Provincia di Alessandretta). E gli occupanti americani – in tutte le loro politiche, a cominciare dall’assoluto sostegno ad Israele fino alla tenebrosa ostilità verso tutto ciò che è arabo e islamico – si affermano come i più orrendi eredi delle più decadenti fra le usanze e le eredità “storiche” del colonialismo occidentale in Oriente, e soprattutto nei paesi arabi, sui quali, oggi, dopo il crollo del regime sovietico, cade il piu grosso del compito della resistenza mondiale all’egemonia universale americano–sionista. Ebbene, chiunque siano gli “esecutori” degli attentati criminali contro le chiese cristiane in Iraq, sta di fatto che ciò coincide esattamente con i piani statunitensi di frammentare, “cantonizzare” e “libanizzare” l’Iraq, in particolare, e con quel che l’Amministrazione Bush definisce “il grande Medio Oriente”, in generale, ovviamnete dietro i lampeggianti quanto falsi slogan delle “riforme” e della “democrazia”! 5 - Questi attentati contro le chiese cristiane in Iraq ci ricordano esattamente quello che è accaduto agli ebrei iracheni dopo l’instaurazione e il consolidamento dello Stato d’Israele dopo la guerra del 1948–1949. Anche allora il Sionismo internazionale, e con esso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, furono sorpresi dal rifiuto degli ebrei iracheni (fra cui molti erano membri del Partito Comunista Iracheno) di accogliere i richiami del Sionismo ad emigrare in Israele. Tant’è che gruppi segreti ed apparati sionisti, complottando con l’allora governo monarchico collaborazionista, organizzarono un’ondata di attentati ed aggressioni, attribuiti agli arabi, contro gli ebrei iracheni per costringerli a fuggire dall’Iraq. Ed è effettivamente quel che accadde, poiché molti di loro si diressero in Israele. Questi fatti sono stati rivelati per l’ennesima volta di recenente, in un reportage televisivo trasmesso dall’emittente Alarabiya, da un gruppo di ebrei ex membri del Partito Comunista Iracheno. I quali, pur vivendo oggi in Israele, conservano ancora la loro identità irachena e la loro ostilità al Sionismo. Fedeli agli stessi obiettivi, questi attentati alle chiese cristiane mirano fra l’altro a seminare il terrore fra i cristiani iracheni per spingerne una parte a gettarsi tra le braccia degli invasori e costringere la parte restante a lasciare l’Iraq emigrando, magari, in Libano. Tuttavia va osservato che: malgrado “l’era della Presidenza” di Bashir Gemayel – prodotta dai carri armati dell’invasore israeliano - sia stata seppellita prima che nascesse; malgrado l’avvilente fallimento dell’accordo del 17 maggio (che doveva essere il “Camp David libanese”, sede e piattaforma da cui sarebbe partita l’espansione israeliana nell’Oriente arabo); malgrado la sconfitta delle “Forze Libanesi” nella “battaglia del Monte”; malgrado la caduta del governo dell’avventuriero generale Michel Aoun; e, infine, malgrado l’umiliante sconfitta dell’esercito di occupazione israeliano e la sua conseguente fuga dal Libano, grazie ai sacrifici della Resistenza patriottica e islamica; malgrado tutto questo, sarebbe ingenuo credere che l’Imperialismo e il Sionismo mondiale abbiano abbandonato il loro piano di creare uno “Stato cristiano” in Libano. Non dobbiamo dimenticare che il potere del Presidente Camille Chamoun, negli anni Cinquanta, si basò sul conferimento della cittadinanza libanese ad un numero elevato di cristiani siriani ed iracheni (siriaci, assiri e caldei), non per motivi umanitari o per puro nazionalismo arabo e patriottismo libanese, ma, al contrario, per farli propendere dalla parte dei piani della divisione etnico-confessionale del Libano. Sfruttando simili attentati in Iraq, i circoli imperialisti americani e i loro “amici” libanesi ora cercano di polarizzare una parte dei cristiani iracheni e siriani verso il Libano e di facilitarne la naturalizzazione con il pretesto dell’“asilo umanitario” e del “ricongiungimento familiare” con il loro parenti che furono a loro volta naturalizzati da Camille Chamoun. Un’operazione di questo tipo servirà agli Stati uniti e ad Israele per “persuadere” i fanatici cristiani del Libano ad accettare l’insediamento dei profughi palestinesi, o una buona parte di essi, in Libano, senza che ciò destabilizzi il fragile equilibrio etnico-confesionale che regge il paese. Dopo queste neccessarie osservazioni, è doveroso dunque porsi delle domande: - Chi sono i veri attentatori alle chiese in Iraq? - Se gli esecutori sono “parti marginali”, chi si cela allora dietro di loro, e quali sono i loro scopi? I primi verso cui sarebbe più facile puntare il dito potrebbero essere alcuni gruppi “islamici” (!) estremisti la cui capacità di organizzazione e di pianificazione ed il cui “raggio d’azione” stanno ad un livello sia regionale che internazionale: è il caso di “al-Qa‘ida” e di organizzazioni simili. Ed è esattamente ciò che immediatamente hanno fatto gli occupanti americani ed il “loro Governo iracheno”! Tuttavia, se sottoponessimo questi crimini ad una semplice “analisi poliziesca”, interrogandoci su chi sia (o siano) il beneficiario di tali reiterati crimini, non sarebbe difficile scoprire che l’occupazione americana ed il Sionismo mondiale ed Israele sono in testa alla lista dei “beneficiari”. In assenza di un vero progetto nazionale democratico e indipendente per la liberazione, la riunificazione e lo sviluppo dell’Iraq - lontano dagli invasori e da quanti, in pubblico ed in segreto, si coordinano e collaborano con essi - per via della debolezza, della frammentazione e dello snaturamento che hanno colpito il movimento patriottico iracheno a causa della decennale, buia e brutale dittatura del regime di Saddam Hussein (per il quale il volto “patriottico” e “panarabo” non fu altro che una maschera brutta ed ingannevole per gli interessi dell’Imperialismo mondiale, soprattutto quello americano), in assenza di tale progetto, dunque, in questo momento vi è campo libero per tutti i tranelli e le cospirazioni tramati dall’occupante e dai suoi effettivi collaboratori, noti ed ignoti, fra cui alcuni che vengono impropriamente e falsamente definiti come “islamici”! Ma se gli autori di questi crimini fossero veramente “islamici”, s’imporrebbe con forza una domanda logica: L’occupante americano, da una parte, e questi “islamici”, dall’altra – e precisamente per quanto concerne questi fatti criminali rivolti non solo contro i cristiani iracheni, ma contro tutto il popolo iracheno e l’intera Nazione araba –, sono veramente due parti contrapposte? O sono invece due parti in armonia fra loro e con scopi comuni? Tuttavia, per quanto l’occupante americano, il Sionismo ed Israele s’incalliscano nei loro crimini e complotti - direttamente o tramite i loro noti ed ignoti alleati – e anche se riuscissero a “libanizzare” più o meno l’Iraq, i loro “sforzi” nell’“israelizzare” i cristiani iracheni non avranno un successo maggiore rispetto ai loro sforzi “storici” nell’“israelizzare” i cristiani libanesi in particolare, e l’intero Libano in generale! Fonte: al-Hayat, 10 dicembre 2004 Tradotto da Saber Mhadhbi

Santaruina
Inviato: 15/1/2005 18:00  Aggiornato: 15/1/2005 18:00
Sono certo di non sapere
Iscritto: 13/10/2004
Da: Sud Europa
Inviati: 5123
 Re: UN ALTRO GRADO DI TERRORISMO
Sarebbe stato bello vedere nelle reti televisive, almeno una volta, uno dei tanti “esperti” che commentano la situazione attuale esporre queste considerazioni con toni lucidi e pacati. Oggi analizzare il “terrorismo internazionale” in modo obbiettivo equivale a farsi passare per apologeti del terrorismo stesso, e persino il tentativo di studiare ogni singola situazione rinunciando di applicare sempre e comunque questo magico concetto viene visto con sospetto. Per quanto riguarda gli episodi delle torture di Abu Ghraib ho sempre trovato molto strano il fatto che fossero arrivate ad essere mostrate dai media. Tutto cominciò con le prime foto delle bare dei soldati americani di ritorno negli Usa “sfuggite” alla censura militare e pubblicate dai giornali. In seguito, in una escalation di orrore vennero le immagini delle torture. Stefano da un’interpretazione valida di quei fatti: la superpotenza che in modo sfrontato non ritiene più di dover rispettare nessuna regola e in questo modo conferma la sua leadership. Subito dopo però quei fatti ci furono anche le serie di rapimenti e delle decapitazioni, alcune perlomeno “dubbie”, un chiaro tentativo di sviare l’opinione pubblica dallo scandalo delle torture. Sembrerebbe quindi un controsenso permettere la diffusione di quelle immagini per poi correre ai ripari. Cosa era successo allora veramente? Io credo che all’interno dei poteri alti americani non tutti remino nella stessa direzione, ci sono conflitti interni che difficilmente si possono investigare. Dal mio punto di vista quelle immagini divennero di dominio pubblico grazie all’intervento degli oppositori interni dell’amministrazione. E’ solo un’idea, difficile dimostrare ipotesi del genere. Resta comunque il fatto che il messianismo pseudo - religioso che attualmente ha preso il sopravvento nei piani alti non sia condiviso da molti dei cervelli pianificatori dei futuri interventi; addirittura è visto con preoccupazione da chi vorrebbe che l’egemonia degli Stati Uniti si attuasse con altri ritmi per non rischiare che tutto si concluda con un fallimento, come infatti sta accadendo. Blessed Be

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