E' VERO, A DALLAS CI FU UN SOLO ASSASSINO. MA NON SI CHIAMAV

Data 24/11/2003 2:41:00 | Categoria: varie

E' VERO, A DALLAS CI FU UN SOLO ASSASSINO. MA NON SI CHIAMAVA OSWALD

di Massimo Mazzucco

40 anni, e 400 libri circa, sono riusciti a fare appena un pò di luce sulla complessa vicenda di Dallas. Oggi tutto ciò che possiamo dire, con relativa certezza, è che vi parteciparono elementi CIA vicini ad Allen Dulles, la mafia di Chicago e New Orleans (Sam Giancana, Carlos Marcello, Trafficante), gli esuli Cubani in Florida, e che tutto ciò non può essere avvenuto senza la connivenza dell’FBI di Hoover e dei servizi segreti del presidente. Ma al di là delle specifiche responsabilità di ciascuno, di fronte a tale complessità operativa viene da domandarsi in che modo, esattamente, tutto ciò è stato coordinato? Come è stato possibile tenere insieme l’immensa matassa di movimenti, personaggi, azioni e contatti, dall’inizio alla fine? E soprattutto nelle ultime ore, chi ha tenuto i contatti, per esempio, fra coloro che hanno fatto deviare all’ultimo momento il percorso di Kennedy, e i tiratori che dovevano appostarsi in attesa che arrivasse? Chi ha deciso di mandare Oswald ...
... nel cinema dove lo avrebbero arrestato, per poi farvi convergere il poliziotto Tippit, ucciderlo, incolpare Oswald e poi arrestarlo? Chi ha costruito il finto passato comunista di Oswald, in ambito CIA, in modo che concordasse con quello che poi avrebbe detto durante gli interrogatori, in ambito FBI? Chi ha convinto la polizia locale a cambiare il percorso di uscita di Oswald, e lo ha fatto poi sapere a Jack Ruby, in modo che potesse ammazzarlo mentre lo portavano via? Eccetera eccetera eccetera.

Un’ipotesi affascinante è quella di una mostruosa macchina senza testa, il “progetto” stesso, che una volta messo in moto diventa in un certo senso “autocosciente”, e vede ogni parte del proprio corpo agire autonomamente, senza più bisogno di ordini centralizzati.

Questo si accorderebbe a perfezione con alcune banali incongruenze che alla fine sono comunque emerse dal parapiglia generale. Una per tutte, il fatto che inizialmente fosse un Mauser il fucile ritrovato al 6° piano del Book Depository (esiste lo spezzone filmato del ritrovamento), che però divenne un Mannlicher-Carcano nel giro di poche ore, quando qualcuno deve essersi accorto che Oswald non aveva la licenza per possedere un Mauser, fucile di categoria superiore. (Curioso il ragionamento, fra l’altro, per cui uno che si appresta ad uccidere il presidente dovrebbe preoccuparsi di farsi trovare in possesso di un’arma legale!)

Ma anche volendo accettare la tesi di questa “macchina autopoietica”, non immune da sviste marginali ma capace di portare a termine la missione nel suo insieme, non si può non pensare che ad un certo punto, con l'avvicinarsi del momento cruciale, non vi sia stato qualcuno che ha centralizzato in qualche modo le direttive, per portare il tutto a debita conclusione.

Richard Nixon, già vicepresidente sotto Eisenhower, aveva perso, contro lo sconosciuto Kennedy, un’elezione che avrebbe dovuto rivelarsi per lui una cavalcata trionfale. Tanto sicuro era Nixon di diventare il prossimo presidente, che già dagli ultimi mesi di Eisenhower aveva messo in piedi l’operazione CIA in seguito nota al mondo come “baia dei porci”. Fu così che Kennedy, entrando alla Casa Bianca, se la ritrovò bella e pronta sul tavolo, praticamente solo più da firmare.

Ma quando l’operazione volse al peggio, Kennedy negò l’intervento aereo di appoggio che invece Nixon (aveva previsto ed) avrebbe certamente approvato. Ciò significò rottura aperta con la CIA, in un muso a muso col direttore Allen Dulles, che culminò col licenziamento di quest'ultimo da parte del presidente.

Per capire la portata di questo schiaffo, pensiamo solo che Allen Dulles sarebbe in seguito stato non solo uno dei nove della Commissione Warren – costituita per insabbiare l’intero complotto - ma quello con lo specifico incarico di valutare quali prove ammettere e quali no di fronte ai colleghi! (Stupisce molto meno, di fronte a ciò, che quintali di prove lampanti, a discarico di Oswald, siano stati inspiegabilmente ignorati dalla commissione stessa).

Tornando a Cuba: per chi sperava in una rapida riconquista dell’isola (nella figura di Nixon confluivano tutti i maggiori interessi economici dei grossi gruppi industriali) le cose si misero ancora peggio, quando Kennedy dovette pubblicamente garantire a Kruschev che non avrebbe mai invaso Cuba, come parte dell’accordo che poneva fine alla crisi dei missili.

Giusto per coltivare qualche amicizia sugli altri fronti, Kennedy aveva anche dichiarato, contro la politica del Pentagono, che intendeva al più presto iniziare un progressivo ritiro dal Viet-nam. Era inoltre apertamente a favore dei diritti civili per le minoranze, dell’ uguaglianza fra le etnìe, dell’assistenza pubblica per le classi meno abbienti, e tutto ciò non gli aveva certo guadagnato le simpatie del profondo sud, conservatore, razzista e xenofobo. Ma soprattutto, non sembrava affatto intenzionato a lasciarsi portare via la Casa Bianca nelle elezioni a cui mancava ormai poco più di un anno.

Il 22 Novembre 1963, Kennedy fu ucciso a Dallas. Entro poche ore, Oswald era stato arrestato. Due giorni dopo, Oswald veniva ucciso da Jack Ruby.

Alcuni documenti, divenuti di dominio pubblico nel ’75, rivelano come Ruby e Nixon si conoscessero molto bene: nel 1947 il primo aveva lavorato nella campagna elettorale che portò Nixon a diventare deputato. Altri documenti mostrano come Nixon, negli anni seguenti, abbia intercesso a favore di Ruby, per evitargli di testimoniare di fronte a una commissione che indagava sul sindacato trasportatori di Jimmi Hoffa. (Jimmy Hoffa sarebbe in seguito finito in carcere, dopo un estenuante braccio di ferro con Robert Kennedy, ministro di giustizia).

Il locale di Jack Ruby a Dallas era l’evidente punto di contatto fra i vari servizi di stato e la mafia, nella complessa preparazione dell’attentato. Con Ruby, oltre ad Oswald stesso, fu visto più volte anche un certo Howard Hunt, agente della CIA e amico personale di Nixon, con il quale aveva ordito fin dall’inizio il malaugurato progetto della Baia dei Porci.

Richard Nixon era a Dallas il giorno dell’attentato.

In realtà, vi si trovava già da tre giorni, in veste privata, per una presunta riunione con dei dirigenti della Pepsi-Cola (società che il suo ufficio legale rappresentava), e decollò da Dallas proprio nei momenti in cui Kennedy si avviava verso Dealey Plaza.

Mentre chiunque ne avesse l’età ricorda perfettamente cosa stesse facendo, nel momento in cui apprese della morte di Kennedy, proprio Nixon pare avere al riguardo delle memorie molto confuse. Fra libri, interviste e discorsi vari, si è infatti contraddetto almeno tre volte, collocando tale momento o al suo arrivo a New York, o durante il volo stesso, o più tardi, durante il tragitto in taxi, dall’aeroporto verso casa. Questo nonostante esistano fotografie che lo mostrano, all’aeroporto di New York, attorniato da cronisti che non stanno certo chiedendogli che tempo facesse in Texas.

La mattina seguente, si svolse nell’appartamento di Nixon una riunione fra stretti collaboratori, e chi ha testimoniato ricorda che l’argomento fu come rimettere in piedi la corsa per la presidenza dello stesso Nixon.

Quando finalmente divenne presidente, nel ’68, Nixon fece immediatamente scarcerare Jimmy Hoffa, mentre promuoveva l’ignoto agente CIA Howard Hunt direttamente a capo dei servizi segreti della Casa Bianca.

Quando poi si vide costretto a dare le dimissioni, in seguito allo scandalo Watergate, Nixon sostituì in gran fretta il vice-presidete Spiro Agnew con Gerald Ford, ovvero un’altro dei nove che avevano partecipato alla Commissione Warren. E la prima cosa che fece Ford come presidente, fu di concedere a Nixon il perdono per tutte le sue malefatte, passate presenti e future.

Nel frattempo, nessun documento che comprovasse le riunioni a Dallas coi dirigenti della Pepsi Cola è mai stato trovato.

Massimo Mazzucco

Vedi anche: OMICIDIO KENNEDY 40 anni dopo. Qualcosa è cambiato. Un articolo sulla mutata percezione delle responsabilità da parte del popolo americano.



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