Oscenità e censura

Data 13/10/2006 8:25:57 | Categoria: opinione

Nell'arco di poche ore si sono verificati sul sito due casi simili - o meglio, speculari - che offrono l'oppurtunità di mettere a fuoco un termine tanto ambiguo quanto fondamentale per tutti: la parola "censura".

Da una parte, una vignetta di dubbio gusto è stata rimossa, dall'altra c'è stata una levata di scudi per la pubblicazione di un comunicato stampa da parte di un gruppo che su questo sito trova poche simpatie.

Nel primo caso, la vittima della rimozione ha gridato alla "censura", aprendo un forum apposito per reclamare giustizia (quale paradosso, fra l'altro!). Nel secondo, nessuno ha voluto notare che nell'osteggiare la pubblicazione del comunicato stampa, si invocava di fatto un atto di censura almeno equivalente.

La questione è particolarmente interessante, perché siamo su un sito che intende dichiaratamente offrire la massima libertà di espressione a chiunque. Si tratta quindi di stabilire i parametri ...
...secondo i quali possano essere fatte le dovute eccezioni.

Il primo caso, ovviamente, rimanda alla persona che ha il compito di decidere che cosa sia effettivamente "osceno" e cosa no. Il problema è eterno, la storia ci insegna che il cosiddetto "buon gusto" cambia con i tempi, e che quello che ieri era osceno oggi può essere considerato divertente, o viceversa. Colui che deve decidere, quindi, deve cercare di sintonizzarsi sul "feeling" della maggioranza, e poi agire di conseguenza.

Il secondo caso invece rimanda a coloro che osteggiano una certa pubblicazione: sono loro che hanno l'onere di dimostrarne l'equivalente "oscenità ideologica" che legittimi la soppressione della notizia.

A prima vista, quindi, la risposta sembra facile: togliere un culo peloso non è "censura", è soltanto un atto di buon gusto, mentre il reprimere una qualunque idea è censura vera e propria, e va evitata in maniera categorica. Ed è infatti secondo questi parametri, "cotti e mangiati", che io ho operato le due scelte: togliere la vignetta da un lato, pubblicare il pezzo dall'altro. D'altronde, che quel culo fosse schifoso troverebbe d'accordo una decisa maggioranza di persone, mentre proprio su luogocomune fece epoca la battaglia da cui risultò che "persino i fascisti" qui possono parlare. Figuriamoci quindi se un qualunque "gruppo umanista" non dovrebbe poterlo fare.

Ad una più attenta analisi, però, è possibile che io abbia commesso un errore. Sottile, ma innegabile. Dove sta scritto, infatti, che lo stesso "ribrezzo" che provoca in alcuni il culo peloso, non lo provochi in altri l'idea di umanesimo? [Sia chiaro che di qui in poi non parliamo più di "quella" vignetta, o di "quel" movimento, ma li usiamo solo come esempio pratico].

Perchè una si e l'altra no?

Forse perchè "sono le maggioranze a stabilirlo"? In altre parole, a una buona maggioranza il culo darebbe fastidio, per cui lo togliamo, mentre quelli a cui "dà fastidio" l'umanesimo sono una minoranza, per cui lo lasciamo?

No, la risposta non sembra soddisfacente, perchè in quel caso si tratterebbe di fare una valutazione numerica - quanti i pro e quanti o contro, in ciascuno caso - che io di certo non ho fatto, e che non credo altri farebbero in una situazione simile. Ci deve essere qualcos'altro, di più profondo, che ti fa dire con immediata certezza "il culo no, l'ideologia si".

Va notato a questo punto che da un lato stiamo parlando di un'immagine, dall'altro di un'idea. E' possibile quindi che la differenza stia nel fatto che la prima è concreta, tangibile, e quindi "univoca" nella sua interpretazione ultima, mentre la seconda è astratta, indefinita, quindi "aperta a interpretazione"?

Se così fosse, avremmo un paradosso eccezionale, in cui è il fatto stesso che l'immagine, nella sua "fattualità", ti tolga la libertà di interpretazione, a renderla oscena, e quindi a causare la propria censura. In altre parole, questa non sarebbe che un "atto liberatorio" nel quale, rifiutando l'immagine, riacquistiamo la nostra libertà di non essere obbligati a vedere ciò che ci mostra.

E' dunque la sua violenza, ciò che in realtà rifiutiamo? Se è vero che "un'immagine vale più di mille parole" quando si tratta di favorire la comucazione, ciò deve valere anche nei casi in cui la cominicazione non sia affatto desiderata.

Un'immagine è la rappresentazione di un'idea, è la sua cristallizzazione, la sua "discesa nel mondo materiale". E' come l'Angelo Caduto, che perde la sua perfezione passando dalla stato puro dell'astrazione a quello concreto della materia.

Serafim di Sarov, un grande mistico della religione ortodossa, diceva che per raggiungere Dio - quindi la perfezione - l'uomo deve prima di tutto liberarsi dalle immagini, che lo incatenano ad una concezione limitata dell'universo, imponendo forme definite a idee che vorrebbero invece innalzarsi verso stadi ancora più sottili e puri, verso l'Infinito.

Quando combattiamo strenuamente per la libertà delle idee, mentre rifiutiamo con relativa disinvoltura certe immagini spiacevoli, stiamo forse facendo anche noi, nel nostro piccolo, la stessa cosa?

Massimo Mazzucco




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