IL BOOMERANG OSTAGGI

Data 10/6/2004 23:46:54 | Categoria: politica italiana







IL BOOMERANG OSTAGGI






10.06.04 - Onore ai giornalisti che fanno il loro mestiere, e ai loro direttori
che gli permettono di farlo:

siamo a meno di 48 ore dall’ apertura dei
seggi di un’elezione “che non conta”, e mentre in TV Bruno Vespa sta
facendo di tutto per rimescolare le carte (vedi "perla" accanto),
l’Unità di Furio
Colombo è arrivata laddove una volta ci si sarebbe aspettato di
vedere anche ben altre testate. Nel ringraziare anche Emergency di Gino Strada e
peacereporter.net/it (il cui oscuramento in questi minuti speriamo sia
solo casuale), pubblichiamo l’articolo completo appena comparso sul
sito di Unità-on-line:










GINO STRADA: MA QUALE BLITZ? PER GLI OSTAGGI È STATO PAGATO UN RISCATTO











Un riscatto. Un semplice riscatto e non un blitz, autorizzato dal
governo italiano. Così sono stati liberati i tre ostaggi
italiani in Iraq. Lo sostiene...

(Scarica il boomerang grande da mandare agli amici)



.. il sito web di Emergency. E lo conferma
Gino Strada in un’intervista, su l’Unità di venerdì 11
giugno.

«Quella casa al numero 17 di Zaitun Street era disabitata da
almeno due mesi. Fino a lunedì sera tardi (7 giugno, ndr)
quando, intorno alle 23, si è sentito un gran trambusto. Io, che
abito al 13, ho visto arrivare alcune auto e fermarsi
davanti a quella casa. Sono entrate un po’ di persone. Era buio, non
abbiamo visto bene. Poco dopo se ne sono andati via ed è tornata
la calma». A parlare, raggiunto al telefono da PeaceReporter, il
giornale online di Emergency, è un iracheno, il signor Fahad,
che assieme ad altri due suoi vicini, il signor Mohammed e il signor
Ibrahim, è stato testimone oculare della liberazione di Maurizio
Agliana, Umberto Cupertino e Salvatore Stefio.





«Il mattino seguente, intorno alle 9:30, sono arrivate cinque
auto militari americane, di colore verde oliva. Si sono fermate davanti
a quella casa. Ne sono scesi alcuni uomini vestiti in abiti civili e
con gli occhiali scuri. Erano sicuramente uomini del mukhabarat
(servizio segreto, n.d.r.) americano. Hanno aperto la porta
dell’abitazione, senza forzarla, come se fosse già aperta, e
sono riusciti subito con solo quattro uomini, che poi abbiamo saputo
essere i tre ostaggi italiani e un ostaggio polacco. Li hanno caricati
su un furgoncino bianco e se ne sono andati via. Il tutto con la
massima calma. Non è stato sparato un colpo. Nella casa, a parte
gli ostaggi, evidentemente non c’era più nessuno. Non è
stato assolutamente un blitz militare come è stato annunciato
tre ore dopo. Quelli sono tutta un’altra cosa. Lì si è
trattato di una semplice presa in consegna. Gli americani sono andati
lì a colpo sicuro. Sapevano che gli ostaggi erano stati portati
lì, si erano messi d’accordo. Il vostro governo ha pagato un
riscatto: nove milioni di dollari. Qui ormai lo sanno tutti. Adesso
però basta parlare al telefono, non è sicuro».





La sua versione dei fatti è confermata da un'altra fonte
irachena raggiunta da PeaceReporter, vicina al braccio politico della
guerriglia. Una fonte che ha voluto rimanere anonima, e che ha fornito
la sua versione di tutta la vicenda del sequestro, delle trattative e
della liberazione. La fonte inizia facendo un nome, quello di Salih
Mutlak. "Mutlak – dice – è un facoltoso commerciante iracheno
arricchitosi con le speculazioni e il contrabbando durante il periodo
dell’embargo. Da molti è definito semplicemente come un
‘mafioso’. Lui è il personaggio chiave della vicenda della
liberazione dei tre ostaggi italiani, assieme al già noto Abdel
Salam Kubaysi (solo un omonimo di Jabbar al-Kubaysi), ulema sunnita e
docente all’università di Baghdad, salito all’onore delle
cronache televisive internazionali per il suo ruolo nella trattativa
per il rilascio - dietro pagamento di riscatto - degli ostaggi
giapponesi".





Secondo la fonte, con Mutlak e con Kubaysi il governo italiano avrebbe
trattato segretamente per settimane al fine di ottenere il rilascio di
Agliana, Cupertino e Stefio, rapiti il 12 aprile assieme a Quattrocchi,
ucciso il 14 aprile. Si scoprirà poi che aveva in tasca un porto
d’armi rilasciato dalle forze britanniche e un pass della Coalizione. I
contatti tra i nostri servizi segreti, il Sismi, e la coppia
Mutlak-Kubaysi sono iniziati subito dopo quei tragici giorni, e
già il 20 aprile erano cominciate a trapelare notizie
sull’accordo con il governo italiano per il pagamento di un riscatto di
9 milioni di dollari. Il 22 era stato lo stesso governatore italiano di
Nassiriya, Barbara Contini, a lasciarsi scappare che non c’era nulla da
stupirsi del fatto che il governo pagasse un riscatto. “Si è
sempre fatto così” aveva detto. Subito dopo aveva smentito
questa dichiarazione, e il ministro degli Esteri, Franco Frattini,
aveva detto che si trattava di "storie prive di fondamento”. Lo stesso
giorno, una qualificata fonte dei servizi segreti italiani rivelava
all'agenzia Ansa: "La trattativa, avviata da giorni, è
già stata definita in tutti i suoi aspetti, sia para-politici,
sia economici. Quello che dovevamo fare l'abbiamo fatto".





Dopo questa burrasca il Sismi ha protestato per queste fughe di notizie
che rischiavano di far saltare le trattative in corso. A quel punto, il
governo ha deciso di imporre il silenzio stampa assoluto sulla vicenda.
"Le trattative - spiega la fonte - sono proseguite fino a quando,
all’inizio di maggio, Salih Mutlak è andato in aereo a Roma.
Ragione ufficiale del suo viaggio: affari. E’ rimasto nella capitale
italiana per una ventina di giorni, tornando a Baghdad alla fine di
maggio con una valigetta piena di soldi. Cinque milioni di dollari,
prima tranche di un riscatto complessivo di nove milioni di dollari.
Gli altri quattro, questi erano gli accordi da lui presi, sarebbero
stati consegnati ai rapitori dopo la liberazione degli ostaggi". Dopo
il ritorno di Mutlak con i soldi, nei primi giorni di giugno si
è consumato un duro scontro all’interno delle fila dei
guerriglieri iracheni. Da una parte il braccio ‘militare’ dei
guerriglieri, quelli che detenevano materialmente gli ostaggi e che,
tramite Mutlak e Kubaysi, erano in contatto con il governo italiano:
per loro l’importante era solo incassare il malloppo. Dall’altra parte
il braccio ‘politico’ che non voleva fare la figura di una banda di
delinquenti che rapiscono per soldi e che quindi non volevano accettare
il riscatto. "Noi ci siamo opposti a questo gioco sporco.





Questa storia del riscatto e della messa in scena della liberazione –
sostiene la fonte – avrebbe rovinato l’immagine della nostra causa,
facendoci passare per dei volgari banditi, e poi avrebbe giovato al
governo italiano e quindi prolungato l’occupazione militare dell’Iraq.
Noi volevamo consegnare gli ostaggi, senza alcun riscatto, nelle mani
di rappresentanti del mondo pacifista italiano, sia laico che
cattolico, con cui eravamo già in contatto da tempo e con i
quali eravamo vicinissimi a una conclusione". Ancora domenica scorsa 6
giugno, i rappresentati della Santa Sede in Iraq si dicevano infatti
certi che la liberazione dei tre italiani sarebbe stata questione di
ore. Anche il governo italiano sentiva che la questione era giunta a un
punto decisivo: venerdì scorso, 4 giugno, il ministro Frattini
ha annullato una sua importante visita a Tokyo per “motivi familiari”.
Forse quello è stato un giorno decisivo. "Alla fine – prosegue
la fonte, con tono infuriato – l’hanno spuntata i ‘militari’ senza
scrupoli, che nei giorni scorsi, assieme a Mutlak, hanno organizzato in
gran segreto il trasferimento dei tre ostaggi italiani dal loro luogo
di detenzione, cioè Ramadi, un centinaio di chilometri a ovest
di Baghdad, fino alla periferia occidentale della capitale, nel
sobborgo di Abu-Ghraib. I tre sono stati lasciati in una casa e poi la
loro posizione è stata comunicata ai servizi italiani e a quelli
americani perché li venissero a prelevare.





Il loro piano era di far sembrare tutto come un blitz militare che si
concludesse con l’arresto dei sequestratori. Ma non è andata
così". E in effetti, fonti vicine ai servizi italiani hanno
rivelato che i due arrestati effettuati in connessione con il presunto
blitz erano in realtà solo due pastori iracheni, che nulla
avevano a che fare con la guerriglia e che erano stati pagati per farsi
trovare lì. Di certo, il fatto che a condurre l’operazione siano
stati militari americani, e non italiani, preclude alla magistratura
una effettiva indagine sui "liberatori". In Iraq, al mercato nero delle
armi, un kalashnikov costa tra i venti e i trenta dollari. Con nove
milioni di dollari se ne possono comprare centinaia di migliaia.





di red (l'Unità 10.06.04)










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