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media : CERTO CHE IN ITALIA C'E' LIBERTA' DI STAMPA: è quella.
Inviato da Mazzucco il 3/10/2003 22:37:00 (3433 letture)



CERTO CHE IN ITALIA C'E' LIBERTA' DI STAMPA: è quella di non passare più notizie.



di Massimo Mazzucco



3.10.03 - A volte vengono i brividi a pensare a ciò che non sapremmo se non
esistesse l'Internet. Ecco un esempio proprio di queste ore: una notizia,
che fa fare una pessima figura alla Casa Bianca, e che rischia seriamente
di costare a Bush la rielezione, imperversa da ormai tre giorni su tutte
le testate USA (vedi:
"Si infittisce il giallo fra CIA e Casa Bianca"
). Ma in Italia non
è mai giunta, nè facendo tanto nè poco rumore: è
letteralmente morta alla frontiera. Quando un nostro collaboratore ha telefonato
alla redazione di Repubblica, chiedendo come mai non se ne parlasse, si è
sentito rispondere "cosa vuole che ci interessi dell'America, in questo momento
abbiamo ben altri problemi a casa nostra...." Ma la cosa peggiore è
il modo in cui ne ha finalmente parlato, oggi, il Corriere della Sera, quando
è stato chiaro che non la si potesse più ignorare, perchè
stava montando ogni giorno di più. E così, nella miglior tradizione
del peggior giornalismo, Gianni Riotta è riuscito non solo a malinformare,
ma a dare anche degli imbecilli a milioni di cittadini europei (noi compresi,
temo), nel cercare di distogliere a tutti i costi l'attenzione....

...dal vero problema. Il manuale del giornalista "disattento", infatti,
alla voce "notizia scomoda" recita: se puoi, ignorala. Se non puoi ignorarla,
minimizzala. Se è troppo ingombrante per minimizzarla, deridila. Se
è troppo seria per essere derisa, distorcila. Se è troppo palese
per essere distorta, coprila di fumo e sposta il problema altrove.



Vediamo ora cosa ha fatto Riotta, alle prese con una patata da far sbollire
al più presto, ovvero il crescente imbarazzo della Casa Bianca che
certo ai governanti "amici" non deve fare troppo piacere: a sinistra, il
testo completo del suo articolo, a destra i nostri commenti. (I titoli non
li fanno gli autori, ma in questo caso si dimostra solo la perfetta "sinergia"
dei reparti sotto la nuova direzione del Corriere).



Teniamo inoltre presente che questa critica sarebbe del tutto ingiustificata
(Riotta ha tutto il diritto di scegliersi l'argomento e gli accenti che preferisce,
ovviamente), se nel frattempo il lettore italiano fosse stato decentemente
informato sugli snodi fondamentali della vicenda. Ma visto invece il curioso
silenzio-stampa sulla medesima, questo diventa il primo articolo in cui se
ne parla un pò a fondo, e la responsabilità di informare prima
di tutto correttamente ce l'ha tutta chi lo scrive.



      TESTO ARTICOLO CdS 2.10.03      
                     
        COMMENTI












 L’ombra del Watergate, ma la stampa
è cambiata





Leader e giornalisti sono ormai partner in un gioco di interessi. Come
nel nuovo caso della Casa Bianca



di Gianni Riotta





NEW YORK - In principio erano Bob Woodward e Carl Bernstein, i due ragazzi
cronisti del Washington Post, che grazie alle rivelazioni di una fonte,
detta «Gola profonda» da un filmino porno di allora, costrinsero
nel 1974 alle dimissioni l'onnipotente presidente Richard Nixon.



Lo scandalo Watergate ebbe sugli schermi i volti di Robert Redford e Dustin
Hoffman e mobilitò una generazione di volontari, entrati nel giornalismo
con una chiara vocazione: informare l'opinione pubblica democratica sulla
condotta dei potenti, così da permettere ai liberi cittadini scelte
mature e consapevoli.



Ventinove anni dopo, il rapporto politica-media ha perduto qualunque residua
innocenza, non ci sono più né buoni né fate, e leader
e giornalisti sono partner in un gioco di interessi e ricatti.





Lo scandalo che sta animando Washington, sull'identità di un'agente
Cia svelata per screditare il marito, un ambasciatore critico del presidente
Bush, rispecchia in modo perfetto i guai britannici del primo ministro Tony
Blair, alle prese con la rete televisiva Bbc .



Romanzi senza eroi, dove il pubblico finisce con il diffidare - e i sondaggi
lo comprovano - tanto dal mondo politico quanto dai cani da guardia della
democrazia, i giornalisti, ridotti a pitbull da noleggio.





Il caso dell'ambasciatore Joseph Wilson è un classico. Ultimo diplomatico
a incontrare Saddam Hussein, ai tempi della prima guerra del Golfo, Wilson
protesse decine di occidentali dalle minacce del regime Baath, rischiando
rappresaglie gravi. Il presidente George Bush padre lo considerava «un
duro», ma Wilson non ha condiviso la seconda guerra del Golfo e, dopo
essere stato inviato dalla Cia in Africa nel febbraio del 2002 ad accertare
la presunta vendita di uranio arricchito, dal Niger all'Iraq, ha smentito
che il traffico di materiale radioattivo si fosse mai concretizzato.



































Non contento di avere informato le fonti ufficiali nella capitale, Wilson
pubblica un articolo denunciando la montatura politica della minaccia nucleare
di Saddam.

















Pochi giorni dopo, l'anziano Robert Novak, opinionista della rete tv Cnn
e del quotidiano Washington Post , sì proprio il mitico foglio di
Woodward&Bernstein, rivela che la moglie di Wilson, Valerie Plame, è
un'agente della Cia, insinuando che sia stata proprio lei a incaricare il
marito della delicata missione in Africa e che la coppia sia impegnata in
un complotto contro la Casa Bianca.











Il danno che Novak, e con lui altri due cronisti, Knut Royce e Timothy
Phelps, creano alla signora Plame Wilson, è enorme. Per antica regola
di intelligence, la Cia non impiega più in missioni strategiche agenti
la cui identità sia trapelata nei media.



La Plame è indicata come ex «operative», vale a dire
attiva in operazioni segrete, e quindi oltre a essere «bruciata»
come funzionaria è esposta alle possibili vendette di commandos terroristici,
che, dal Libano all'Afghanistan, hanno colpito gli agenti segreti ogni qualvolta
hanno potuto.













Il culto del segreto, alla Cia, arriva fino a non identificare gli agenti
caduti in servizio, dedicando loro solo un'anonima stella sul muro di marmo
della sede centrale a Langley, in Virginia. Neppure ai familiari, neppure
dopo decenni, viene mai riconosciuta la verità. Un agente che rinnegò
la Cia, Philip Agee, rivelò in un libro i nomi di molti colleghi
e da allora esporre l'identità di un membro dei servizi segreti costa
il carcere.



A norma dell'«Intelligence identities protection act», una legge
approvata nel 1982, chi ha diffuso il nome di Valerie Plame rischia fino
a dieci anni di galera e mezzo milione di dollari (cifra equivalente in
euro) di multa.



Ad aggravare la trama, ulteriori rivelazioni del Post: due dirigenti della
Casa Bianca avrebbero chiamato altri giornalisti di Washington per spifferare
l'identità della Plame.





Una fonte dell'amministrazione Bush ammette: «Si tratta di pura e
semplice vendetta» contro Wilson e sua moglie «ed è stato
tutto inutile, perché non siamo riusciti a demolire la loro credibilità».








A onore della categoria, almeno quattro giornalisti rinunciano allo scoop
velenoso.









Ricordate la parallela vicenda inglese?



Una fonte anonima informa la prestigiosa rete Bbc che il governo laburista
di Tony Blair avrebbe provato a rendere più «piccanti»
certi dossier contro Saddam Hussein, allo scopo di persuadere la recalcitrante
opinione pubblica britannica alla guerra. Il cronista Andrew Gilligan punta
il dito, in particolare, contro l'uomo immagine di Blair, Alistair Campbell.
A prima vista l'affare è cristallino, la coraggiosa Bbc , la rete
che con le note del «boom boom boom boom» di Beethoven informò
l'Europa sotto il tallone di Hitler, rivela le malefatte dei soliti politici.
Quando però lo scienziato David Kelly, scoperto come «talpa»
di Gilligan, si suicida tragicamente, la fiaba diventa tragedia. Gilligan
confessa di avere stravolto le dichiarazioni di Kelly, forzandole contro
Blair e Campbell, a caccia di scoop e di personale rivalsa. Campbell ha
messo comunque le mani nei dossier e, pur di mandare a monte il castello
di carte della Bbc , non ha esitato a dare in pasto al circo dei media lo
sfortunato dottor Kelly.



Gilligan&Novak, due esperti giornalisti, diventano i gemelli negativi
di Woodward&Bernstein.







Trent'anni fa la stampa ambiva a rappresentare la coscienza delle democrazie,
come postulato dal filosofo Jürgen Habermas nel suo classico saggio
«Storia e critica dell'opinione pubblica». Oggi, sognando esclusive,
un filo di notorietà, una finestra in prima pagina, gioca a fare il
cane da riporto dei politici. Il meccanismo è semplice. I leader sanno
che la stampa e la tv hanno bisogno di informazioni, meglio se riservate.
E allora offrono un singolo pezzetto di verità, quella che più
loro serve, in cambio dell'«esclusiva». I giornalisti alla Gilligan
e Novak si guardano bene dal mettere lo scoop nel contesto generale, o a
integrarlo con altre fonti, guadagnandosi la giornata, ma tramutandosi in
propagandisti dei potenti di turno.



Adesso il presidente George W. Bush, che aveva giurato di riportare alla
Casa Bianca «onore e integrità» dopo gli scandali di
Bill Clinton, promuove un'inchiesta per individuare le talpe.













I democratici sono sul piede di guerra, non vogliono che a condurre le indagini
siano gli uomini del ministro della Giustizia John Ashcroft, paladino conservatore.








Clinton fu impalato prima sulla speculazione edilizia del Whitewater e poi
sul flirt con Monica Lewinsky: adesso i democratici provano a incastrare
Bush e il suo consigliere, l'astuto Karl Rove, che i sussurri della capitale
già indicano come regista del complotto.























La maggioranza degli americani ritiene - malgrado non esistano prove in
tal senso - che dietro l'attacco dell'11 settembre ci fosse Saddam Hussein.
Di converso, milioni di cittadini europei sono certi che nessun aeroplano
abbia colpito il Pentagono quella tragica mattina e che Al Qaeda non sia colpevole
della strage, affibbiando la responsabilità alla Cia o a oscuri cartelli
petroliferi che progettano un oleodotto fantasma in Afghanistan.



Si può sorridere di opinioni così grottesche, ma se tanta
gente sceglie le tenebre della menzogna alla luce della verità, è
anche perché la giostra interessata tra media e politica ha dissolto
la fiducia in un'informazione equanime e tollerante. Addio, Woodward e Bernstein.





www.corriere.it/riotta





Gianni Riotta

Intanto, partiamo dal passato e collochiamo la vicenda
nel tempo, così da toglierle un pò di urgenza.



E poi facciamo apparire il "nuovo caso della Casa Bianca" come un semplice
episodio in una dinamica ben più ampia: il rapporto storico fra media
e potere, sul quale appunto si vuole spostare l'attenzione.



Premessa nostalgica, con sfumature epiche, tesa sia a suggerire il campo
di battaglia fasullo, sia ad introdurre un'immagine del giornalismo che
non è mai esistita, ma che verrà molto utile in seguito: quella
intesa ad informare "l'opinione pubblica democratica sulla condotta dei
potenti", corroborata  dall'icona istituzionalizzata dei due Davide,
puri come acqua di fonte, che abbattono da soli il Golia Universale. Come
se Woodward e Bernstein avessero deciso in birreria di buttare giù
il presidente, perchè non avevano niente di meglio da fare, e gli
girava per le mani quella notizia un pò curiosa.

 

Riotta sa benisimo che non ci sono mai stati nè buoni ne fate,
ma ne ha bisogno qui per seminare gli elementi che gli permetteranno la conclusione
cui tanto ambisce, quella lontana dal problema effettivo.



E solo ora, con nonchalance, comincia a dare la notizia vera, anche se lo
fa in maniera parziale ed imprecisa: ti dice che è stata svelata l'identità
di un agente CIA, ma si dimentica che l'abbia fatto la Casa Bianca, e poi
corre subito a mischiarsi in diverso polverone, quello di Blair.



Un pausa di moralismo cade proprio a pennello: rompi il discorso appena
iniziato (come se non fosse così importante), e soprattutto, denunciando
i giornalisti "ridotti a pitbull da noleggio", ti metti al sicuro dal sospetto
di essere tu uno di quelli.



Ora che il lettore è suo agio, e si fida ad occhi chiusi, è
il momento di introdurre il personaggio scomodo, travestendolo da cattivo:
basta legare in qualche modo Wilson al maligno Saddam, e poi fare in modo
che - favorevole alla prima guerra nel Golfo ma contrario alla seconda -
appaia come "incoerente", forse "oscuro", o addirittura "traditore della
patria".



Lanciato il cavallo del male, è ora di mettergli in groppa la bugia
più solenne. Doppia, per giunta: 1) Wilson non è stato mandato
in Nigeria ad "accertare la presunta vendita di uranio arricchito", ma la
veridicità del documento che l'avrebbe dimostrata. 2) Non ha di conseguenza
"smentito che il traffico di materiale radioattivo si fosse mai concretizzato",
ha invece confermato che il documento fosse un falso dozzinale. (D'altronde,
con un documento che porta la firma di un ministro, ma una data in cui quel
ministro era a spasso già da un anno, cos'altro vuoi investigare?)



E pensate invece che Riotta, in tutto l'articolo, riesce magistralmente a
non dire mai che la Casa Bianca abbia usato un documento falso per andare
in guerra. Alla faccia dei pitbull da noleggio.



Peccato che fra i due fatti, appunto, ci sia stata l'invasione dell'Iraq,
basata sull'uso - tanto distorto quanto consapevole - del documento di cui
sopra.



E poi, perchè, "non contento", scusi? Non era stato mandato apposta
per quello? E allora, perchè far passare per una mezza birichinata
il suo diligente lavoro di diplomatico? Forse perchè così "pubblica
un articolo" ne diventa l'altra metà?



L' "anziano Robert Novak" (qui nel senso di vecchietto, o di saggio, ma comunque
fa parte dei "buoni", vista anche la garanzia W.P.) è in realtà
uno squalo tra i più fetenti in tutta Washington, che ha fatto del
proprio mestiere uno scudo imperforabile per portare da trent'anni acqua
al mulino della destra repubblicana. E' lui il vero elemento marcio (poichè
teoricamente neutrale) della faccenda, essendo l'unico, fra i sei giornalisti
ai quali la Casa Bianca ha spifferato il nome della spia, ad averlo reso
pubblico. Che dite, colpa dell'età?



Essendo prima o poi obbligato a riconoscere la gravità del danno
(e l'enorme rischio personale) derivati ad un agente dallo svelamento della
sua identità...







... Riotta pensa bene di illustrarceli con delle "possibili vendette di
commandos terroristici, che, dal Libano all'Afghanistan, hanno colpito gli
agenti segreti ogni qualvolta hanno potuto". Ovvero, il male non è
tanto nella rivelazione in sè, ma nel fatto che ci sono in giro certi
cattivacci che se ne approfittano subito. (Chissà perchè è
sempre e soltanto dagli Arabi che bisogna guardarsi, ultimamente? Un Cinese
che scopre che sei stato tu a fotterlo in passato, cosa fa? Ti manda due
casse di champagne per Natale?)



Il "culto del segreto", o la necessità imperativa di proteggersi
i fondelli?



Ovvero (suggerimento subliminale): abbiamo commesso davvero un grave crimine
- federale oltre che morale - o abbiamo solo violato un "vezzo" un pò
curioso?









.... Ah, ecco, c'è la legge, e non si poteva non dirlo. Ma fatto ora,
con di mezzo l'annedottica da cuscinetto, l'effetto è certo più
smorzato: voi sentite per caso lo sdegno di chi vorrebbe il colpevole in
galera per anni? Io proprio no.





Quella che si aggrava non è la trama, temo,
ma la posizione della Casa Bianca. E quelle non sono "rivelazioni" del Post,
temo, ma dichiarazioni in diretta fatte da Wilson in persona. Non la vede,
Riotta, la CNN?



"Pura e semplice vendetta". Certo. Lungi da noi il pensare che fosse invece
un prova di forza fra CIA e Casa Bianca, con il chiaro messaggio a tutti
gli agenti ancora in circolazione: "non provateci più o farete la
stessa fine". No, era semplice ruggine col Wilson un pò troppo ficcanaso,
tutto lì.




Viva Robin Hood! Però, mi scusi, che ne facciamo allora del
suo Novak parla-e-fuggi? Sempre il vecchietto coi freni da rifare, o l'emerito
figlio di una gran signora?



Sinceramente, no, mi stavo appena  concentrando un pò sulla Casa
Bianca, per capirci qualche cosa. Ma se lei crede, torniamo subito alla vicenda
inglese, che di sicuro ci darà una mano. Infatti:



Gilligan...



Blair...



Campbell...



BBC...



Beethoven...



Hitler...



Kelly...



Sarti...



Burgnich...



Facchetti...



Tagnin, Guarneri, Picchi...





... ed ecco che il geronte Novak, nella confusione scatenata dall'atterramento
di Mazzola, si ritrova a far coppia in barriera - negativa, ma solo a parole
- con l'altro stopper di professione, Gilligan.



E proprio adesso che cominciavo a collegare, mi arriva da dietro un bell'
Habermas in scivolata, mi falcia alle caviglie e finisco dritto in infermeria.

















Il campo ormai, fra retorica, banalità e finti affondi agli stopper,
è diventato un pantano impraticabile. E' quindi il momento ideale
per buttarci dentro la patata che bolle - l'inchiesta che incombe sul futuro
di Bush - con la speranza che non se ne accorga quasi nessuno.



E' utile inoltre paragonarla subito a quella lanciata dai repubblicani contro
Clinton, ai tempi della Levinsky. Diventa così infatti molto più
facile suggerire [poco più sotto] che "adesso i democratici provano
a incastrare Bush e il suo consigliere", invece di dover dire, molto più
semplicemente, che le azioni di Bush e dei suoi reclamano giustizia da tutte
le parti, e di un tipo ben diverso.



Più che "paladino conservatore" - cosa che sanno tutti e non daneggia
nessuno - perchè non dire che Ashcroft è l'uomo di cui il sospettato
n.1, Karl Rove, è stato manager e stratega in ben due campagne senatoriali
vincenti? Trattasi ovvero, come dicono dalle mie parti, di culo e camicia?



A quel che mi risulta, Clinton fu assolto sia sull'uno che sull'altro. E
impalati, caso mai, rimasero due top-gun repubblicani, fra cui il presidente
stesso della commissione di impeachment, poichè coinvolto a sua volta
in scandali sessuali...  con una minorenne! (D'altronde, mica si chiamava
Mr. Hyde per niente, il grande moralizzatore di quella settimana



Ma torniamo ai "sussurri della capitale", ovvero ciò che trovi a nove
colonne su tutti i giornali: serve per caso un aiuto, per convincersi che
si tratti della solita "conspiracy theory" messa su da "chi il potere non
ce l'ha"? Eccolo:



Questo paragrafo si commenta disperatamente da solo.



Ci limitiamo a segnalare, da un punto di vista tecnico, la grande abilità
nel mischiarne la metà vera con quella falsa. (Il trucco è
quello di mettere sempre prima...



...così, quando arrivi al "di converso", l'altra va giù che
manco te ne accorgi).



Ma sì, sorridiamo tutti, noi milioni di imbecilli in mezza Europa
che non vogliamo credere agli assi del cielo col tovagliolo in testa allenati
sulle giostre, e ai Boeing di cinquanta tonnellate che scompaiono ingoiati
dal primo abbaino che trovano, e già che ci siamo mettiamoci pure
dentro questa "grottesca opinione" sulla Casa Bianca, così nel minestrone
di letame dormiamo tutti meglio. E dalle tenebre della menzogna, in cui noi
stessi ci siamo voluti cacciare (sospiro accennato), consoliamoci all'idea
che ci sia gente come Riotta (singhiozzo trattenuto) a conoscere ancora
la luce della verità (lacrima furtiva). Ah, se solo ci fossero "la
fiducia e il giornalismo equanime di una volta!" (lacrime copiose). Addio,
caro Woodward! (fazzoletto ormai zuppo). Addio, carissimo Bernstein! (bacinella
formato pediluvio, e giù a fontana senza più pudore).



(Visto che catarsi, con una premessa fatta appena come si deve? L'arte del
racconto è tutta lì.)




Se poi per caso qualcuno avesse anche capito la storia dell'agente CIA e
della Casa Bianca, si faccia avanti che a questo punto ha incuriosito pure
noi.



Massimo Mazzucco



A proposito di malgiornalismo, vedi anche:

[lib]cancun19r.jpg[/img]

IMBECILLI NO GLOBAL! Il colpevole non è il contadino ricco!



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