Ma l'Argentina ce l'ha fatta

Data 21/4/2006 10:03:44 | Categoria: Economia

di Maurizio Ceraudo

Le ultime polemiche politico-economiche suscitate dal Financial Times, obbligano ad una riflessione sul futuro della nostra economia, ma non solo. In breve il Financial Times teme che un governo “populista” possa far uscire la nazione da Eurolandia, con conseguente crollo del tasso di interesse da parte di banche e aziende finanziarie (la moneta varrebbe molto meno) ma soprattutto avverrebbe una fortissima svalutazione economica con la possibilità che lo Stato non riesca a pagare il debito pubblico.

Questo quadro, drammatico, altro non è che la descrizione della situazione economica argentina all’alba del 2001. Effettivamente, le similitudini sono evidenti: l’Argentina dal 1998, sotto la guida di Menem, ha imposto una parità dollaro–peso con conseguente crollo del potere di acquisto, ma soprattutto ha condotto una serie di privatizzazioni a dir poco funamboliche (energia elettrica, trasporti pubblici e molto altro). Il resto è storia recente. Constatiamo però che tre anni dopo il collasso della economia argentina, avvenuto sotto il peso delle ricette per lo sviluppo fornite dal FMI e dalla Banca Mondiale, ...
... la ripresa in sboccio della nazione sud-americana sbalordisce gli osservatori internazionali.

Sfidando le prescrizioni del FMI, il presidente Kirchner ed i suoi consiglieri economici avevano detto ai creditori di mettersi in coda ed attendere, mentre si ricostruiva l'economia a partire dal punto piu’ basso.

Un eccellente articolo sul ”New York Times” ne riferisce la storia. Il saccheggio dell'Argentina da parte della finanza internazionale. e la susseguente disintegrazione della sua economia nel dicembre 2001, e' solo uno degli esempi di quale sia stata la politica ufficiale del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale per decenni: indebitare le nazioni in sviluppo. garantendo enormi prestiti per progetti che beneficiano gli appaltatori stranieri piuttosto che l'economia locale, raccogliere i rimborsi e, quando avviene il del tutto prevedibile default finanziario, passare alla spremitura per "aprire la nazione alla economia di mercato".

Abbassare le paghe, eliminare ogni sussidio sociale, aprire i servizi di base alla competizione multinazionale e cedere le materie prime a prezzi di svendita.

John Perkins, in passato un membro rispettato della comunità bancaria internazionale, ha deprecato duramente questa pratica. Nel suo libro "Confessioni di un sicario dell'economia" descrive come egli, da professionista ben pagato, aiutò gli Usa a derubare nazioni povere in tutto il mondo per migliaia di miliardi di dollari, concedendo loro in prestito più denaro di quanto esse potessero eventualmente restituire, e successivamente a prendere possesso delle loro economie.

In effetti le aspre critiche mosse dai seguaci del globalismo economico dipingono un quadro a tinte nere. La "soluzione magica" proposta dagli economisti è – difficile da credere - legare la valuta argentina al dollaro e rinnovare gli sforzi per compiacere la finanza internazionale.

Peccato che naturalmente ciò sia esattamente la causa primaria del crollo.

Come si comportarono gli argentini? Ripudiarono il "buon consiglio" ed iniziarono a lavorare nella propria nazione, convincendosi che l'economia di un paese non viene costruita con investimenti internazionali, quanto piuttosto con produzione e consumi realizzati proprio all'interno di esso.

Quando l'economia argentina collassò nel dicembre 2001, le previsioni da giorno del Giudizio Universale abbondavano. A meno che essa adottasse politiche economiche ortodosse e siglasse velocemente un accordo con i suoi creditori stranieri, certamente sarebbe seguita una super-inflazione, il peso sarebbe diventato senza valore, investimenti e riserve di valuta estera sarebbero svaniti ed ogni prospettiva di crescita sarebbe stata soffocata.

Ma tre anni dopo che l'Argentina dichiarò un default per un debito record di più di 100 miliardi di dollari, il piu' ampio nella storia, l'apocalisse non e' arrivata.

Invece l'economia e' cresciuta del +8% annuale per due anni consecutivi, le esportazioni sono parecchio cresciute, la moneta e' stabile, gli investitori stanno gradualmente ritornando e la disoccupazione e' calata dai livelli record - il tutto senza un accordo relativo al debito, ne' le misure standard richieste dal Fondo Monetario Internazionale per concedere la sua approvazione.

La ripresa argentina è stata innegabile, ed e' stata raggiunta almeno in parte ignorando e persino sfidando l'ortodossia economica e politica.

Piuttosto che procedere alla immediata soddisfazione dei possessori di obbligazioni, banche private ed FMI, così come invece altre nazioni in sviluppo hanno fatto in crisi anche meno severe, il governo a guida peronista scelse per prima cosa di stimolare i consumi interni e disse ai creditori di mettersi in coda insieme a tutti gli altri.

"Questo e' un importante evento storico, che sfida 25 anni di politiche fallimentari" ha asserito Mark Weisbrot, economista presso il Centro di Ricerche Economiche e Politiche, gruppo di ricerca di orientamento liberale in Washington.

"Mentre altre nazioni continuano tuttora a zoppicare, l'Argentina sta sperimentando una crescita molto sana, senza che alcun segno indichi che essa non possa continuare, ed essi hanno ottenuto questo risultato senza essere costretti a fare alcuna concessione per ottenere l'arrivo di capitale straniero."

Le conseguenze di tale decisione si possono vedere nelle statistiche governative e nei negozi. Piu' di due milioni di posti di lavoro sono stati creati a partire dal punto piu' basso della crisi all'inizio del 2002, e secondo le statistiche ufficiali anche il reddito reale, cioe' al netto della inflazione, e' rimbalzato, ritornando quasi al livello degli ultimi anni '90.

Fu in questi anni che la crisi emerse, e in quel periodo l'Argentina provo' a stringere la cinghia secondo le prescrizioni FMI, col solo risultato di collassare nella peggiore depressione della sua storia, che provocò anche l'avvio di una crisi politica.

Alcuni dei nuovi posti di lavoro provengono dal programma governativo volto alla creazione di occupazione a bassa paga, ma circa la meta' riguardano il settore privato.

Come risultato, la disoccupazione è sceso da piu' del 20 % a circa il 13 %, ed il numero di argentini che vivono sotto la linea della poverta' e' sceso di circa 10 punti percentuali dal livello record del 53,4 % di inizio 2002.

Gli economisti tradizionali, seguaci del libero mercato, rimangono scettici riguardo l'approccio governativo.
Mentre riconoscono che c'e' stata una ripresa, la attribuiscono soprattutto a fattori esterni piuttosto che alle politiche del Presidente Néstor Kirchner, che ha assunto la carica dal maggio 2003.

Inoltre sostengono anche che la ripresa comincia a perdere forza. "Siamo stati fortunati"- ha affermato Juan Luis Bour, capo economista presso la Fondazione Latino-Americana di Ricerche Economiche in Argentina.

"Abbiamo avuto prezzi alti per le merci e bassi tassi di interesse. Ma se vogliamo crescere, dobbiamo fare un accordo per la questione del debito e riscontrare l'arrivo di capitale estero." Il FMI, che i dirigenti argentini incolpano di aver provocato la crisi in prima battuta, ribatte che l'attuale governo agisce almeno in parte come il FMI ha sempre raccomandato.

Ha limitato la spesa e si e' attivato per incrementare le entrate, una prescrizione classica per una economia sofferente, ed ha accumulato un attivo di entita' doppia di quella che il Fondo aveva richiesto prima che le trattative fossero congelate molti mesi fa.

"Il ritorno a questi numeri incoraggianti e' stato molto aiutato da una disciplina fiscale, che e' quasi senza precedenti secondo gli standard argentini"- ha affermato John Dodsworth, il responsabile FMI in Argentina.
"Abbiamo avuto un attivo primario che e' aumentato in maniera decisa in questi pochi ultimi anni, sia a livello centrale che a quello provinciale, e che e' stata l'ancora fondamentale dal lato economico."

Ma una parte di tale attivo record del bilancio e' arrivato da un paio di tributi sulle esportazioni e sulle transazioni finanziarie, che gli economisti ortodossi del FMI e di altri organismi vogliono vedere abrogati.

Circa un terzo delle entrate governative è ora raccolto da tali tributi, che sono aumentati.

"Il FMI vuole che queste tasse siano eliminate, ma d'altra parte i suoi rappresentanti desiderano anche che l'Argentina migliori la sua offerta ai creditori e anche che essa rimborsi il Fondo, cosi' da poter ridurre la sua esposizione presso di esso" - ha affermato Alan Cibils, economista argentino associato allo indipendente Centro Interdisciplinare per lo Studio di Indirizzo Pubblico in Argentina.

In altre parole dicono: "Dovete pagare di piu' e trattenere di meno", che e' una prescrizione sicura per produrre un'altra crisi.

A causa della assenza di un accordo sul debito e dello stallo sulle tariffe delle "utility" (gas, luce e acqua), alcuni investitori, specie europei, continuano ad evitare l'Argentina, citando quella che chiamano la carenza di "sicurezza giudiziaria". Ma altri, soprattutto latino-americani, abituati ad operare in ambienti instabili o essi stessi sopravvissuti a simili crisi, hanno aumentato la loro presenza in Argentina a causa della espansione delle opportunita'.

Durante una visita di stato, il presidente cinese Hu Jintao ha annunciato che la sua nazione progetta di investire venti miliardi di dollari in Argentina nello spazio dei prossimi dieci anni.

Ma il grosso dei nuovi investimenti viene dagli stessi Argentini, che stanno cominciando a spendere il loro denaro in patria, sia riportando i loro risparmi dall'estero, sia prelevandoli dal di sotto dei loro materassi.

Per la prima volta in tre anni, e' maggiore la quantita' di denaro che entra nella nazione di quella che ne esce.
Cio' ha consentito a Kirchner il lusso di assumere una linea dura con il fondo monetario e con i creditori esteri che reclamano il rimborso.

"La questione e' che l'Argentina ha al momento un attivo di conto, cosicche' essa in realta' non ha granche' bisogno di investimenti stranieri" - ha affermato Claudio Loser, economista argentino e precedente direttore del FMI per l'emisfero occidentale.

"Gli investimenti nazionali stanno prendendo piede, perche' vi sono opportunita' in agricoltura, petrolio e gas." Proprio questa settimana il governo ha annunciato che le riserve di valuta estera sono risalite a 19,5 miliardi di dollari, il loro livello piu' alto a contare dal crash e a piu' del doppio del minimo segnato a meta' del 2002, un anno che segno' un deflusso netto di 12,7 miliardi di dollari.

Il picco degli investimenti negli anni '90 era del 19,9 % del PIL, e oggi e' del 19,1%, in risalita da un minimo del 10%.

Il governo Kirchner continua a cercare un accordo riguardo il debito di 167 miliardi di dollari tuttora esistente e progetta di effettuare quella che esso definisce la sua offerta finale.

Ma la svolta in Argentina ha inspirato un tale senso di confidenza che il governo non solo parla di tagliare i suoi ultimi legami con il FMI, ma anche insiste che ogni rimborso ai possessori di obbligazioni debba essere condizionato al protrarsi della buona salute economica dell'Argentina.

Semplificando possiamo dire: “Nessuno puo' raccogliere soldi da una nazione che non sta crescendo economicamente."

Guardando alla situazione italiana non possiamo prescindere da queste vicende e non possiamo non trarne insegnamento. Con le dovute proporzioni, l’italia non ha le materie prime dell’Argentina per esempio, constatiamo che spesso le visioni degli organismi economici internazionali sono assolutamente “lunari” e completamente staccate dalla vita economica di un paese, rispondere ad un ente superiore di controllo non vuol dire piegare un'economia già disastrata a pareggiare dei conti impossibili, se da un lato è giusto che banche ed organismi finanziari operino in Euro, moneta con forte potere di scambio, non capiamo perché il cittadino per comprare il pane debba usare questa moneta scomoda e ingombrante.

Se vogliamo evitare la crisi argentina, a cui purtroppo pare siamo avviati, non occorre asservire le urla disperate del Financial Times ma ristabilire i parametri di un corretto sviluppo evitando le ricette spesso fallimentari degli organismi monetari internazionali.

Maurizio Ceraudo




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