Sequestrati e sequestratori

Data 15/3/2007 5:00:00 | Categoria: news internazionali

Chi volesse cercare di capire qualcosa del caso Mastrogiacomo si trova di fronte ad una tale ragnatela di parole e di concetti distorti, confusi e contraddittori, da mettere a dura prova anche la mente più lucida e razionale.

Di fatto sappiamo solo che c'è un nostro giornalista rapito, in una terra lontana che noi abbiamo contribuito in qualche modo ad invadere militarmente. Ma già di fronte ai termini "Talebani", "governo afghano", o "canali umanitari", gli oggetti sulla scacchiera cominciano a perdere i loro contorni, e lasciano all'immaginazione lo spazio che andrebbe occupato da una semplice e precisa informazione.

Che cos'è, esattamente, un Talebano? In che rapporto devo metterlo al termine "governo afghano"? Quale dei due è "illegale" rispetto all'altro? Chi sono i buoni, chi sono i cattivi, e chi lo decide? Lo devo capire io, me lo dice il mio governo, o ce lo dicono per caso gli americani? Che cosa sono i "canali umanitari"? E quando D'Alema suggerisce di usare quelli, ...
... lo suggerisce al posto di quali altri canali? Quali sarebbero, secondo lui, quelli "disumani"? Quelli ufficiali, forse? Quelli militari? Ma non era, la nostra, una missione umanitaria, fra le altre cose?

In tutto questo, si aggiunga il video di Mastrogiacomo, in cui il giornalista stesso spiega la causa del suo sequestro: "Siamo entrati con altri due colleghi afghani illegalmente nel loro territorio".

Tutto qui? - viene da chiedersi. Tutto questo putiferio per aver attraversato senza permesso un confine che da anni è diventato peggio del marciapiede di una stazione di pendolari? Un confine dove vanno e vengono gente come il Mullah Omar e lo stesso bin Laden, uomini della Halliburton e commercianti di oppio, eserciti regolari e orde di mercenari, diventa di colpo un problema internazionale se attraversato senza documenti da un giornalista onesto e indipendente come il nostro?

Ma poi, sequestrato, perchè? I messicani che entrano illegalmente in America li rimandano a casa, mica li sequestrano e poi mandano i video alle famiglie di Cuernavaca, così, "per vedere di nascosto l'effetto che fa".

"Per ora non ci sono richieste", ci dicono i nostri governanti. E noi tutti a crederci, 50 milioni di fessi che si mettono a trepidare all'unisono, in attesa del momento in cui i sequestratori si decideranno a rivelarci che cosa vogliono.

Ma come sarebbe, non ci sono richieste? Pensiamoci un attimo, perdìo! Da quando in qua si sequestra qualcuno - specialmente in una situazione intricata e complessa come quella afghana - senza un preciso motivo?

I veri sequestrati siamo noi. Siamo sequestrati mentali, che vengono tenuti sistematicamente lontani da quello che davvero accade nel mondo, e lo siamo proprio, paradossalmente, ad opera dei giornalisti, di tutti coloro cioè che "fanno informazione".

Sono tutte persone, probabilmente, in perfetta buona fede, che hanno scelto il giornalismo come mestiere, ma che hanno poi accettato di rinunciare, giorno dopo giorno, a tutte quelle prerogative che lo rendono un lavoro davvero onorevole e affascinante. Prima hanno rinunciato ad usare i mezzi sempre più rapidi e sofisticati di comunicazione che abbiamo a disposizione, dove ti basta ormai mettere un telefonino in mano ad un ragazzino per arrivare dovunque in tempo reale, e si accontentano invece di ricopiare tutti la stessa velina quotidiana che ci passa il convento delle agenzie governative. Poi hanno rinunciato alla propria identità, individuale e culturale, adeguandosi a commentare tutti nello stesso modo, banale e prevedibile - e quindi sostanzialmente falso - tutto ciò che accade nel mondo. E ora hanno rinunciato pure all'uso del proprio cervello, passandoci per vere notizie che non hano un minimo di fondatezza logica, senza nemmeno filtrarle da quel poco di comune buonsenso di cui dovrebbe disporre per natura ogni singolo essere umano.

Siamo delle macchine, tenute a bada da altre macchine, mentre i burattini del mondo si divertono a "giocare alla guerra" sulla nostra pelle, sul nostro lavoro, e sulle nostre anime.

Massimo Mazzucco




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