Razzismo e senso di colpa

Data 9/5/2007 9:40:00 | Categoria: opinione

di Giorgio Mattiuzzo

Su La Repubblica del 7 maggio è apparsa la lettera di un lettore, giustamente ripresa da comedonchisciotte.org, che scrive a Corrado Augias perché in preda terribili rimorsi di coscienza. Non è importante il nome del lettore, che pure si firma, più importante è l'esempio di certe dinamiche e di certi percorsi mentali che caratterizzano molte persone.

La lettera si apre con una breve, ma significativa, descrizione di sé: Ho 49 anni, vivo a Roma, lavoro al Quirinale, ho studiato, leggo buoni libri (credo e spero), mi interesso di politica, leggo ogni giorno 2 quotidiani, guardo in tv Ballarò e Matrix e voto a sinistra, sono stato candidato municipale per la Lista Roma per Veltroni. Cerco di insegnare alle mie figlie i valori della tolleranza e della nonviolenza, dell'importanza dell'istruzione, delle buone letture e dello studio, l'etica del lavoro e del sacrificio per ottenere qualcosa di duraturo e vero nella vita.

Poche frasi per dire: guardatemi, sono perfetto. Faccio tutte quelle cose che una persona perbene dovrebbe fare. Le faccio proprio tutte, leggo persino due quotidiani al giorno (chissà che impegno al Quirinale), leggo i libri giusti; sono di sinistra, e quindi giusto e mi sono pure candidato per le elezioni amministrative, …
… a riprova del mio spirito democratico e del mio impegno diretto nella cosa pubblica.

Però qualcosa non va, in questa splendida e perfetta vita: un'ombra minacciosa, turpe ed immorale.

A 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non riesco a sopportarlo.

La confessione non deve essere stata facile da pronunciare, non è facile ammettere di essere un razzista, anche perché ci sono delle leggi che vietano di essere razzista, quindi per un dipendente del Quirinale scriverlo ad uno dei più importanti giornali italiani firmandosi con il proprio nome, il rischio è alto.

A questo punto ci aspetteremmo la confessione di crimini inenarrabili, di croci bruciate, di uomini africani sgozzati e di ebrei percossi a sangue sulla pubblica via. Ci immaginiamo questo uomo dalla doppia vita, tenero e amorevole in casa, una bestia assetata di sangue straniero fuori casa. Ma non è così. Il lettore di Repubblica (e di un altro quotidiano) racconta perché lui è un razzista.

Scena numero 1: tram affollato, anziana signora che tossisce forte e ragazza slava che la insulta. Il lettore interviene e a sua volta viene preso a male parole.

Scena numero 2: altro tram, altra signora anziana che stavolta chiede ad una giovane di colore di cederle il posto. La ragazza di colore la appella con epiteti impronunciabili ed il nostro lettore interviene ancora una volta. La ragazza di colore gli sputa addosso “la gomma americana che ciancicava” (evidentemente i buoni libri e i due quotidiani al giorno non sono stati sufficienti). Lui, alla prima occasione buona, la afferra per il colletto e la sbatte fuori dal tram. Applausi generali e il lettore che scopre con orrore di essere un razzista.

Ed infatti questo perfetto uomo della sinistra istituzionale è davvero un razzista, anche se non a causa i motivi che lui crede.

Non c'è niente di razzista nell'aiutare una povera anziana e nel difenderla contro l'aggressione verbale di una giovane donna. E' un gesto fraterno ed umano, di fronte ad un debole vessato da una persona più forte ed arrogante di lui.

Ma il razzismo del lettore è sta proprio nel sentirsi in colpa. Perché? Perché egli si sente colpevole per essersi messo contro “una slava”. Si sente colpevole di aver aggredito una sorta di specie, anzi razza, protetta da non si sa quali leggi o codici morali. Se quel lettore non fosse razzista, non si porrebbe nemmeno il problema della nazionalità delle due ragazze. Le avrebbe considerate per quello che sono, due persone maleducate e prevaricatrici che si sono comportate in maniera deprecabile verso due povere anziane. Invece per lui “la slava” e “l'africana” sono semplicemente due categorie astratte, dei tipi di persone: sono semplicemente la forma concreta del concetto di razza.

Per il nostro progressista lettore sta avvendendo un cambiamento importante, ma non sostanziale: sta passando dall'idea che “tutti gli stranieri sono poveri da aiutare” all'idea che “tutti gli stranieri sono ladri e stupratori”.

Non vi è alcuna differenza fra le due posizioni: l'una si appaga di avere una razza da proteggere, l'altra si sazia del desiderio di avere una razza da sterminare. Ma entrambe non considerano le persone che un frammento insignificante di una unità onnicomprensiva chiamata “nazionalità” o “razza” o “cultura” a seconda dei casi.

Ed infatti è lo stesso lettore ad ammetterlo: si chiede sgomento per quale motivo la sua parte politica abbia per anni affermato che “i nomadi”, “gli slavi”, “gli africani” che rubano non andavano toccati; e non si accorge che in realtà anche lui è stato vittima di un meccanismo sadico e razzista, per cui le persone appartenenti a quelle categorie sparivano ai suoi occhi, per dissolversi all'interno di quelle stesse categorie protette e non punibili.

Il nostro lettore progressista continua, portando un altro esempio. In piazza Fontana di Trevi sventa per ben due volte un tentativo di rapina da parte di due piccole zingare. Allora, dopo averci fatto l'occhio, ogni volta che prevede il fattaccio, si reca dagli agenti di polizia presenti sul posto per invitarli ad intervenire. Gli agenti, non si capisce se parlino sul serio o no, gli dicono che “nessuno si muove perché devono stare vicino alle moto o alle macchine”. Avranno paura che le rubino.

Dopodiché si chiede perché le richieste di pene certe e carcere assicurato da parte degli elettori di centrosinistra si risolvano sempre nel loro contrario, ovverosia con la nomina a Ministro della Giustizia di Clemente Mastella.

Qui il povero progressista deve provare uno sgomento profondo. Anni e anni di fede assoluta nel suo ideale di tolleranza non violenta non gli hanno permesso di capire che quei poliziotti non sono lì per lui, ma contro di lui. Che quei poliziotti non interverranno mai per reprimere il crimine, di cui poco sono interessati, perché l'istituto della polizia è fatto per tenere buoni i cittadini. I ladruncoli e gli stupratori non costituiscono una minaccia per lo Stato di cui la polizia è guardiana ed il progressista lettore dipendente. Non è una questione di nazionalità, né di razza.

Da anni questi progressisti si chiedono come sia possibile che i loro eletti facciano l'esatto contrario di quello che gli elettori chiedono. E alla fine la risposta non ce l'hanno, perché sono irrimediabilmente persi nelle categorie mentali create a bella posta per tenerli confusi. Di fronte alla polizia che non interviene pur assistendo al reato, non ne traggono l'ovvia conclusione che la polizia non è lì per fermare il crimine; rimangono confusi e disorientati e chiedono con maggior forza l'intervento della polizia. Come un naufrago tra i flutti, sbracciano scompostamente per rimanere a galla, mentre è proprio quello sbracciare la causa della loro morte.

Mentre il governo libera criminali e assassini vari, il lettore progressista non trae la logica conclusione che il governo non sta seduto a Palazzo Chigi per proteggerlo, ma per fare gli altrui interessi; e invece si chiede come mai, e perché, e come sia potuto accadere.

Ed intanto non modifica il suo modo di vedere il mondo, e così se prima “gli stranieri andavano accolti tutti in quanto stranieri” ora “gli stranieri vanno mandati fuori del raccordo anulare”.

In una parola, razzismo. Razzismo mascherato da sentimentalismo prima, razzismo modello law and order dopo.

Dubbi retorici assalgono il lettore, ma sempre basati su di un falso assioma: se io stuprassi una giovane araba alla Mecca o a Casablanca, se venissi preso dalla locale polizia a cosa andrei incontro? E se a Bucarest, in metropolitana, avessi accoltellato un giovane rumeno per una spinta ricevuta, che mi avrebbero fatto le locali autorità?

Se questo accadesse, naturalmente le autorità locali lo perseguirebbero. Ma non perché è italiano! Il razzismo è stato così ben occultato, quando gli è stato insegnato ad essere “tollerante con i negri”, che ormai la questione razza/nazionalità ha preso il sopravvento; non è il passaporto che rende perseguibili o meno e non è vero che la polizia non persegue gli immigrati: la polizia non persegue i criminali. Punto. Le statistiche parlano da sole: la polizia non persegue il crimine, italiano o straniero che sia.

Però è sempre presente in massa alle manifestazioni di pacifici cittadini che protestano, è presente per difendere i cantieri della TAV pagati con i soldi nostri. E' presente sempre, tranne quando qualcuno di notte entra in casa di qualcun altro. Allora la telefonata di rito al maresciallo si conclude sempre nel solito modo: “Non possiamo farci niente noi”.

Ma le paure del nostro lettore alla fine si materializzano per quello che sono:

Non voglio lasciare più il monopolio della legalità alla destra e quindi non capisco, perché dare il voto locale agli immigrati, dopo 5 anni di permanenza nel nostro Paese

Ecco qual è il problema. Primo, non perdere i voti di chi sostiene coloro che predicavano il razzismo sotto forma di tolleranza. Secondo, non dare il voto agli immigrati. Chissà perché poi? Se lavorano e pagano le tasse, non hanno forse il diritto di partecipare gioiosi alle delizie democratiche? No taxation without representation, non si diceva così un tempo? Per quale motivo, in una democrazia, coloro che ci vivono devono soggiacere a regole senza avere parte nel processo decisionale? Nessuno, se non quello di essere stranieri. Razzismo.

Possiamo immaginare questo padre di famiglia che insegna la tolleranza ai propri figlioli: “tesoro, devi rispettare i negri, capito?”; “lascia in pace quella slava!”; “piccola, lo sai che non tutti gli zingari rubano?”

Tutto questo ricorda molto la scena del cucchiao del film The Matrix. Neo/Anderson, il protagonista, vede un bambino che riesce a piegare un cucchiaio con la forza del pensiero e vuole fare lo stesso, ma è dibattuto: da un lato il signor Anderson, che sa che il cucchiaio non si può piegare col pensiero; dall'altro lato Neo che vuole credere che sia possibile. E allora il bambino gli dice: “Non tentare di piegare il cucchiaio, è impossibile. Cerca invece solo di capire la verità: non esiste alcun cucchiaio”.

E lo stesso dovrebbe fare il nostro lettore progressista: invece di dividere gli esseri umani in categorie, non importa quanto buone e degne di rispetto e tolleranza siano, dovrebbe solo tentare di capire che esistono le singole persone, non le categorie.

E annullare le responsabilità individuali in favore di quelle collettive, cioè tollerare qualsiasi azione da parte di singoli individui perché considerati appartenenti a categorie da proteggere, non è un processo meno aberrante che credere di dover sterminare milioni di singoli perché appartenenti a categorie da eliminare. La disposizione mentale è la stessa, e gli esiti non potranno che essere gli stessi.

Giorgio Mattiuzzo (Pausania)



La lettera originale



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