Lo sgabello a tre gambe

Data 30/10/2007 8:19:09 | Categoria: Economia


Intervista a Maurizio Pallante

di Marco Cedolin

Stili di vita individuali, innovazione tecnologica mirata e impegno politico. Secondo Maurizio Pallante la decrescita è come uno sgabello a tre gambe: nel momento in cui uno dei tre sostegni viene a mancare, la seduta rovina a terra. Per questo ognuna delle gambe è ugualmente importante rispetto alle altre, e tutte e tre sono indispensabili e fondamentali

Clima, ambiente, grandi opere, rifiuti, energia. Maurizio Pallante, sollecitato dalle domande di Marco Cedolin, ci fornisce un ritratto chiaro di quello che è il mondo attuale e delle dinamiche e economiche che lo governano. Allo stesso tempo ci offre una visione lucida, appassionata ed estremamente concreta del mondo con la “decrescita applicata”: un mondo di felicità e benessere che tutti noi siamo chiamati a costruire.

Si sta parlando molto dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici in atto e futuri. Nonostante le grida di allarme spesso vengano condivise dai governi e dagli amministratori e diffuse attraverso i grandi media, si percepisce l’impressione che tali grida siano destinate a cadere nel vuoto. Come mai questi soggetti, che gestiscono le scelte politiche ed economiche, da un lato lanciano l’allarme sulla degenerazione dell’ambiente e del clima, ...
... e dall’altro continuano a propagandare la crescita e lo sviluppo come prerogative irrinunciabili per la costruzione del futuro?

Il profeta Isaia diceva che Iddio acceca quelli che vuol perdere. Martedì 26 giugno sul giornale la Repubblica si faceva il resoconto dell’ondata di caldo soffocante che aveva investito il nostro paese (46 gradi a Catania). Questi i titoli degli articoli: L’Italia soffoca; Sud in ginocchio, due morti, black out e incendi. Mezzo milione di anziani a rischio, ecco il decalogo per proteggersi. Afa record, l’Oms avvisa l’Italia “Ogni anno cinquemila vittime”. Nelle pagine di Torino, come se niente fosse, si propagandavano le iniziative promozionali per la presentazione di una nuova automobile Fiat. Questo il titolo dell’articolo a tutta pagina: Cinquecento, una festa olimpica. Due giorni in piazza, la settimana prossima, per la nuova nata (sic!) Fiat.
Incapacità logica di fare il banale collegamento tra le emissioni di gas serra degli autoveicoli e l’innalzamento della temperatura terrestre? Schizofrenia? Come si fa a raccontare con toni drammatici i disastri causati da un problema che sta stravolgendo il mondo e far festa per ciò che lo causa? Questo atteggiamento da parte della classe dirigente del nostro paese è più pericoloso dell’effetto serra, che se si volesse e se si fosse più responsabili potrebbe essere affrontato con efficacia.

Ritieni che una società nella quale si continua a perseguire la crescita dei consumi, del pil, della movimentazione di merci e persone, degli investimenti in grandi infrastrutture rappresenti davvero, come molti sostengono, un approccio di sviluppo sostenibile? Ed esistono nella realtà dei fatti uno sviluppo ed una crescita sostenibili?

La locuzione “sviluppo sostenibile”, è logicamente un ossimoro a cui qualcuno prova a dare un significato, ma la maggior parte delle volte è usato per nascondere, attraverso un artificio verbale, le peggiori aggressioni all’ambiente. Parlare di sostenibilità in relazione alle grandi opere è soltanto un imbroglio nel tentativo di acquistare il consenso degli ingenui e dei disinformati. In senso buono lo sviluppo sostenibile consiste nella scelta di utilizzare tecnologie meno invasive nei confronti degli ecosistemi, per poter continuare a crescere economicamente. La crescita, senza attenuazioni degli impatti ambientali che genera, corrode rapidamente le condizioni che le consentono di proseguire. Chi sostiene la necessità di sviluppare le fonti rinnovabili in sostituzione di quelle fossili compie un’operazione di questo genere. Se il petrolio finisce e cambia il clima come si potrà continuare a crescere? Per la crescita sono indispensabili le fonti rinnovabili perché si ritiene che siano illimitate e pulite. Consentono di continuare a crescere. Nel caso in cui, per assurdo, si arrivasse a trovare una fonte illimitata e pulita, la crescita non avrebbe più ostacoli a sfasciare il mondo, trasformando in tempi sempre più brevi quantità sempre maggiori di risorse in rifiuti. Se il treno della crescita corre a velocità folle verso un precipizio, lo sviluppo sostenibile si limita a rallentare la velocità di questa corsa, ma non la sua direzione. Ciò che occorre è rallentare la velocità del treno e contemporaneamente cambiare la direzione dei binari su cui viaggia. Per sviluppare le fonti rinnovabili e far sì che possano soddisfare il fabbisogno energetico dell’umanità, occorre inserirle all’interno di un processo di diminuzione dei consumi energetici, attraverso l’eliminazione degli sprechi, delle inefficienze, degli usi impropri, allungando la durata di vita degli oggetti, sviluppando una maggiore sobrietà, riducendo le distanze tra i luoghi di produzione e i luoghi di consumo, favorendo le economie locali autocentrate e contrastando la globalizzazione. In una parola: per invertire la tendenza autodistruttiva in atto occorre produrre di meno e meglio.

I molti movimenti che oggi in Italia si battono contro le grandi opere e le nocività, avversando la costruzione del TAV, della base militare americana di Vicenza, del Mose, degli inceneritori, delle centrali a carbone, secondo te difendono solamente interessi localistici o stanno maturando la consapevolezza della necessità di un nuovo modello di società che prescinda dai dogmi della crescita e dello sviluppo?

La forza dei movimenti popolari che si oppongono alla loro realizzazione nei territori in cui vivono è la reazione di chi sente incombere la minaccia di una rovina irreparabile sulla sua casa. È la forza della disperazione. Non è facilmente domabile perché la sconfitta comporta la perdita del futuro e della speranza. Ma ha una debolezza di fondo: si esprime sostanzialmente in termini difensivi. Dice no. Uniscono i no, ora qui, ora là. Le proposte alternative non mancano, ma sono per lo più di massima, non definite in termini di fattibilità economica e tecnologica, non perseguite con l’impegno e la tenacia necessari a realizzarle, con lo stesso impegno e la stessa tenacia con cui si argomentano e si sostengono le ragioni del no. Ma la loro principale debolezza consiste nel fatto che sono proposte di soluzioni alternative allo stesso tipo di problema. Non lo mettono in discussione, non ne analizzano le cause, non si propongono di eliminarlo. Ne ridimensionano la portata, ne contestano la soluzione, ne propongono un’altra. Sostengono che la crescita dei consumi di energia sarà inferiore alle previsioni e basterà sviluppare le fonti rinnovabili per evitare di effettuare trivellazioni petrolifere, costruire rigassificatori e centrali termoelettriche. Che il potenziamento della raccolta differenziata ottenibile col porta a porta ridurrà la quantità di rifiuti da smaltire e non sarà necessario costruire gli inceneritori. Che il traffico merci aumenterà meno di quanto indicato negli scenari di previsione e il potenziamento della linea ferroviaria esistente basterà a smaltirlo senza costruire la linea ad alta velocità.

Se non si vuole rimanere prigionieri di una strategia difensiva caso per caso, occorre capovolgere questi presupposti concettuali. Occorre elaborare una politica economica finalizzata alla decrescita del prodotto interno lordo e alla riduzione dell’impronta ecologica.

Se si ristrutturano gli edifici esistenti riducendo le loro dispersioni energetiche per fare in modo che invece di consumare 20 litri di gasolio, o 20 metri cubi di metano al metro quadrato all’anno – come succede mediamente in Italia – ne consumino da un massimo di 7 a un minimo di 1,5 – come prevede la normativa in Alto Adige e in Germania – non si rinuncia a niente, anzi il comfort termico migliora, le emissioni di CO2 si riducono da un minimo di due terzi a un massimo di nove decimi, si crea occupazione qualificata, si eseguono lavori che hanno un senso, ma si riducono i consumi di fonti fossili e, una volta ammortizzati gli investimenti, si ha una riduzione del prodotto interno lordo. Questa è un’alternativa concreta alla costruzione dei rigassificatori, perché consente di ridurre la domanda molto di più quanto quegli impianti non siano in grado di accrescere l’offerta, si può realizzare in tempi più brevi ed è più conveniente economicamente.

Se si producono oggetti destinati a durare più a lungo, riparabili, progettati anche in funzione di uno smontaggio con suddivisione e recupero dei materiali in tempi e modi industriali, non si rinuncerebbe a nulla e la quantità dei rifiuti diminuirebbe. Se venisse incentivato l’acquisto dei servizi anziché dei prodotti in grado di fornirli (il servizio di fotocopiatura invece delle fotocopiatrici come già succede; il servizio della mobilità invece delle automobili come già fanno le aziende prendendole in leasing; il servizio del freddo invece del frigorifero, come potrebbe succedere, eccetera), la durata degli oggetti aumenterebbe, gli oggetti verrebbero progettati per essere riparati e non sostituiti al minimo guasto, al termine della loro vita alle aziende produttrici converrebbe riciclare e riutilizzare i materiali di cui sono composti. Il riciclaggio dei rifiuti non rappresenterebbe più un costo per la collettività, ma una riduzione di costi per le imprese. Se il costo degli imballaggi venisse posto a carico dei produttori e dei venditori di merci, se la tariffa dei rifiuti domestici venisse commisurata alla quantità dei materiali non raccolti in maniera differenziata, si incentiverebbe la riutilizzazione dei materiali e si avrebbe una riduzione dei costi direttamente proporzionale alla riduzione dei rifiuti. La somma di queste e altre analoghe misure eviterebbe di costruire inceneritori, offrirebbe nuove opportunità di occupazione qualificata, diminuirebbe rischi e pericoli, ridurrebbe le emissioni di CO2, di polveri sottili e ultrasottili, di diossine e altre sostanze inquinanti. Anche in questo caso si avrebbe una riduzione del prodotto interno lordo. Una decrescita felice, che aumenta il benessere e l’occupazione.

Anche l’opposizione al potenziamento delle basi militari, a Vicenza come a Sigonella, deve integrare le sue sacrosante motivazioni etiche con l’elaborazione di una strategia capace di erodere le cause che li motivano. Prima della caduta del muro di Berlino, le basi militari americane sparse nel mondo rispondevano alla necessità di contrastare gli arsenali atomici dell’Unione Sovietica. Oggi, dietro lo schermo della lotta al terrorismo, rispondono alla necessità di controllare l’afflusso del petrolio dal medio-oriente ai paesi occidentali. Questo petrolio è necessario alla crescita delle loro economie. Se venisse a mancare, o si riducesse, o i prezzi salissero in modo incontrollato, la crescita economica perderebbe la sua linfa vitale. Pertanto, se si vuole contrastare efficacemente il potenziamento delle basi militari, occorre sviluppare una politica energetica finalizzata alla diminuzione dei consumi di fonti fossili, innanzitutto mediante la riduzione degli sprechi e la crescita dell’efficienza dei processi di trasformazione. La riduzione della domanda che si può ottenere con le migliori tecnologie a disposizione è superiore al 50 per cento. Questo è il prerequisito per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, sia perché farebbe crescere in misura significativa il loro contributo percentuale al fabbisogno, sia perché libererebbe grandi quantità di denaro con cui si possono finanziare. In questo modo si può avviare un circolo virtuoso, che crea occupazione e riduce le emissioni di CO2, mentre riduce il bisogno di controllare militarmente le aree del mondo in cui si trovano le fonti fossili.

Tu hai scritto molti libri sul tema della decrescita e recentemente hai fondato il Movimento per la Decrescita Felice (MDF) che tanto interesse sta suscitando in giro per l’Italia. Molte persone temono che “decrescita” significhi privazione, perdita delle comodità acquisite, ritorno ad una società primitiva e negazione della tecnologia. Ci spiegheresti cosa significa in realtà decrescita e quale tipo di società prospetti ne programma politico del MDF?

Per capire cosa sia la decrescita, e come possa costituire il fulcro di un paradigma culturale capace di orientare sia le scelte di politica economica, sia le scelte esistenziali, è necessario in via preliminare fare chiarezza su cosa è la crescita economica. Generalmente si crede che la crescita economica consista nella crescita dei beni materiali e immateriali che un sistema economico e produttivo mette a disposizione di una popolazione nel corso di un anno. In realtà l’indicatore che si utilizza per misurarla, il prodotto interno lordo, si limita a calcolare il valore monetario delle merci, cioè dei prodotti e dei servizi scambiati con denaro. Il concetto di bene e il concetto di merce non sono equivalenti. Non tutti i beni sono merci e non tutte le merci sono beni.

La frutta e la verdura coltivate in un orto familiare per autoconsumo sono beni qualitativamente molto migliori della frutta e della verdura acquistate al supermercato. Ma non passano attraverso una intermediazione mercantile, per cui non sono merci. Soddisfano il bisogno di nutrirsi in modi più sani e più gustosi dei loro equivalenti prodotti commercializzati, non sono stati prodotti con veleni e sostanze di sintesi chimica, non hanno impoverito l’humus, non hanno contribuito a inquinare le acque, ma fanno diminuire il prodotto interno lordo perché chi autoproduce la propria frutta e verdura non ha bisogno di andare a comprarla. In una società fondata sulla crescita, dove a ogni piè sospinto tutti la invocano come il fine delle attività economiche e produttive, il suo comportamento è asociale.

Se, dunque, il prodotto interno lordo misura il valore monetario delle merci e non prende in considerazione i beni, la decrescita indica soltanto una diminuzione della produzione di merci. Non dei beni. Anzi, la decrescita può anche essere indotta da una crescita di beni autoprodotti in sostituzione di merci equivalenti. Poiché molte merci non sono beni e molti beni non sono merci, la decrescita può diventare il fulcro di un nuovo paradigma culturale e un obbiettivo politico, se si realizza come una diminuzione della produzione di merci che non sono beni e un incremento della produzione di beni che non sono merci. Questo processo è in grado di apportare miglioramenti alla qualità della vita e degli ecosistemi. Una decrescita guidata in questa direzione, una recessione ben temperata, per usare un’espressione di Élemire Zolla, racchiude intrinsecamente un fattore di felicità. Vive felicemente chi si propone di avere sempre maggiori quantità di merci, anche se non sono beni, e spende tutta la vita per questo obbiettivo? Non vive più felicemente chi rifiuta le merci che non sono beni e sceglie i beni di cui ha bisogno in base alla loro qualità e utilità effettiva, lavorando di meno per dedicare più tempo ai suoi affetti? Vive felicemente chi vive in una società che si propone di produrre sempre maggiori quantità di merci, anche se non sono beni, e sacrifica a questo obbiettivo la qualità dell’aria, delle acque e dei suoli? Non vive più felicemente chi vive in una società che antepone il bene della qualità ambientale alla crescita della produzione di merci che non sono beni?

Una delle critiche che più frequentemente viene mossa ai fautori della decrescita riguarda il fatto che si tratti di una teoria astratta difficilmente applicabile nella realtà. La decrescita felice che tu proponi sembra partire invece proprio da presupposti quanto mai reali e concreti, riusciresti a spiegarci quali sono?

A chi obbietta che la decrescita è un’utopia, bisogna innanzitutto ricordare che è la crescita ad essere un’utopia, per di più terrificante. In un mondo che ha una quantità finita di risorse e una capacità finita di assorbire i rifiuti liquidi, solidi e gassosi prodotti dalla produzione e dal consumo di merci, un processo di crescita economica infinita è impossibile. La decrescita, invece è possibile, ragionevole e desiderabile. Chiunque può contribuire a realizzarla nella propria vita ricavandone vantaggi non altrimenti ottenibili. Tre sono le direttrici su cui si deve operare: gli stili di vita individuali, una innovazione tecnologica mirata e l’impegno politico. Per usare un’immagine, la decrescita è come uno sgabello a tre gambe. Se ne manca una, cade.
 
Gli stili di vita finalizzati alla decrescita si basano sulla sobrietà e sull’autoproduzione, sulla valorizzazione degli scambi non mercantili fondati sul dono e sulla reciprocità, sulle filiere corte nei rapporti mercantili. La sobrietà – che significa usare con rispetto e moderazione le risorse della terra, far durare gli oggetti il più possibile e riciclare le materie di cui sono composti quando vengono dimessi – è quella saggezza antica che oggi ha trovato una formulazione scientifica nella teoria dell’impronta ecologica.
In relazione alla tecnologia, le innovazioni tecnologiche finalizzate alla decrescita hanno l’obbiettivo di ridurre, per ogni unità di prodotto o di servizio fornito, la quantità di energia e di materie prime necessarie a produrli, di conseguenza le quantità di rifiuti prodotti sia in fase di produzione, sia in fase di dismissione degli oggetti prodotti. Basta ricordare l’esempio delle case ad alta efficienza energetica, ma se ne potrebbero fare moltissimi.

La terza gamba dello sgabello è l’impegno politico, per far sì che le scelte delle amministrazioni pubbliche vadano nella direzione della decrescita. Se i consigli comunali approvano regolamenti che impongono di costruire edifici ad alta efficienza energetica, da una parte favoriscono lo sviluppo delle tecnologie che riducono il consumo di energia e risorse a parità di benessere, dall’altra determinano un abbassamento dei consumi inutili e dannosi rappresentati dagli sprechi. Se invece di far costruire inceneritori favoriscono la raccolta differenziata e il riciclaggio, da una parte riducono il consumo di risorse naturali e dell’energia necessaria a trasformarle in materie prime, semilavorati e prodotti, dall’altra favoriscono lo sviluppo delle innovazioni tecnologiche in grado di trasformare i rifiuti in risorse.

Cosa diresti ad un normale cittadino che ti domanda come può applicare fin da subito la decrescita nella propria vita di tutti i giorni?

Di verificare che tutte le sue scelte vadano a consolidare le tre gambe dello sgabello. Non è complicato, si sta meglio, migliorano i rapporti con se stessi, con gli altri e con l’ambiente in cui si vive, si ha la soddisfazione di fare cose giuste e si partecipa a un grande progetto di riconciliazione della specie umana con l’ecosistema terrestre.


Di Marco Cedolin, da  Il Consapevole









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