Diamo un senso agli auguri di buon anno

Data 31/12/2007 5:00:00 | Categoria: opinione

Siamo tutti “rivoluzionari”, siamo tutti più furbi degli altri, a noi non ce la racconta nessuno, i giornali e la TV manco più li guardiamo, e la storia abbiamo capito tutti che va riscritta da cima a fondo.

Ma quando arrivano le feste di fine anno ricadiamo tutti in un conformismo terrificante, e ci ritroviamo a scambiarci gli auguri come se vivessimo tutti all’interno di un numero speciale di “Famiglia Cristiana“.

Perché? Che cosa ci porta, dopo un anno vissuto all’insegna del più sano scetticismo autocritico, a ricadere in questo meccanismo “piccolo-borghese”, tanto logoro quanto apparentemente inevitabile?

Per riuscire a trovare una risposta, bisogna capire prima di tutto se pronunciando le fatidiche parole “Buon anno” ci auguriamo sinceramente che la persona che ci sta di fronte vada incontro ad un anno sereno e privo di sofferenze, oppure se in realtà del suo futuro non ce ne possa fregare di meno.

A giudicare dalla frequenza con cui ci interesseremo, nel corso dell’anno che viene, alle sue condizioni di vita, sembrerebbe sicuramente che la frase sia una pura e semplice formalità. Eppure, nel momento in cui la pronunciamo esiste - almeno nella grande maggioranza delle persone, mi sembra di capire - un sincero desiderio di bene rivolto all’altro. È chiaro che poi non si può passare il tempo a preoccuparsi di come stanno davvero tutte le persone a cui abbiamo augurato buon anno il 31 dicembre scorso, ma questo non toglie che nel momento di fare quegli auguri ...
... qualcosa di sincero si muova davvero dentro di noi.

La cosa interessante, inoltre, è che noi rivolgiamo quegli auguri indistintamente a coloro con cui siamo andati d’accordo tutto l’anno, come a coloro con i quali abbiamo appena finito di litigare da pochi minuti. A nessuno viene mai da dire “Auguri a tutti quanti, meno a quella testa di cazzo del Gino, che mi sta sulle scatole in maniera insopportabile”. Anzi, è proprio in quei casi che viene da dire “Auguri a tutti quanti, persino a quel bigolo del Gino, nonostante mi stia sulle scatole in maniera insopportabile”.

Fascisti e comunisti, juventini e romanisti, cristiani e musulmani, di colpo ogni differenza sembra scomparire, e ci ritroviamo tutti esseri umani con le stesse aspirazioni, gli stessi desideri, le stesse necessità. Ma da dove nasce questo “buonismo” improvviso, che sembra cancellare di colpo ogni rivalità, ogni conflitto e ogni differenza di fondo fra gli individui?

Siamo davvero così condizionati, culturalmente, dalle festività di fine anno, che basta guardare il calendario perchè scatti in noi una reazione pavloviana di dimensioni tali da renderci di fatto una società di perfetti schizofrenici?

Ma soprattutto, una volta accertato che siamo degli schizofrenici, quale dei due aspetti è quello “anomalo“, e quale invece quello naturale? Dobbiamo per forza considerare “anomalo” il periodo degli auguri, solo perché dura molto di meno, e sembra quindi un “incidente di percorso” in una vita fatta di scontri e conflitti quotidiani?

Visto che le “feste” rappresentano anche, genericamente, una “sospensione delle ostilità” in senso lato (durante le feste non si bombardano i bambini, durante le feste non si fanno cadere i governi, durante le feste non si bestemmia, non si tradisce la moglie e non si ruba al proprio vicino), non sarà per caso che questa “convenzione” fa emergere la nostra vera natura, mentre il condizionamento pavloviano sarebbe quello che subiamo per tutto il resto dell’anno, imitando nel nostro piccolo quello che ci appare essere “la normalità”?

In alte parole, smettono per un attimo di bombardare la gente, e di colpo anche noi ci sentiamo migliori. Poi ricominciano a bombardare, e anche noi ricominciamo a picchiarci gli uni con gli altri. (Fra l’altro, viene da chiedersi, se possono smettere di bombardare per quindici giorni, perchè non dovrebbero poterlo fare per quindici anni?)

Tutte queste sono domande, naturalmente, che trovano risposta soltanto in ciascuno di noi. Vale però la pena di ricordare che in una serie di esperimenti fatta sui topi, negli anni ’50 (v. filmato), i ricercatori americani scoprirono che potevano condizionare il topolino non solo ad azionare una certa leva quando la superficie della gabbia veniva percorsa da una fastidiosa corrente elettrica, ma anche a farli lottare l’uno contro l’altro, pur di ottenere lo stesso risultato. La cosa più incredibile ero lo stato di assoluto stupore in cui si ritrovavano i topolini, abbracciati l’uno all’altro, nel momento in cui cessava la corrente elettrica, e cessava quindi la necessità di azzuffarsi fra di loro.

Buon anno a tutti

Massimo Mazzucco





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