La madre di tutte le giustificazioni

Data 17/10/2007 9:30:00 | Categoria: palestina

di Uri Avnery

Quando sento parlare di "scontro di civiltà" non so se ridere o piangere.

Ridere, perché è un concetto ridicolo.

Piangere, perché è in grado di causare danni imprevidibili.

Piangere ancor di più, perché i nostri leader stanno sfruttando questo slogan come pretesto per sabotare ogni possibilità di riconciliazione tra israeliani e palestinesi.

Ed è solo un altro di una lunga serie di pretesti. Perché il movimento sionista ha avuto bisogno di giustificazioni per il modo in cui ha trattato i palestinesi?

Alla sua nascita, il sionismo era un movimento idealista, che dava grande importanza alle sue basi morali. Non solo per convincere il mondo, ma soprattutto per mettere in pace la propria coscienza.

Fin dalla prima infanzia ci viene raccontato dei pionieri, molti dei quali figli e figlie di famiglie colte e benestanti, che si lasciarono alle spalle la vita agiata dell'Europa ...
... per cominciare una nuova vita in un paese lontano e - per gli standard del tempo - primitivo.

Qui, in un clima ostile al quale non erano abituati, spesso affamati e ammalati, si davano a pesantissimi lavori manuali sotto un sole impietoso.

Per affrontare ciò, avevano bisogno di credere ciecamente nella giustezza della loro causa. Non credevano solo nella necessità di salvare gli ebrei d'Europa dalla persecuzione e dai pogrom, ma anche nella creazione di una società giusta come non se ne erano mai viste prima, una società egualitaria che servisse da modello per il mondo intero.

Lev Tolstoy non era per essi meno importante di Theodor Herzl. Il kibbutz ed il moshav [due modelli di comunità "sociale" israeliana, NdT] erano i simboli dell’intera impresa.

Ma questo movimento idealistico mirava ad insediarsi in un paese abitato da un altro popolo. Come riconciliare la contraddizione tra i suoi sublimi ideali ed il fatto che il loro obiettivo imponesse l'espulsione degli abitanti del luogo?

La via più semplice era di rimuovere del tutto il problema, ignorandolo: la terra, ci dicevamo, era vuota, non c'era alcun popolo ad abitarla. Fu questa giustificazione che consentì di aggirare l'abisso morale.

Soltanto uno dei Padri Fondatori del movimento Sionista fu abbastanza coraggioso da chiamare le cose col loro nome: Ze'ev Jabotinsky già 80 anni fa scriveva che era impossibile ingannare il popolo palestinese (di cui riconosceva l'esistenza) e conquistare il loro consenso alla causa sionista.

Siamo bianchi che colonizzano la terra degli indigeni, disse, e non c'è nessuna possibilità che i nativi vi rinuncino volontariamente. Resisteranno con la violenza, al pari dei popoli nativi nelle colonie europee. Ecco perché abbiamo bisogno di una "Muro Invalicabile” per porteggere l'impresa sionista.

Quando a Jabotinsky dissero che il suo era un approccio immorale, rispose che gli ebrei stavano cercando di salvarsi dalla tragedia che incombeva su di loro in Europa, e, dunque, i loro principi etici prevalevano su quelli degli arabi di Palestina.

La maggior parte dei sionisti non era pronta ad accettare questo approccio basato sulla forza, e cercò fervidamente una giustificazione morale per poter andare avanti.

Ebbe così inizio la lunga ricerca di giustificazioni, durante la quale ogni scusa soppiantava la precedente, assecondando le mutevoli mode spirituali del mondo.

La prima giustificazione fu esattamente la stessa sbeffeggiata da Jabotinsky: venivamo qui nell'interesse e per il bene degli arabi. Li riscatteremo dal loro primitivo e rozzo stile di vita, dall'ignoranza e dalle malattie. Insegneremo loro le moderne tecniche agricole e gli porteremo la medicina evoluta.

Tutto, tranne il lavoro, perché ogni posto di lavoro doveva essere per gli ebrei che stavamo portando là, che stavamo trasformando da ebrei del ghetto in un popolo di lavoratori e coltivatori.

Quando gli arabi, ingrati, tentarono di opporsi al nostro grande progetto, a dispetto di tutti i benefici sembra gli stessimo recando, trovammo una giustificazione "marxista": non sono gli arabi a contrastarci, ma solo gli "effendi", i ricchi, i grandi proprietari terrieri, sono loro a temere che il fulgido esempio della egualitaria comunità ebraica attragga a sé il proletario arabo sfruttato, rivoltandolo contro i suoi oppressori.

Anche questo pretesto non funzionò molto a lungo, forse perché gli arabi vedevano i sionisti acquistare i terreni da quegli stessi "effendi", scacciandone gli affittuari che li avevano coltivati per generazioni.

L'ascesa del nazismo in Europa portò grandi masse di ebrei nel Paese. I cittadini arabi si videro la loro terra strappata da sotto i piedi, e nel 1936 diedero vita ad una rivolta anti-britannica ed anti-ebraica.

Perché dovremmo pagare noi per la persecuzione degli ebrei in Europa? - si chiedevano gli arabi.

Ma la rivolta araba ci offrì una nuova giustificazione: gli arabi appoggiano i nazisti. E in effetti il Gran Mufti di Gerusalemme, Hajj Amin al-Husseini, fu fotografato seduto accanto ad Hitler.

Poi qualcuno "scoprì" che il Mufti fu il vero istigatore dell'Olocausto (anni dopo si scoprì che Hitler in realtà non poteva soffrire il Mufti, il quale non aveva quindi alcun ascendente sui nazisti).

Arrivò la fine della Seconda Guerra Mondiale, che fu seguita dalla guerra del 1948. Metà dei palestinesi sconfitti divennero "profughi", ma questo non toccò la coscienza sionista, poiché tutti sapevano che erano fuggiti di loro spontanea volontà.

I loro capi li avevano invitati a lasciare le loro abitazioni, per tornare in un secondo momento, al seguito delle vittoriose armate arabe. In verità, non è mai stata trovata alcuna prova a sostegno di questa assurda affermazione, ma ciò è bastato a placare la nostra coscienza fino ad oggi.

Si potrebbe chiedere, perché non fu concesso ai profughi di fare ritorno alle loro case dopo la fine della guerra? Beh, furono loro a rifiutare il piano di spartizione dell'ONU nel 1947, dando inizio ad una guerra. Se a causa di ciò hanno perduto il 78% dei loro territori, non possono che prendersela con loro stessi.

Poi venne la Guerra Fredda. Noi eravamo schierati dalla parte del "mondo libero", ovviamente, mentre il grande leader arabo Gamal Abd-al-Nasser prendeva le sue armi dal blocco sovietico. (E’ vero, nella guerra del 1948 ricevemmo anche noi armi sovietiche, ma questo non è rilevante). Era evidente: è inutile parlare con gli arabi, dato che appoggiano la tirannide comunista.

Ma il blocco sovietico crollò. "L'organizzazione terroristica chiamata OLP", come la chiamava Menachem Begin, riconobbe Israele e firmò gli accordi di Oslo. A questo punto serviva una nuova giustificazione per la nostra riluttanza a restituire ai palestinesi i territori occupati.

La salvezza venne dall'America: un professore di nome Samuel Huntington scrisse un libro sullo "Scontro di civiltà". E fu così che trovammo la madre di tutte le giustificazioni.

Il super-nemico, secondo questa teoria, è l'Islam: la civiltà occidentale, giudeo-cristiana, progressista, democratica, tollerante, viene attaccata dal brutale, fanatico, terrorista mostro islamico.

L'Islam è assassino per natura. In realtà, "musulmano" e "terrorista" sono sinonimi: ogni musulmano è un terrorista, ogni terrorista è musulmano.

Lo scettico potrebbe chiedere: come è potuto succedere che la splendida cultura occidentale abbia generato l'Inquisizione, i pogrom, i roghi di streghe, l'annientamento dei nativi americani, l'Olocausto, le pulizie etniche ed altre innumerevoli atrocità? Ma quello è il passato, ora la cultura occidentale è l'incarnazione della libertà e del progresso.

Il prof. Huntington non aveva in mente noi in particolare, il suo compito era piuttosto di soddisfare una brama tutta americana: l'impero americano ha costantemente bisogno di un nemico virtuale di portata globale, un unico nemico che includa tutti gli avversari degli USA nel mondo. I comunisti erano serviti alla bisogna: il mondo fu diviso in Buoni (gli americani ed i loro sostenitori) e Cattivi (i comunisti).

Chiunque contrastasse gli interessi americani era automaticamente un comunista: Nelson Mandela in Sud Africa, Salvador Allende in Cile, Fidel Castro a Cuba, mentre i signori dell'Apartheid, le squadre della morte di Augusto Pinochet e la polizia segreta dello Shah in Iran facevano parte, come noi, del Mondo Libero.

Con il crollo dell'impero sovietico, l'America fu privata improvvisamente del suo nemico globale. Il vuoto ora è stato riempito dai terroristi musulmani. Non solo Osama bin Laden, ma anche i guerriglieri ceceni, i nord-africani della gioventù arrabbiata delle banlieus di Parigi, la Guardia Rivoluzionaria iraniana, i ribelli delle Filippine.

E così la visione americana del mondo si è riassestata: un mondo "buono" (la civiltà occidentale) ed uno "cattivo" (la civiltà islamica). I diplomatici si curano sempre di distinguere tra "islamisti radicali" e "musulmani moderati", ma è solo questione di apparenza. Detto fra noi, sappiamo che ovviamente sono tutti degli Osama bin Laden: sono tutti uguali.

In questo modo, una gran parte del mondo, composto da una molteplicità di paesi molto differenti tra loro, ed una grande religione, con al suo interno correnti e tendenze differenti ed a volte anche opposte (come il Cristianesimo ed il Giudaismo), che hanno donato al mondo impareggiabili tesori scientifici e culturali, vengono gettati tutti insieme nello stesso calderone.

Questa visione del mondo è fatta su misura per noi. Il mondo dello "scontro di civiltà" è certamente, per noi, il migliore dei mondi possibili.

Così, la lotta tra Israele e i Palestinesi non è più un conflitto tra il movimento sionista, venuti a stabilirsi in questo Paese, ed i palestinesi che lo abitavano. No, è stato fin dal principio parte di una lotta globale che non origina certo dalle nostre azioni e aspirazioni. L'assalto dell'Islam terrorista al mondo occidentale non è partito per colpa nostra, la nostra coscienza può sentirsi del tutto a posto, noi siamo fra "i buoni" di questo mondo.

Questa è oggi la posizione ufficiale di fondo israeliana: i palestinesi hanno eletto Hamas, un movimento islamico criminale (se non fosse esistito, avrebbero dovuto inventarlo e, per la verità, alcuni sostengono che sia stato interamente creato dai nostri servizi segreti).

Hamas è un'organizzazione terroristica, così come Hezbullah. Mahmoud Abbas personalmente non sarà un terrorista, ma è un debole ed Hamas sta per prendere il controllo totale di tutti i territori palestinesi.

Non possiamo quindi discutere con loro, non abbiamo una controparte. In effetti, non c'è nessuna possibilità di avere una controparte, visto che apparteniamo alla civiltà occidentale, che l'Islam vuole eradicare.

Nel suo libro "Der Judenstaat", Theodor Herzl, il "profeta dello stato" ufficiale di Israele, aveva profetizzato anche questi sviluppi.

Ecco cosa scrisse nel 1896: "Per l'Europa noi costituiremo (in Palestina) una parte della barriera contro l'Asia, e saremo l'avanguardia della cultura contro la barbarie."

Herzl parlava di "muro" metaforicamente, ma nel frattempo ne abbiamo costruito uno decisamente reale.

Per molti, non si tratta semplicemente di un muro di separazione tra Israele e Palestina, ma è parte del "muro" globale tra occidente ed Islam, la linea del fronte nello scontro di civiltà.

Al di là del muro non ci sono uomini, donne e bambini, non c'è un popolo palestinese sconfitto e sottomesso, non ci sono città e villaggi strangolati come Abu-Dis, a-Ram, Bil'in and Qalqilia.

No, oltre il muro c'è un miliardo di terroristi, moltitudini di musulmani assetati di sangue, che desiderano soltanto una cosa nella vita: buttarci a mare, solo perché siamo ebrei, perché siamo parte della civiltà giudeo-cristiana.

Con una simile posizione ufficiale, con chi si può più parlare? E di cosa, si può parlare? A che serve incontrarsi ad Annapolis, o in qualunque altro posto?

Cosa dovremmo fare, quindi: ridere o piangere?

Segnalazione e traduzione di Luca Lombardi (turbonegro) da Metablog

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