La fine di un'era

Data 6/6/2007 8:00:00 | Categoria: storia & cultura



Il 6 Giugno 1968 veniva assassinato all'Hotel Ambassador di Los Angeles un senatore che aveva appena vinto le primarie in California, guadagnandosi la nomination alle presidenziali per il partito democratico. Nonostante fosse il fratello del famoso presidente ucciso a Dallas nel 1963, e nonostante avesse egli stesso ottime possibilità di diventare presidente, la sua vita e la sua morte sono finite nell'oblio.

Soprattutto la seconda, avvenuta ufficialmente per mano di Shiran Bishara Shiran, è stata sbrigativamente archiviata dalla storia senza mai essere stata presa seriamente in esame. D'altronde, mentre a Dallas abbiamo forse il più intricato "giallo" della storia moderna, Shiran ha sparato sotto gli occhi di tutti, e di cospirazione vera e propria - almeno a livello popolare - non si è mai parlato.

Ma la storia, com'è noto, "è scritta dai vincitori". Ed il vincitore di quella tornata elettorale fu lo stesso Richard Nixon ...
... che aveva inaspettatamente perso, otto anni prima, contro lo sconosciuto John Kennedy, e che rischiava ora di fare la stessa figura contro il fratello più giovane. Rimasto invece senza avversari, nell'autunno Nixon riusci finalmente a rientare in quella Casa Bianca da cui era uscito nel 1959, come vice di Eishenower, convinto di fare una semplice passeggiata elettorale.

(Nel 1964 Nixon aveva saggiamente scelto di non candidarsi, visto che in quel momento la popolarità di Johnson, appena succeduto a Kennedy, era alle stelle. Johnson infatti stravinse contro Barry Goldwater, mentre fu lui stesso a dover rinunciare a candidarsi, nel 1968, sotto il peso delle disastrose notizie che arrivavano dal Vietnam. Questo aprì la strada alla candidatura di Bob Kennedy - che era contrario a restare in Vietnam - e che venne così a trovarsi in piena rotta di collisione con il rientrante Nixon).

Vale la pena di ricordare una frase emblematica, pronunciata da Kennedy poco prima di candidarsi: "Soltanto i poteri di un presidente permetteranno un giorno di rivelare al mondo la verità sull'assassinio di mio fratello." E' chiaro quindi che la sua morte deve aver giovato sia chi ha poi vinto quelle elezioni, sia chi nel passato aveva tramato per la morte del fratello. Sempre che non si trattasse della stessa persona.

IL FATTO

All'Ambassador Hotel di Los Angeles è passata da poco la mezzanotte del 5 Giugno, quando Robert Kennedy conclude il suo discorso di ringraziamento alla platea che lo festeggia per la vittoria nelle primarie, che gli vale anche la candidatura alle presidenziali. A quel punto il programma prevede che il Senatore lasci il palco alla sua sinistra, per raggiungere la sala stampa dove lo attendono i giornalisti. Ma una sua guardia del corpo, Bill Barry, annuncia che il percorso è completamente bloccato dalla folla, e dirige tutti ad uscire invece dal lato opposto ... (continua)

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CONCLUSIONE

Troppo idealista forse, per poter accettare i compromessi necessari a guidare una nazione come l'America, e forse troppo delicato caratterialmente, per poter reggere il peso di un ruolo così impegnativo, non sapremo mai se Robert Kennedy avrebbe saputo portare a termine con successo un'eventuale sua presidenza. Difficile immaginare in lui la fermezza - o perlomeno la grandiosa capacità di bluff - che il fratello John aveva messo in mostra in occasione della crisi dei missili nel 1962, oppure quando promise, all'inizio della gara spaziale con i Russi, di "piazzare un uomo sulla Luna entro la fine del decennio".

Sta di fatto che la morte di Bob Kennedy aprì la strada ad un periodo di predominio della destra repubblicana - guerrafondaia, razzista e restauratrice - che iniziò con Nixon e si protrasse, fatto salvo per la parentesi Carter 1976-80, attraverso lo stesso Nixon, rieletto nel '72, Jerry Ford che ne completò il mandato (in seguito a Watergate), Ronald Reagan, che stravinse sia nel 1980 che nel 1984, e George H. Bush, che vinse nell'88, pur perdendo contro Clinton, nel 1992.

In seguito alla morte di Bob Kennedy ci sarebbero stati quindi ben 20 anni su 24 di dominio repubblicano alla Casa Bianca.

Se poi si considera l'intero periodo post-bellico, le presidenze Kennedy-Johnson, Carter e Clinton appaiono in realtà come piccole "macchie" democratiche in un arco compatto di predominio repubblicano, che iniziò con Eisenhower, passò per il periodo sopra descritto, e riprese infine, dopo gli 8 anni di Clinton, con le due vittorie consecutive dell'attuale presidente George W. Bush (2000 e 2004).



Solo 20 anni su 56 di Casa Bianca, da Eisenhower ad oggi, sono sfuggiti al controllo dei grandi gruppi di potere rappresentati dal partito repubblicano.

In questo senso il 1968 fu un anno cruciale per la storia americana, con la drammatica escalation in Vietnam (a cui Kennedy avrebbe immediatamente posto fine), e l'esplosione contemporanea dei movimenti giovanili e di quelli per i diritti civili, che lo stesso Kennedy e Martin Luther King rischiavano di unificare in una miscela inarrestabile di rinnovamento, se il giovane Senatore avesse conquistato la presidenza (non è escluso che intendesse scegliere proprio King come vicepresidente). Un'ipotesi evidentemente inaccettabile, per chi decise prima di far uccidere Martin Luther King, nell'Aprile di quell'anno, e poi determinò che in ogni caso Robert Kennedy non dovesse arrivare vivo alle elezioni del Novembre 1968.

Chiunque sia stato costui, di certo non fu Shiran Bishara Shiran.

Massimo Mazzucco




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