Al cuor non si comanda

Data 29/12/2007 9:30:00 | Categoria: 11 settembre

Per certe persone la verità sull’undici settembre è come una serie di piccolissime ferite, diffuse in tutto il corpo ma poco profonde, che si rimarginano in fretta e permettono loro di sopravvivere senza mai arrivare a dissanguarle.

Questa prodigiosa caratteristica della natura umana si evidenzia molto spesso quando un difensore della versione ufficiale viene sottoposto ad un fuoco di fila di elementi probanti, e dopo un pò si ritrova costretto ad ammettere che “in effetti questo è un aspetto della vicenda che resta ancora da chiarire”.

Ma pochi minuti dopo se ne è già dimenticato, e lo ritrovi a combattere fresco come una rosa su un nuovo argomento, come se quello vecchio non fosse mai esistito.

Questa impressionante capacità di rimaginare le “ferite” gli permette così di continuare imperterrito a sostenere la versione ufficiale come se fosse la più limpida e cristallina versione dei fatti che abbia mai udito fino ad oggi. E a nulla serve ricordargli che il giudizio andrebbe tratto dalla somma dei fattori: un indizio più un indizio più un indizio di solito equivalgono a una condanna (o almeno a un pesante sospetto di colpa), in quello che nei tribunali si chiamerebbe, appunto, un processo “indiziario”.

Ma quando si tratta di undici settembre tutti i parametri cambiano, e la lassitudine critica con cui molte persone affrontano i dati oggettivi diventa a volte addirittura sconcertante: quante persone non si insospettirebbero almeno un pò, se gli raccontassero che, ad esempio, quattro vietnamiti che non hanno mai guidato un jet nella loro vita hanno dirottato degli aerei a Odessa e Pietroburgo, ...

... e sono riusciti a colpire il Cremlino mentre l’intera difesa sovietica li stava a guardare imbambolata?

Invece ci hanno detto che in America quattro arabi hanno fatto una cosa simile, e quindi in qualche modo “deve” essere successo. Quando infatti gli mostri, ad esempio, che per una serie di motivi nessun aereo avrebbe mai potuto colpire il piano terra del Pentagono, lo riconoscono e sembrano accettarlo (quelli in buona fede, almeno), ma poco dopo te li ritrovi a discutere su questioni collaterali, come se la precedente “impossibilità” fosse già stata rimossa e si fosse dissolta nel nulla.

“Ma come – ti viene da chiedere – non avevamo appena stabilito che un aereo non poteva passare di lì?”

Evidentemente no: lo avevano riconosciuto, momentaneamente, perchè la fredda logica glielo imponeva. Ma la logica, come sappiamo, gestisce solo metà del nostro cervello, e se non monti una guardia costante viene presto sopraffatta dall’altra metà. Quella irrazionale, quella che non ci sente, quella che così non può essere e basta.

Proprio la metà, evidentemente, su cui hanno fatto conto i mandanti degli attentati, ben sapendo che certe ferite si richiudono prima ancora di mostare i propri effetti sull’organismo che le riceve, rendendo vana o quasi la fatica di chi gliele ha inferte.

Al punto che viene il sospetto se valga davvero la pena di insistere, con certe persone, una volta verificata la presenza di un tale meccanismo, che indica la loro assoluta necessità di tenersi lontano da un certo tipo di conclusioni. Anche a costo di apparire incongruenti, incapaci di ragionare, o stupidi del tutto.

Forse, a quel punto, è sufficiente smascherare coloro che lo fanno in mala fede, ben sapendo che la verità è diversa, per separarli da coloro che sinceramente si dibattono in un conflitto che evidentemente li coinvolge fino ai livelli più profondi.

Massimo Mazzucco

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